Salone del Libro di Torino, il cervignanese Manlio Garofalo tra i finalisti della sezione 'Racconti' del Premio Calvino

Salone del Libro di Torino, il cervignanese Manlio Garofalo tra i finalisti della sezione 'Racconti' del Premio Calvino

LA NOTIZIA

Salone del Libro di Torino, il cervignanese Manlio Garofalo tra i finalisti della sezione 'Racconti' del Premio Calvino

Di Federico De Giovannini • Pubblicato il 20 Mag 2025
Copertina per Salone del Libro di Torino, il cervignanese Manlio Garofalo tra i finalisti della sezione 'Racconti' del Premio Calvino

Il suo racconto ‘Lo Zoo delle Professioni Perdute’, selezionato su oltre 900 partecipanti a livello nazionale, esplora le derive distopiche del rapporto tra intelligenza artificiale e lavoro.

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Tra i molti ospiti, autori e addetti ai lavori, la 37esima edizione del Salone Internazionale del Libro a Torino ha visto diverse partecipazioni anche dal territorio: panel, blogger, ma anche scrittori emergenti e appassionati di letteratura come Manlio Garofalo. Nato nel 2001 e cresciuto a Cervignano del Friuli, attualmente studente del corso di laurea magistrale in Italianistica a Bologna, lo scorso dicembre Manlio ha deciso di partecipare alla sezione “Racconti” del Premio Calvino, il celebre concorso letterario nato a Torino nel 1985, poco tempo dopo il decesso del famoso autore, rivolto agli scrittori esordienti di romanzi e dal 2019 anche alla narrativa breve.

Una scelta che ha dato frutti molto soddisfacenti: con il suo racconto “Lo Zoo delle Professioni Perdute”, Manlio è stato infatti selezionato a livello nazionale fra i 12 finalisti della sezione, su un totale di 909 elaborati pervenuti al concorso. Un percorso che ha avuto il suo culmine questo sabato 17 maggio alla cerimonia di premiazione, tenutasi in serata al Lingotto di Torino, nella sala Madrid del Centro Congressi. Il tema proposto quest’anno per la call Racconti (di edizione in edizione ne viene scelto uno nuovo) è stato il “retelling”: ciascun partecipante è stato chiamato a scrivere la propria storia breve partendo da un incipit o da un personaggio letterario a libera scelta, rielaborandolo e ricontestualizzandolo a piacimento.

Garofalo è voluto partire da uno dei più enigmatici personaggi della letteratura nordamericana: Bartleby lo scrivano. Scoperto già durante le lezioni di letteratura al liceo “Einstein” e poi oggetto di studio per un esame universitario, il suggestivo copista protagonista dell’omonimo racconto di Herman Melville e il suo «preferirei di no», “refrain” con cui si oppone alle logiche più alienanti del lavoro e della società, hanno fornito lo spunto a Manlio per scrivere «un racconto distopico, il genere che più mi piace leggere, mettendo insieme varie suggestioni letterarie – Orwell, Bradbury e Nabokov – con l’attualità». Lo studente cervignanese ha così immaginato un mondo del futuro completamente ingegnerizzato, dove macchine e intelligenze artificiali hanno ormai rimpiazzato gli uomini nella maggior parte dei loro mestieri: il protagonista Bartleby si trova così ridotto a recitare la parte del copista all’interno di un “parco zoo”, una sorta di inquietante museo umano dove alcuni “esemplari” replicano quotidianamente gli ormai inutili “lavori del passato” dinanzi a un pubblico di androidi e umani poco umani.

L’idea, racconta il giovane autore, è nata dal fatto che «quasi ogni giorno esce una notizia sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale e sui posti di lavoro che sembra stia già togliendo, anche nel campo delle professioni creative». «L’IA – spiega sempre Garofalo – è un tema che mi interessa ma soprattutto mi preoccupa, anche perché ho la sensazione che venga spesso accolta con grande entusiasmo e senza abbastanza attenzione verso i rischi che essa comporta: nel mondo del lavoro, ma anche riguardo la questione della violazione sistematica della proprietà intellettuale». Nel peggiore degli scenari possibili, dunque, solo lo scrivano di Melville sembra in grado di “inceppare” il meccanismo: «Di fronte alla provocatoria richiesta di un magnate dell’IA – riporta il commento della giuria al testo – Bartleby risponde con la sua celebre battuta, sottraendosi così a un atteggiamento di servitù volontaria».

Sebbene non abbia vinto il premio della giuria tecnica o quello del “voto del pubblico”, Manlio ha vissuto con grande emozione la serata: «Prima di tutto sono stato molto contento delle parole di commento dedicate al mio racconto da Francesca Mancini (la coordinatrice editoriale del Book Pride, ndr). È stato poi quasi surreale trovare in giuria Beatrice Salvioni: una scrittrice che ammiro molto, caso editoriale in tutta Europa, vincitrice della terza edizione del Premio Calvino Racconti nel 2021».

Il giovane autore ha dunque tratto grande stimolo dall’esperienza del Premio (è oltretutto il primo concorso letterario a cui partecipa) e dalla figura del grande scrittore italiano a esso dedicato per quanto riguarda la sua produzione letteraria. «Al momento - anticipa infatti - sto lavorando alla scrittura di un romanzo che si ispira un po’ a Calvino in termini di approccio: alla sua nozione delle “cartelle tematiche”, con testi apparentemente scollegati ma che invece hanno uno stesso filo conduttore». “Lo Zoo delle Professioni Perdute”, pubblicato sul sito della rivista «L'Indice dei Libri del Mese», sarà poi anche inserito entro la fine dell’anno, assieme a diversi altri racconti arrivati alla fase finale del concorso, all’interno di un’antologia curata dalla casa editrice di Torino FuoriAsse.

Interessanti, infine, anche i legami più o meno diretti fra lo scrittore delle “Lezioni americane” e i temi trattati da Manlio nel suo racconto: l’ultima delle “lezioni” che Calvino avrebbe dovuto tenere, infatti, sarebbe stata proprio dedicata a “Bartleby lo scrivano” di Melville. «Inoltre - racconta Garofalo - lo stesso Calvino quasi anticipò il tema dell’intelligenza artificiale generativa in un saggio dal titolo “Cibernetica e fantasmi”: la sua stessa idea di narrativa, che definì simile a un “processo combinatorio”, può ricordare un po’ il processo di lavoro dell’IA generativa». Possiamo allora affermare che scrivere sia solo un processo meccanico basato sulla rielaborazione dei testi letti nell’arco della propria vita e replicabile da un software? L’efficace ed enigmatico finale del racconto di Manlio propone un’altra idea, rivendicando l’importanza del potere delle parole, «tutto ciò che rimaneva dell’umano» in questo mondo post-umano.

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