L'INTERVISTA
«La Capitale della Cultura aiuti Italia ed Europa a mettersi nei panni di chi la pensa diversamente», Marco Travaglio arriva a Gorizia

Il direttore del Fatto Quotidiano sarà ospite domenica a èStoria per il panel ‘Russia’. In vista dell’evento, una conversazione su conflitto russo-ucraino ed atteggiamento occidentale.
Fra gli ospiti di rilievo di questa ventunesima edizione, èStoria si prepara nuovamente ad accogliere a Gorizia Marco Travaglio. Dopo la partecipazione dell'anno scorso all'incontro incentrato su Gaza e Israele, il giornalista, saggista e direttore della versione cartacea de Il Fatto Quotidiano sarà infatti protagonista, assieme allo scrittore Francesco De Filippo e al professore onorario dell’University College di Londra Mark Galeotti, del talk ‘Russia’, in programma al Teatro Verdi alle ore 17 di domenica primo giugno.
«Grande potenza ed attore di spessore dello scenario internazionale, questa Nazione cerca oggi di districarsi fra pressanti vicini orientali e fragili relazioni con l’Occidente – recita la presentazione dell’evento - dimostrandosi sempre più vittima di quella “sindrome dell’accerchiamento” intimamente legata al suo genoma storico». Dinamiche e processi storici di lungo periodo e tragici scenari dell’oggi appaiono dunque intimamente legati in termini causali: per approfondire il discorso, abbiamo intervistato al telefono il direttore del Fatto Quotidiano.
Su cosa si focalizzerà l'incontro di domenica? Quali sono gli aspetti dello scenario russo su cui si concentrerà di più?
Mi concentrerò sui fatti storici fondamentali per capire come mai è scoppiata questa guerra. Se ci si ferma al 24 febbraio 2022, si rischia di pensare che una mattina Putin sia impazzito e abbia deciso di invadere un altro Paese, ma tutto è fuor che questo. Per rimuovere le cause di questa guerra e provare a finirla bisogna conoscerle, senza raccontare bugie e senza fare propaganda – della quale negli ultimi tre anni ci siamo imbevuti, fino poi a crederci. Da tre anni abbiamo confuso le cause della guerra con la giustificazione dell’aggressore: non c’è nessuna giustificazione, ma ci sono motivazioni e cause, ovvero il senso di aggressione da parte della Nato percepito per tanti anni dalla Russia, motivato dal tentativo di quest’ultima di “stravincere” la Guerra Fredda dopo averla vinta con la caduta del Muro di Berlino. Quando fu infranta la promessa di non estendere la Nato verso i loro confini, i russi si sono sentiti minacciati, accerchiati. Al termine degli anni Duemila hanno riacquisito la forza per reagire e quando da noi si parlava di aggregare alla Nato paesi strategici come Georgia e Ucraina hanno deciso di impedire che ciò avvenisse. Ciò, ripeto, non giustifica minimamente l’atto criminale di Putin: semplicemente, anche gli atti criminali hanno un movente e una spiegazione.
Che difficoltà vi sono nel raccontare la Russia e il mondo russofono oggi?
Le difficoltà stanno nel fatto che chiunque dica, ad esempio, che la Russia è un paese prevalentemente europeo e di grande cultura, e che noi europei abbiamo più debiti culturali nei suoi confronti che verso gli Stati Uniti o altri alleati, viene accusato di essere “putiniano”. Siamo arrivati ad annullare un corso universitario su Dostoevskij perché anche lui era in odore di “putinismo”, hanno cancellato i balletti russi dai teatri italiani e chiuso i programmi di cooperazione culturale e accademica, per non parlare degli atleti russi e bielorussi che non possono partecipare a competizioni internazionali: la propaganda ha portato un tasso di russofobia a 360 gradi. Siamo in un clima folle in cui tutti i parametri di logica e buon senso sono saltati.
Qual è il suo parere sugli attuali negoziati in corso tra Russia e Ucraina?
