IL DIBATTITO
Al voto sul referendum, da Staranzano l'appello su lavoro e cittadinanza uniti dal filo rosso della «precarietà esistenziale»

Alla serata di martedì 3 giugno organizzata dal Gruppo Scout 1 hanno partecipato Michele Piga, Beatrice Bertossi, Giovanni Iacono e Marina Rossini. Forti le ragioni a supporto del sì.
Siamo alla vigilia dell’apertura delle urne per il referendum, argomento che negli ultimi giorni è centro del dibattito nazionale e non solo. Reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa e maggiori tutele in caso di piccole imprese, obblighi di causale ai contratti a tempo indeterminato per cercare di frenare il lavoro precario, estensione delle responsabilità legate alla sicurezza sul lavoro alle aziende appaltatrici e, infine, dimezzamento dei tempi di residenza legale in Italia per richiedere la concessione della cittadinanza italiana (da 10 a 5 anni): questi gli argomenti dei cinque quesiti a cui domani e dopodomani la popolazione italiana è chiamata a dare risposta.
Se ne è parlato a Staranzano, qualche giorno fa, dei quesiti e delle situazioni normative, giuridiche e soprattutto umane che andrebbero a mutare in caso di vittoria dei cinque sì o a rimanere tali e quali qualora prevalessero il no o non si raggiungesse il quorum. L’incontro, ospitato dal Comune di Staranzano nella Sala Peres e organizzato dal Gruppo Scout Staranzano 1, ha visto al tavolo dei relatori Beatrice Bertossi (coordinatrice regionale del sindacato Unione degli Studenti), Michele Piga (segretario regionale Cgil), Giovanni Iacono (avvocato con esperienza nel campo dell’immigrazione) e Marina Rossini (presidente regionale Arci).
Una serata molto partecipata da cittadini e gruppi scout del Mandamento, quella dello scorso martedì 3 giugno, che prima di virare sull’approfondimento dei singoli quesiti si è aperta sottolineando l’importanza della partecipazione alle urne. A parlarne è stata Bertossi, citando la condizione di studenti e giovani, ai quali il futuro «non presenta prospettive rosee»: «Precarietà lavorativa significa anche una precarietà esistenziale che rende impossibile pensare a progetti a lungo termine». È inoltre importante andare al voto, secondo la coordinatrice dell’Unione, alla luce «del forte apparato repressivo verso ogni forma di dissenso e resistenza e verso determinate lotte sociali del nostro Paese». «In questo momento storico, votare sottolinea che pretendiamo un mondo diverso – ha concluso Bertossi - un mondo che tuteli lavoratori e lavoratrici, che investa nel welfare, nell’istruzione e nei servizi di cura e che non manganelli in piazza certe parti sociali».
A Michele Piga è spettato l’approfondimento delle proposte di abrogazione di due misure del Jobs Act (il primo e il secondo) e di due promulgate dall’attuale governo Meloni (il terzo e il quarto). Quesiti, ha spiegato Piga, mossi dalla volontà di contrastare la «svalutazione del lavoro» in corso da anni in Italia, evidente dai salari più bassi e nel calo del Pil dei lavoratori, «segno che la ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi mentre le disuguaglianze sono aumentate». All’interno del referendum, dunque, un unico fil rouge, ovvero il «contrasto alla ricattabilità di lavoratori e lavoratrici»: «Chi mai porrà questioni salariali e di diritto a un datore di lavoro se ha un contratto a tempo determinato e rischia di non vederselo rinnovato? O chi mai esporrà al proprio datore problemi di sicurezza e salute, se poi rischia di essere licenziato per convenienza?» sono alcune delle questioni sollevate dal segretario Cgil Fvg.
Dal discorso sul mondo del lavoro non è certo disgiunto il tema del quinto quesito, ovvero la cittadinanza e la popolazione di origine straniera presente in Italia, costretta in molti casi a lavorare in condizioni «di bieco sfruttamento»: lo ha sottolineato Giovanni Iacono, descrivendo il «senso di precarietà morale, sociale e culturale che queste persone provano per il fatto di essere sempre in attesa di un favore o di una risposta da parte dello Stato, condizione psicologica che noi sottovalutiamo sempre».
L’avvocato e professore ha poi illustrato le condizioni necessarie per vedersi concessa la cittadinanza, la storia normativa dell’attuale vincolo, le difficoltà che esso comporta a livello quotidiano e burocratico e ancora gli almeno tre anni aggiuntivi oltre agli attuali dieci durante i quali «si è alla mercé di un’istruttoria che rischia di essere infinita, in attesa di una decisione sperando che nel frattempo la propria posizione sociale e lavorativa non sia cambiata in peggio». Forte anche qui la condizione di precarietà, dunque, che secondo Iacono «bisogna eliminare per far sì che questa popolazione riacquisti un rapporto di fiducia e non rappresenti più un esercito del lavoro di riserva rispetto al quale facciamo finta di niente».
Sulle ricadute che questi «lunghi dieci anni hanno su due milioni e mezzo di persone» si è espressa anche Marina Rossini: la presidente Arci ha evidenziato le difficoltà nel riuscire a dimostrare i requisiti necessari, dalla permanenza legale continuativa al cosiddetto «reddito dignitoso». Situazione che coinvolge non solo gli adulti, ha ripreso Iacono: «Quando figli e figlie sentono che i loro genitori devono penare aspettando la cittadinanza, prima o poi scatta in loro un meccanismo di rivalsa nei confronti dell’Italia». Certi fenomeni di radicalizzazione nelle fasce giovani, ha aggiunto Rossini, sono dovuti proprio a questo, «alla rabbia che provano questi ragazzi che studiano e vivono tutta la loro vita in Italia, ma non sono riconosciuti dalla società come italiani». La presidente Arci ha infine comparato le attuali tempistiche italiane con quelle più contenute degli altri Paesi europei, ricordando come l’attuale normativa derivi «da una modifica dettata da un motivo storico contingente, poiché fino al 1992 erano cinque anni» e invitando comunque ad «andare al voto indipendentemente dalle proprie posizioni sui quesiti».
La posizione dei quattro relatori rispetto ai cinque quesiti è apparsa chiara, ma – questa la domanda venuta spontanea – quali possono essere le eventuali opinioni e ragioni a sostegno del no? «Ci sono posizioni contrarie alla concessione della cittadinanza, che hanno tutte a che fare con il timore di un’immigrazione diffusa e incontrollata come conseguenza dell’accorciamento dei tempi di residenza legale» la risposta di Rossini, ma dal momento che «sui quesiti referendari non si sono costituiti comitati per il no», la sensazione è che manchino «argomentazioni forti a supporto».
Foto Salvatore Ferrara
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