Travaglio e Galeotti a confronto sul conflitto Russia-Ucraina, èStoria si avvia a conclusione al Verdi

Travaglio e Galeotti a confronto sul conflitto Russia-Ucraina, èStoria si avvia a conclusione al Verdi

DAL FESTIVAL

Travaglio e Galeotti a confronto sul conflitto Russia-Ucraina, èStoria si avvia a conclusione al Verdi

Di Federico De Giovannini • Pubblicato il 01 Giu 2025
Copertina per Travaglio e Galeotti a confronto sul conflitto Russia-Ucraina, èStoria si avvia a conclusione al Verdi

Il direttore del Fatto Quotidiano e lo storico inglese hanno ripercorso le cause della guerra e commentato le attuali prospettive dei negoziati dinanzi a un teatro al completo.

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Di nuovo una lunga fila di spettatori si è formata prima delle 17 dinanzi alle porte del Teatro Verdi per uno degli ultimi eventi di questa ventunesima edizione di èStoria: così Gorizia ha accolto Marco Travaglio, Mark Galeotti e Francesco De Filippo per il panel Russia”. Un dibattito improntato essenzialmente sull’attualità: l’argomento di apertura è stato infatti la ricostruzione dei rapporti tra Russia e Ucraina negli anni precedenti l’invasione, argomento del quale si è occupato il direttore della versione cartacea del Fatto Quotidiano.

«La responsabilità di questo conflitto è interamente di Vladimir Putin?» è stata la prima e netta domanda di De Filippo, moderatore del dibattito, a Travaglio. Il quale ha prontamente affermato che «la responsabilità di una guerra non è mai di uno solo tra i contendenti: le cause sono multiple, intrecciate e vanno rintracciate nel tempo». Se si vuole capire la storia «in quest’era dei social che schiaccia gli eventi nel solo presente», ha proseguito il saggista, «oltre al risalire alle cause, bisogna anche mettere da parte il piano etico: in questa guerra non esistono innocenti, se non i civili che vi muoiono».

Travaglio, da noi intervistato nei giorni scorsi in vista dell’evento, ha dunque ripercorso i trent’anni di «innumerevoli provocazioni dell’Occidente alla Russia mosse dal progetto coltivato dall’ambiente neoconservatore americano di attirarla in una guerra per sconfiggerla». L’estensione progressiva della Nato verso i paesi dell’Est Europa fra le principali: «Quando nel 2008 fu annunciato l’intento dell’ingresso di Georgia e Ucraina, Putin la considerò una minaccia per la propria esistenza». E poi la rivoluzione «in parte spontanea, in parte spintanea» di Maidan nel 2014, la situazione del Donbass e le relative «promesse di pace infrante da Zelensky». «Non stiamo dicendo che Putin non sia cattivo e spietato – ha precisato il giornalista - caratteristiche che comunque non hanno impedito all’Occidente di intrattenere buoni rapporti con lui nonostante la guerra in Cecenia, la morte di Anna Politkovskaja e l’annessione della Crimea». «A un certo punto abbiamo finto di scoprire chi fosse Putin – ha concluso – attribuendogli le sole responsabilità di una guerra dove esse sono divise al “fifty-fifty”».

A Galeotti, storico e professore inglese esperto di politica russa, il compito di dare un giudizio sugli esiti del conflitto. «Tutte e due le parti stanno perdendo, ma l’Ucraina più velocemente – sono state le sue parole, tradotte dall'inglese da un interprete – se l’obiettivo dell’Ucraina è cacciare fino all’ultimo soldato russo dai propri territori, allora è poco realizzabile; allo stesso tempo, la forte resistenza dell’Ucraina impedisce alla Russia di invaderne l’intero territorio». «Ci troviamo in una situazione più stagnante che dinamica – ha proseguito Galeotti – con la Russia che al momento ha più soldati e risorse per proseguire a combattere, a differenza delle difficoltà dell’Ucraina nel reperire nuove reclute». «Nel 2026, però, la Russia comincerà a sentire il peso delle sanzioni sulla sua economia interna e Putin dovrà fare scelte difficili» è il parere dello storico inglese, che resta dell’idea che «solo con il dialogo vi è una piccola chance di mettere fine a questo disgustoso conflitto».

Discordi, poi, le posizioni dei due ospiti sulle intenzioni iniziali del governo russo: se per il direttore del Fatto «a Putin interessano i soli quattro oblast di Zaporižžja, Cherson, Donec'k e Lugansk» e «non vuole occupare altre regioni perché si troverebbe una popolazione completamente avversa», Galeotti ha sostenuto invece che «nel 2022 Putin attaccò con la reale convinzione di poter arrivare a Kiev». Entrambi, invece, hanno concordato sul fatto che, chiunque dovesse vincere tale guerra, «ad averla persa è l’Unione Europea»: secondo Travaglio le classi dirigenti europee sabotano i negoziati per non arrivare al momento di appurare quanto affermato, mentre Galeotti ne ha criticato le «vuote frasi di supporto» e la mancanza di reali strategie di sostegno all’Ucraina oltre all’invio di armamenti.

«I negoziati – ha in seguito ricordato l’esperto in politica russa – sono processi lunghi e difficili, durante i quali la guerra continua». Il riferimento è alle trattative previste per domani a Istanbul tra le delegazioni dei due Stati: «Al momento nessuno otterrà molto, anche perché la Russia non concede respiro all’Ucraina con una tregua e chiede molte cose che sa già di non ottenere», ha argomentato Galeotti, ritenendo però molto probabile che alla fine «la Russia si terrà la gran parte del territorio ucraino conquistato». Conclusione «ingiusta e non in accordo con il diritto internazionale», ma che darà la possibilità «di concentrarsi sul restante 80% dell’Ucraina e sul suo futuro», tema sul quale «manca però una reale visione politica».

L’ultima domanda, prima di lasciare il Verdi al successivo evento con Federico Rampini, De Filippo l’ha rivolta a Travaglio: «È plausibile, stando a quanto dicono certe voci e alle dichiarazioni di alcuni leader dell’Ue, che la guerra si estenda a tutta l’Europa?». Secondo il direttore del Fatto Quotidiano «diamo troppo peso all’Ucraina» rispetto agli altri scenari globali – Medioriente, Baltico, rapporti tra Usa e Iran -, su cui a suo avviso si stanno concentrando le conversazioni tra Trump e Putin. «Magari mi sbaglio – ha chiuso Travaglio - ma penso che invadere l’Europa sia fuori dalle intenzioni di Putin, anche se i leader europei stanno facendo del loro meglio per fargli cambiare idea». Il panel si è chiuso con un momento di firma copie all’esterno del teatro.

Foto Sergio Marini 

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