L’Italia com’era e com’è oggi, la ballata di Paolini nel suo Boomers a Gorizia

L’Italia com’era e com’è oggi, la ballata di Paolini nel suo Boomers a Gorizia

la recensione

L’Italia com’era e com’è oggi, la ballata di Paolini nel suo Boomers a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 31 Gen 2024
Copertina per L’Italia com’era e com’è oggi, la ballata di Paolini nel suo Boomers a Gorizia

La voce narrante di Paolini racconta «cinquant’anni di storia d’Italia» attraverso la lente del bar della Jole, in un Teatro Verdi ieri sera sold out.

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L’Italia, com’era e com’è oggi. Quella del bar sotto casa, delle canzonette, dei videogiochi. E quella dell’incomunicabilità tra figli, dei visori che trasportano chi li indossa in una realtà virtuale, il mondo del metaverso. È andato in scena nella serata di ieri – presso un teatro Verdi di Gorizia sold out – lo spettacolo di Marco Paolini intitolato “Boomers”, scritto insieme alla moglie Michela Signori. Le lancette scorrono vertiginosamente indietro, mentre viene messo in scena un «tempo out», andato, che non torna più.

La voce narrante di Nicola (Paolini) racconta «cinquant’anni di storia d’Italia» attraverso la lente del bar della Jole, che sorge all’ombra dei piloni di un gigantesco ponte. «Se quello di stasera fosse un film, sarebbe vietato ai minori di 48 anni non accompagnati», avverte l’autore. Contrappunto alla narrazione - cantando i grandi successi di pubblicità e canzoni – la voce limpida di Patrizia Laquidara, insieme agli strumentisti Stefano Dallaporta e Lorenzo Manfredini.

Un viaggio a ritroso compiuto grazie al visore del figlio, che riporta indietro il protagonista a quel lontano luglio del 1969, quando la Rai mandava in onda la telecronaca dello sbarco sulla Luna e «nelle case c’erano più bambini che televisioni». Sono storie da salvare attraverso questo gioco immersivo senza foglietto d’istruzioni, dove «il gioco immersivo significa che dovete sospendere l’incredulità». A partire dall’aria, con «effetto vintage». Una scenografia essenziale – con uno stilizzato bancone da bar, pilastri di metalli e degli schermi televisivi – accoglie lo spettatore prima ancora che inizi la «ballata teatral-cybernetica».

La storia inizia a prendere forma grazie alle parole di Paolini: «Vien giù un drone, scende lungo il pilone», mentre la vecchia sigla di apertura della Rai accompagna gli astronauti. «Non c’era Internet, c’era il professore costituzionalista», spiega Nicola. Sono le 22:17, il modulo lunare è atterrato. Perché non sbarcano? «Formalità doganali», ironizzano i camionisti al bar. Quello della Jole è «un mondo segreto che nessuno ha mai visto», l’unico luogo «dove si cammina dritti» - senza donne (stanno a casa a usare le pattine) - dove si muovono personaggi trascolorati, come Todaro lo spaghista.

Mentre l’Italia va più o meno avanti, qualche pezzo d’intonaco viene giù dal ponte, senza che nessuno si lamenti. È l’impietosa messa in scena di un’Italia senza belletto, quella che al “sole di panna” unisce architetture mastodontiche senza preoccuparsi di eseguire manutenzione. L’allusione al ponte Morandi fornisce una lettura in chiave metaforica, mostrando un Paese nel pieno boom economico – da cui deriva il termine “boomer” – che in nome del progresso accetterà il compromesso del patto Stato-mafia senza curarsi della cittadinanza, ma soffocando i propri eroi. Un’amara denuncia e al contempo il tentativo di riallacciare un rapporto, quello tra padri e figli, interrotto a causa di «una rottura di codici».

Per poi muoversi alla ricerca di una morale smarrita, che ritorna giocosamente attraverso il vecchio spot “La morale è sempre quella, fai merenda con Girella”. Nicola prova il “casco” - «non si dice casco, si dice visore di realtà aumentata», lo corregge il figlio – mentre l’altro intende creare sfondi per la start up. Ed ecco riaffiorare «dal passato di un Paese smemorato una scheggia che galleggia», così che l’algoritmo mescoli il sacro con il profano. «Un gioco per vecchi», accompagnato dalla canzone “Bang bang” degli Equipe 84, frullando il muro di Berlino con la strage di Bologna, il virus Hiv, Chernobyl, piazza Tienanmen e il pool Mani Pulite».

«Si taglia il nastro tricolore, sempre più corto. A simboleggiare un’Italia menomata, traballante come quel pilone che trema e nessuno dice niente. Un Paese che non intende vedere, ma che crede alla burla di Ugo Tognazzi “capo delle Brigate Rosse”. L’Italia in cui «non avremo più tempo per tirare su i figli, perché lo farà la televisione». Non bisogna avere alcun rimpianto, secondo Paolini, che rimarca come nonostante il progresso con la mappatura del genoma, la nascita di Youtube o il primo ministro donna Margaret Thatcher, ci meritiamo le Isole dei Famosi, vuote di senso. Ed ecco che quel ponte - simbolo di un’unione fra Nord e Sud e dell’avanguardia di un Paese sbocciato troppo in fretta – perde sempre più compattezza, fino a sgretolarsi, dal momento che «inaugurare costa meno che mantenere».

«Si è rotto il ponte fra le generazioni», denuncia Nicola/Marco. Non resta che ripercorrere con la memoria le proprie vicende interiori, attraversare quella foresta inestricabile che è il web, fino a tornare giù verso il passato, quando ancora non c’era Internet. Perché, la domanda da porsi non è se sia nato prima Twitter o Tik tok, ma “da dove veniamo”: ciò che conta davvero è la stratificazione del passato, delineata già nelle stelle. «Tutti i miei ricordi sono ora dei videogiochi. Ma io non sono solo dati. Io sono radici. Io sono salice», ribadisce il protagonista. Quei centosettanta salici che fra Hiroshima e Nagasaki sono rimasti in vita, nonostante fossero a due chilometri dall’esplosione. Nella lingua giapponese vengono chiamati “Hibaku jimoku”. «Nessuno sa come hanno fatto a sopravvivere. Questione di fili, di radici, di legami».

Sul finire, Liquidara è scesa a cantare in platea per coinvolgere il pubblico titubante, con l’ironia di Paolini in chiusura: «Gorizia, è stato bello fare lo spettacolo qui, ma sentirvi cantare…».

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