Le guerre raccontate da Capuozzo a Gorizia, «2025 appuntamento di speranza»

Le guerre raccontate da Capuozzo a Gorizia, «2025 appuntamento di speranza»

l'intervista

Le guerre raccontate da Capuozzo a Gorizia, «2025 appuntamento di speranza»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 10 Feb 2024
Copertina per Le guerre raccontate da Capuozzo a Gorizia, «2025 appuntamento di speranza»

Il giornalista e inviato di guerra ha dialogato con gli studenti, lo sguardo sui conflitti tra Gaza e Ucraina: «La pace è un 'arrivederci' alle armi».

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Il suo sguardo la dice lunga. Le sue “occhiaie di riguardo” raccontano le guerre, le paci impossibili, ma anche una tenue e fievole speranza. Nato a Palmanova da padre napoletano e madre triestina, per un anno vive a Cervignano, diplomandosi a Cividale per poi laurearsi a Trento. È Toni Capuozzo, giornalista scrittore e conduttore televisivo, che a dispetto dei suoi 76 anni – e di un cuore che nel 2019 aveva deciso di tradirlo, costringendolo a un intervento chirurgico – lotta ancora per diffondere il proprio spirito critico e un’immensa dialettica.

Da “Occhiaie di riguardo” – raccolta di articoli scritti per Il Foglio – a “Le guerre spiegate ai ragazzi” - riflessione sul senso della guerra e sulla possibilità di pace dedicata ai giovani - E ancora, “La culla del terrore”, “Piccole patrie”, “Guerra senza fine”, per citare alcune delle pubblicazioni più autorevoli. Numerosi i premi e riconoscimenti per il suo lungo impegno. Anni durante i quali si è occupato anche di mafie per il programma “Mixer” di Giovanni Minoli, collaborando poi con alcune testate giornalistiche come inviato di guerra nell'ex Jugoslavia e in Medio Oriente, Somalia, Afghanistan, Russia.

Lo abbiamo incontrato in occasione della tavola rotonda nell’ambito di “Go! Borderless. Giovani, confini e il potere della comunicazione”, dove ha dialogato con i ragazzi delle scuole di Gorizia.

Cosa ne pensa, di quest’incontro a un anno esatto dalla celebrazione della Capitale della cultura?
Sono iniziative che confortano, perché rinviano a un evento stesso che è confortante. Il fatto che ci sia una Capitale della cultura transfrontaliera, su quello che è stato a lungo un confine armato fino ai denti. Ed è un messaggio che mette un po’ di malinconia, perché in questi mesi stiamo contando un conflitto dopo l’altro. Alcune volte per questioni di territorio – come il caso dell’invasione russa in Ucraina – altre volte perché in un territorio troppo piccolo vivono due popoli diversi e la convivenza diventa una questione difficile. È un appuntamento di speranza, questo.

Secondo lei è possibile una pace per Gaza e per l’Ucraina?
No, io credo che sia già ambizioso un cessate il fuoco, in questo momento. Noi siamo abituati a pensare alla nostra pace. Anche se non l’abbiamo vissuta in prima persona, pensiamo alla pace del Dopoguerra, che è l’addio alle armi. Oggi le guerre sono diverse, spesso durano più a lungo, hanno caratteristiche da guerra civile, combattute fra persone che si capiscono e che vivono vicine una all’altra. E la pace, a volte come in Kosovo, è un arrivederci alle armi, non un vero addio alle armi. Un po’ come nei fumetti di una volta, in cui si vedevano i pellerossa che seppellivano il tomahawk e accendevano la pipa della pace. Però non buttavano via il tomahawk, era lì pronto per un’altra guerra.

Lei è stato inviato di guerra. Come vede questa crisi, ci sono delle prospettive di speranza concrete, per il mondo intero, oppure Putin spingerà tutti contro tutti?
Per quanto riguarda i conflitti in corso, dobbiamo tutti sperare che ci sia un’influenza positiva dal fatto che per gli Stati Uniti si tratta di un anno di elezioni presidenziali.

Può vincere Trump?
Naturalmente Trump può cavalcare il fatto che vi siano delle guerre aperte. E i democratici hanno tutto l’interesse a chiuderle quanto prima, o almeno a mettere un laccio emostatico. Però il tour di Blinken, in questi giorni, ha ricevuto un’accoglienza di porte sbarrate. Sappiamo che la Casa Bianca farà di tutto per arrivare a un mondo un po’ più sotto controllo. Dobbiamo solo sperare che ci riescano.

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