La casa Bratuž-Šorli in vendita a Gorizia, l'eredità musicale al pubblico

La casa Bratuž-Šorli in vendita a Gorizia, l'eredità musicale al pubblico

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La casa Bratuž-Šorli in vendita a Gorizia, l'eredità musicale al pubblico

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 09 Mar 2024
Copertina per La casa Bratuž-Šorli in vendita a Gorizia, l'eredità musicale al pubblico

La casa nella quale abitò con tutta la famiglia sorge su via Foscolo, messa in vendita dai proprietari. L'idea di creare un museo della poesia e musica.

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Quel sorriso gentile e modesto, il fragore luminoso dei suoi versi a incantare e commuovere. Ljubka Šorli – vedova di Lojze Bratuž - scomparve nell’aprile del 1993, quando i glicini iniziavano a rifiorire insieme alla primavera in festa cantata nelle sue terzine. La casa nella quale abitò con tutta la famiglia sorge su via Foscolo ed è da tempo in vendita per i privati, nonostante il progetto proposto dalla nipote Vera Tuta Ban di farne una «Casa della poesia e della musica». Cugina di Lojzka, prima figlia di Ljubka, Vera è nipote della poetessa ed erede del patrimonio culturale rimasto, insieme a suo fratello Igor.

«Il Comune di Gorizia non è mai stato interessato – spiega Tuta Ban – Altri soggetti della comunità slovena si sono fatti avanti, ma nessuno si è mai accollato l’onere di decidere sulla destinazione d’uso da noi presentata, insieme alle istituzioni culturali italiane e slovene. Le proposte ci sono state, ma non era chiaro quale ente avrebbe gestito la casa-museo». Costruita nel primo dopoguerra - fra il 1923 e il 1926 – e poi rimodernata una decina d’anni più tardi, «dal 1937 in poi fu sempre abitata dalla famiglia Bratuž», rimarca la nipote.

Innumerevoli le donazioni protratte negli anni. A partire dall’ingente patrimonio librario della grande biblioteca, donata al Seminario teologico vescovile di Gorizia - fondato nel 1757 e unico a offrire lo spazio necessario - A breve verrà aperto al pubblico un fondo Bratuž, grazie al quale sarà possibile consultare spartiti musicali, corali e strumentali della collezione appartenuta al noto compositore, organista nonché maestro di cappella. Un patrimonio a disposizione della comunità e della Gorizia mitteleuropea, rappresentato da più di 2000 libri. «I documenti relativi alla moglie Ljubka e a Lojza sono stati invece donati all’archivio di Stato di Nova Gorica – prosegue Tuta Ban – mentre quadri e ritratti di famiglia resteranno a noi».

In quelle segrete stanze scrisse Ljubka Šorli, nello studio che si affaccia sulle palme con un tavolino spartano e una sedia dove appuntare le poesie. Nata a Tolmino, a poca distanza dalle acque color smeraldo del lago di Most na Soči (Santa Lucia d'Isonzo), si trasferì con la famiglia prima a Jesenice e dopo la morte del padre a Gorizia. L’incubo della guerra la perseguitò anche in Italia, dove uno squadrone fascista costrinse il marito Lojze a bere una miscela di olio di motore e benzina, provocandogli una cirrosi che lo condurrà alla morte in pochi mesi.

Rinchiusa in un campo di internamento fascista, sopravvisse anche grazie alla forza che scaturiva dalla sua poesia, a tratti vicina a Ungaretti, o ai versi di “Lavorare stanca” - il cui autore venne mandato al confino dallo stesso regime - «Il vecchio è arrancato tra i massi, / dove fucilato riposava suo figlio…/ Lo fissava con orrore e piangeva, piangeva». Non dissimili i monti del Carso richiamano in qualche misura le colline mitiche del nostro Pavese, immersi però in un’atmosfera squassata dalla potenza della bora. «Non c’è quasi niente, oltre lo sloveno – si rammarica Tuta Ban, auspicando una traduzione anche in lingua italiana – Stiamo per pubblicare una raccolta con 25 poesie tratte da cartoline».

«In occasione di feste e compleanni mia zia era solita spedirci delle poesie su cartolina. Io e mio fratello abbiamo deciso di raccoglierle e pubblicarle in fronte retro, per mostrare ai ragazzi come si comunicava quando non c’erano i telefonini». Un piccolo libretto che vedrà la luce quest’anno grazie alla casa editrice Art condotta dal fratello. «Da giovane mia zia aveva studiato violino. Era maestra elementare, ma aveva studiato con Rodolfo Lipizer, e quando venne aperta la scuola di musica Emil Komel le venne proposto di insegnare violino. Era una persona solare, sempre gentile, non perdeva mai la pazienza», racconta con nostalgia.

L’inchiostro impregna ancora la carta dei quaderni in cui scriveva la poetessa, alcuni dei quali rinvenuti nel garage di casa. Nonostante l’orologio battesse i suoi rintocchi nelle quiete stanze, d’estate il tempo pareva fermarsi. «Venivo ogni estate per una settimana di vacanza da loro, io giocavo intere giornate e mangiavo bene perché mia zia era una brava cuoca», ricorda tornando indietro all’infanzia. Solo l’ombra del fascismo oscurava di tanto in tanto il sorriso di Ljubka.

«Le dittature sono uguali, temono i dissidenti. Mio zio non era nemmeno politicamente esposto, ma aveva molta influenza sulle persone, e portava allegria fra la gente. Oggi siamo troppo abituati alla democrazia, ma un giorno potrebbe non essere più la stessa», conclude. Per poi leggere ad alta voce, prima di congedarsi, alcuni versi che ignari invocano Go!2025. Tratti da “Resurrezione” - appartenenti alla raccolta “Canti spezzati” - narrano come dalla Castagnevizza scenda il richiamo della campana nella sua sinfonia pasquale, mentre usignolo e merlo incontrano la luce del nuovo giorno. «Non c’è più frontiera…La resurrezione/ illumina un arcobaleno che unisce. / Accetta questa Verità, uomo-fratello!».

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