Sarebbe stato molto più facile farli e concluderli quando la guerra è iniziata: Putin non sapeva ancora come sarebbe andata a finire, l’esercito ucraino (armato per otto anni da americani e inglesi) non era ancora stremato e devastato come adesso e non vi erano ancora centinaia di migliaia di morti, russi e ucraini. Non si può ora dire a Putin “bene, ritirati e la chiudiamo qua”, dopo tre anni in cui abbiamo predicato la sconfitta militare della Russia – oltretutto, in una situazione che gioca a suo favore, poiché da due anni i russi avanzano e gli ucraini arretrano. Bisogna, giunti a questo punto, dare a Putin una “leva” talmente appetitosa da rendergli conveniente la prospettiva di sospendere le ostilità. Certo, se continuasse la guerra per un altro anno, anche in Russia comincerebbero ad esserci problemi di economia, opinione pubblica e stanchezza delle truppe, ma al momento è incommensurabilmente avvantaggiato rispetto alla situazione dell’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno fatto a quest’ultima un discorso molto chiaro, invitandola a riconoscere il fatto di aver perso una parte del loro territorio, impegnandosi alla neutralità e a una parziale smilitarizzazione del loro paese – il quale, per conto della Nato, è diventato una minaccia agli occhi della Russia.
E sulla posizione dell’Unione Europea? Che atteggiamento dovrebbe mantenere l’Europa?
L’atteggiamento dell’Europa, che continua a dare ultimatum alla Russia come se gli sconfitti fossero nella posizione di dare ordini a chi sta vincendo, è totalmente insensato: è necessario un cambio di atteggiamento se si vuole trattare. Anche un personaggio come Trump ha capito che l’unico modo per evitare la guerra è commerciare e fare affari insieme - cosa che capirono anche i padri dell’Unione Europea dopo due conflitti mondiali, avviando un’Europa dei commerci. Bisogna cominciare a considerare la revoca delle sanzioni e un ripristino della cooperazione economica, smettendola con quest’atteggiamento di superiorità morale o addirittura di “suprematismo europeo”, da detentori dei “grandi valori”. Gli sconfitti numero uno di questa guerra sono Biden e le classi dirigenti europee per aver usato l’Ucraina come testa d’ariete per provocare la Russia, facendo combattere soldati e civili in una guerra voluta da loro e persa in partenza: è questa la loro responsabilità ed è per non vederla scritta nero su bianco che le classi dirigenti europee continuano a boicottare ogni tentativo di negoziato.
Qual è, secondo lei, la giusta "postura" che un giornalista deve adottare per raccontare i conflitti dell'oggi?
Innanzitutto, un giornalista deve raccontare quello che vede: è insopportabile che da tre anni si racconti esattamente l’opposto di ciò che succede sul campo. Bisogna essere onesti e non scambiare i propri desideri con la realtà: anche a me sarebbe piaciuto che l’Ucraina e l’Occidente battessero la Russia dopo l’invasione, ma purtroppo le cose sono andate in una direzione diversa e non potevano che andare così – ragione per cui bisognava chiudere questa guerra non appena è iniziata o ancora prima. Ancora oggi abbiamo dei cialtroni che fanno finta che gli “amici di Putin” siano coloro che vogliono un negoziato e gli “amici dell’Ucraina” siano quelli che predicano la continuazione della guerra, ma è l’esatto opposto: più una guerra dove i russi avanzano dura a lungo, più si fa un favore a Putin. Questa, purtroppo, è una visione realista e non ci sono alternative per evitare un massacro più terribile di quello che abbiamo già visto, ma in molti continuano a rispondere con moralismo e wishful thinking.
Go! 2025 rappresenta la prima Capitale Europea della Cultura transfrontaliera, simbolo di un confine che oggi è diventato luogo di unione, collaborazione e pace. Che esempio ci può dare? Come possiamo conciliare quanto detto finora con tale messaggio?
Una Capitale della Cultura transfrontaliera deve aiutare l’Italia e l’Europa a uscire da questo assurdo “suprematismo” dove noi pensiamo di essere i depositari di tutti i valori positivi, cominciando a mettersi nei panni e nella mente di chi la pensa all’opposto da noi. Ma anche dai doppi standard e dalle doppie morali dell’Occidente: pensiamo al fatto che i parametri che usiamo con l’Ucraina non sono gli stessi che usiamo coi palestinesi, né abbiamo mai usato con Netanyahu quelli che usiamo con Putin. Tutto ciò fa supporre al popolo russo che questo Occidente sia russofobo e teso a schiacciare la Russia, portando anche coloro che detestano Putin al consenso sulle sue politiche belliciste. Fino a quando tutto ciò non cambierà, verremo sempre detestati da quello che chiamiamo il “Sud” e l’”Est” del mondo, il quale continuerà a considerarci dei razzisti e dei colonialisti 2.0.
Foto Bumbaca
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