Zalesnik, appello alla coscienza pubblica dalla foiba: «Sepellire i morti è un gesto di civiltà»

Zalesnik, appello alla coscienza pubblica dalla foiba: «Sepellire i morti è un gesto di civiltà»

La manifestazione

Zalesnik, appello alla coscienza pubblica dalla foiba: «Sepellire i morti è un gesto di civiltà»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 18 Giu 2025
Copertina per Zalesnik, appello alla coscienza pubblica dalla foiba: «Sepellire i morti è un gesto di civiltà»

Alla commemorazione per le vittime degli eccidi invocata una «rivoluzione dell’amore». Rinnovata la proposta di un ossario condiviso.

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«Dopo ottant’anni, i resti di circa 950 vittime giacciono ancora sparsi nei pozzi carsici del Goriziano. Bambini e madri li hanno attesi invano. Non è tempo di riconoscere loro una degna sepoltura?» È l’appello lanciato sabato 14 giugno dal vicesindaco di Nova Gorica, Anton Harej, durante la commemorazione presso il pozzo di Zalesnik, il più grande tra quelli finora scoperti sul versante sloveno dell’altopiano di Trnovo.

Circa 300 persone si sono raccolte per la messa celebrata dal vicario episcopale per la Capitale Europea della Cultura Nova Gorica Gorizia 2025, don Bogdan Vidmar, che ha scandito l’intera omelia sul valore del perdono, della riconciliazione e della giustizia. «Permettetemi di elencare almeno cinque motivi per cui è giusto trovarsi qui», ha esordito. Tra questi, «la gioia per la moltitudine celeste dei nostri connazionali, alcuni vittime, altri carnefici, forse oggi in Paradiso, forse in Purgatorio, ma tutti – speriamo – raggiunti dalla grazia del buon ladrone».

Il sacerdote ha esortato a superare il risentimento e a restituire dignità a tutte le vittime. «Anche chi eseguì o ordinò gli omicidi – ha detto – oggi può intercedere per noi. Non viviamo nella tristezza, nell’odio o nella condanna. Viviamo secondo il modello della Trinità. Siamo stati creati per amare». E ha aggiunto: «Un giorno, anche le autorità di oggi dovranno rendere conto a Dio se non daranno sepoltura ai morti».

Nel solo pozzo di Zalesnik, ha ricordato Harej, furono giustiziate almeno 120 persone. «Ma finora solo un quarto è stato riesumato e tumulato in modo dignitoso». La maggior parte erano italiani, tra cui civili e dipendenti pubblici goriziani, ma anche friulani, croati, tedeschi ed ebrei. «Non si trattava di una questione etnica – ha precisato – ma ideologica. Le esecuzioni avvennero senza processo, in silenzio, nell’ombra». A pochi chilometri, nel vicino pozzo di Podgomila, sarebbero stati gettati anche numerosi domobranci del Tolmin. «Tra di loro – ha aggiunto – anche il colonnello Anton Kokalj, comandante della Guardia Nazionale Slovena in Primorska, rapito a Gorizia nel 1945».

A nome dell’iniziativa civica TBH, Harej ha rilanciato una proposta già trasmessa alle autorità a marzo: creare un ossario condiviso, dove trasferire progressivamente i resti rinvenuti nei vari abissi. «La decisione dovrebbe essere presa proprio quest’anno – ha spiegato – in occasione dell’Anno Santo, degli ottant’anni dalla fine della guerra e della Capitale Europea della Cultura. Sarebbe un atto civile che darebbe valore morale e simbolico al nostro tempo». La proposta, sottoscritta anche da don Vidmar, ipotizza come luoghi possibili per l’ossario l’area ai piedi del monte Skalnica o le vicinanze della basilica di Monte Santo. A oggi, però, nessuna risposta è giunta dalle istituzioni.

Durante l’omelia, Vidmar ha riflettuto anche sull’energia impiegata per la violenza e sulla necessità di una “rivoluzione cristiana dell’amore”: «Non è semplice uccidere 900 persone. Bisogna arrestarle, deportarle, nascondere i delitti. Ma quanto siamo disposti a fare noi per amare? Per guarire le nostre ferite? Il cuore può anche spingere a uccidere. Per questo preghiamo: Signore, guarisci le nostre ferite, affinché portino frutto». Infine, ha invitato i fedeli a guardare avanti, oltre l’odio e oltre la rabbia. «La critica agli altri, anche se giustificata, non basta. È veleno. Non escludiamo chi ci ha escluso. Andiamo insieme verso la Terra Promessa della pace e della vera libertà, anche se dovesse richiedere cento o mille anni».

Fotoservizio di Sergio Marini.

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