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Migranti all'addiaccio, l'attesa di Nazir: «Voglio portare qui la mia famiglia»

L'attesa di molti migranti all'addiaccio e le file fuori dagli uffici per poter rimanere in Italia. La storia di Nazir: «Non voglio tornare in Pakistan».
L’ombra proiettata dagli alberi copre la tenda dal calore, offrendo un riparo a chi da giorni ha trovato qui un qualcosa che solo con tante virgolette si può definire casa. Lo spiazzo verde a pochi passi dal valico di Casa rossa, lungo via Kugy a Gorizia, è diventato ancora una volta un angolo dove i migranti in attesa del proprio destino si riposano, si ritrovano, attendono il lento trascorrere del giorno. La sera qui dormono, chi riesce dentro la struttura in plastica e gli altri sui cartoni sparsi attorno.
L’afflusso di persone è costante, la rotta balcanica continua a essere una delle vie più attraversate da chi cerca di arrivare in Europa per lasciare il proprio Paese. L’ufficio immigrazione della Questura n’è la testimonianza diretta, ma anche diverse altre zone della città - a partire dai dintorni del piazzale e la stazione dei treni - sono lo specchio di una pressione migratoria ininterrotta. A pochi passi di lì, i membri di una famiglia comunicano tra loro in una lingua mediorientale, riposandosi in piazza Sant’Antonio.
Con sé hanno qualche borsa e le scarpe consumate, sotto il caldo sole agostano. Accanto a loro, un’altra famiglia - dall’accento teutonico - inizia invece il proprio giro alla scoperta della città, alzando lo sguardo incuriosito e la fotocamera dello smartphone verso le finestre colorate di via Rastello. Due mondi opposti che si ritrovano nell’estremo Nordest, rette parallele che toccano una città che da anni ormai è punto di transito per chi sogna di raggiungere l’Europa. “In Italia ti danno i papers, in Francia e Germania no” racconta Nazir.
I papers sono i documenti per poter rimanere qui, come la protezione internazionale per cui tanti hanno fatto richiesta. Lo racconta seduto accanto alla tenda che da qualche giorno è diventata il suo riparo, sopra i cartoni che compongono un “salotto” a cielo aperto. La storia di questo ragazzo, appena 26 anni, è simile a molte altre di suoi connazionali giunti qui, anche se svoltasi in appena due mesi: partito da Islamabad, ha attraversato Iran, Turchia, Grecia e risalito la penisola balcanica. “Il viaggio mi è costato duemila dollari”.
Soldi, racconta, frutto di aiuti arrivati da amici. A casa, invece, ha lasciato la moglie e una figlia piccola: “Voglio trovare un lavoro e farle venire qui” è il suo sogno. In patria ha lavorato come farmacista, “ma non mi sono diplomato, lavoravo in una bottega. Posso lavorare anche nell’agricoltura”. Nazir risponde volentieri alle domande, rallentato solo dalla comprensione dell’inglese, quasi che attendesse finalmente qualcuno con cui parlare dopo giorni di attesa di una risposta: “Rimango qui tutti i giorni e aspetto”.
Cosa fai nel mentre? “Dormo, non c’è molto da fare” replica, un po’ affranto. Dice che è pronto a imparare l’italiano una volta che gli accetteranno la domanda di asilo. Se questo non dovesse accadere però? Tornerai in Pakistan? “Non ci torno, lì non posso sopravvivere”. Come riesci a sostentarti? “Mi aiutano altri ragazzi qui e la Caritas”. Sul fronte degli aiuti, i volontari non si sono mai fermati già dalla situazione che si era venuta a creare in inverno, quando c’erano persone all’addiaccio con temperature rigide fuori dalla stazione.
In questi mesi, le provenienze sono state le più diverse: oltre ad Afghanistan e Bangladesh, anche Burundi, Camerun, Egitto, Guinea , India, Iran, Kirghizistan, Marocco, Mongolia, Nepal, Pakistan, Russia, Senegal, Sierra Leone, Siria, Sri Lanka e Turchia. Diversi anche dalla Georgia. Ad aiutarli, sono i componenti del gruppo Insieme con voi-Gorizia solidale, che si sono attivati anche per poter avere a disposizione delle docce. Nel frattempo, Nazir e tanti altri come lui rimangono in un’attesa kafkiana, mentre fuori infuria la polemica sul nuovo hotspot di Jalmicco.
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