La Via Crucis di De Finetti a Corona, simbolo di una guerra

La Via Crucis di De Finetti a Corona, simbolo di una guerra

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La Via Crucis di De Finetti a Corona, simbolo di una guerra

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 03 Apr 2022
Copertina per La Via Crucis di De Finetti a Corona, simbolo di una guerra

Un libretto ne ripercorre creazione e memoria. L'opera d'arte è custodita nella chiesa dei santi Maria e Zenone.

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La guerra, lui, l’aveva vissuta e nella Corona che lo aveva ospitato aveva deciso di dipingere, prima per un’esposizione profana a Mariano e, poi, donandola alla parrocchia dei santi Maria e Zenone, la Via Crucis. Gino de Finetti si trova, nel 1949, a realizzare le quattordici stazioni, attualmente ancora conservate nella chiesa parrocchiale di Corona, a dover esprimere una “meditata urgenza creativa”, come ha sottolineato Lidia Di Lio, curatrice assieme a Vanni Feresin e Matteo Donda, di un libretto che, da oggi, racconta con ancor più precisione le vicende e, soprattutto, analizza storia ed espressione delle tavole del De Finetti a oltre 70 anni dalla loro nascita.

Una presentazione, quella di questo pomeriggio proprio nella chiesa parrocchiale, che ha visto la presenza del parroco, don Michele Tomasin, e del sindaco, Luca Sartori. “Quando entriamo in chiesa – ha ricordato don Tomasin – spesso ci fermiamo con gli occhi sugli altari o sulle suppellettili che sono più sgargianti. Le Vie Crucis rischiano, in questo senso, di essere viste ben più tardi. Noi, nella nostra chiesa parrocchiale, abbiamo un’opera decisamente importante e mi posso dire fortunato, durante le celebrazioni, di poterli osservare e poter pregare di fronte”. Federico Ungaro, presidente della Biblioteca Comunale, ha voluto ricordare come "un anno fa, quando si pensava di pubblicare il volume, non c'era alcuna guerra in Europa. Oggi, presentando e raccontando quest'opera, la situazione è cambiata e ci fa vedere con occhi diversi la Via Crucis del De Finetti".

“Nella Via Crucis di Corona – sottolinea ancora Di Lio - l'efficacia della narrazione, affrontata senza sbavature lirico-sentimentali, si coglie, oltreché nel pathos derivato dalla diegesi biblica, anche nella saturazione cromatica della sua texture pittorica. Con vibranti pennellate di colore, prediligendo la gamma dei viola-malva, in contrappunto ai toni aranciati, de Finetti campisce in primo piano le vesti del Cristo (poi sostituite con un adamantino peplo bianco), delegando ai toni di blu e di marrone la funzione di costruire le zone d'ombra e i fondali, Saranno questi vividi brani pittorici a rammemorare, affinché il tempo non ne diluisca il portato, un personale senso del divino, maturato dall'artista ormai quasi ottuagenario”.

Il corpus preparatorio è attualmente conservato ai Musei Provinciali di Gorizia mentre, va detto, alla presentazione l’accompagnamento musicale degli Archi dei Patriarchi ha riportato il tempo indietro all’inaugurazione del 1950 quando vennero eseguite da un quartetto goriziano le Sette Parole di Nostro Signore Gesù Cristo Sulla Croce di Michail Haydn, esattamente come questo pomeriggio con alcune aggiunte.

Tra i particolari più suggestivi vi è da sottolineare, infine, il copricapo indossato dai soldati romani che portano Cristo prima sul Calvario e poi alla morte di croce: il chiaro riferimento di De Finetti è alla Germania nazista, tanto che sui soldati capeggia un elmo tedesco. “Per chi entrava nella chiesa parrocchiale negli anni ’50 era ancora vivo il ricordo dei momenti tristi e difficili passati negli anni del nazismo (lo stesso De Finetti scapperà dalla Germania con la moglie per rifugiarsi a Corona nella villa estiva al momento della presa al potere nel 1933, nda) e De Finetti – conclude Di Lio – ha deciso di esprimere il dolore e la tragedia con quel preciso simbolo”. 

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