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La vespa orientalis ai confini di Carso e in costa, ecco come si espande in Fvg
Diverse le cause del suo insediamento, dai cambiamenti climatici con temperature più miti alla mancanza di competitori. La spiegazione dell'esperto.
L’estate sta finendo, ma per la Vespa orientalis – il cui nome comune è calabrone mediterraneo – le aree lungo la costa continuano ad attrarre. Così, finché le temperature restano miti possono creare non pochi problemi, tanto alle laboriose api quanto agli apicoltori. Il corpo rossiccio con una striatura gialla meno marcata rispetto al calabrone nostrano, la specie orientalis è letteralmente sbarcata nella nostra regione fin dal 2018. «La sua presenza in regione è partita da Trieste – sottolinea Andrea Colla, entomologo presso il Museo civico di storia naturale del capoluogo – Trasportata in porto attraverso qualche carico di merci, perché le prime segnalazioni della sua presenza sono partite proprio dalla zona del Porto Nuovo».
Diverse le cause del suo insediamento, dai cambiamenti climatici con temperature più miti alla mancanza di competitori, condizione che hanno garantito alle vespe l’accesso alla zona costiera e alla città, che ormai ne è piena. Originaria del Mediterraneo sudorientale - ma anche dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia centrale - ha via via colonizzato altri paesi europei fino a radicarsi in Sud Italia e infine nel Friuli Venezia Giulia. «Per effetto del cambio climatico sta espandendo il suo areale nel Centro Sud – osserva Colla - perché il suo areale era in Sud Italia, con qualche segnalazione al Centro. Adesso è molto comune al Centro e sta salendo».
«Quindi è probabile che nel prossimo futuro le popolazioni in risalita per espansione naturale dell’areale man mano che cambia il clima si incontrino con quelle in discesa, e le popolazioni si verranno a riunire». A differenza del Calabrone asiatico (Vespa velutina), la orientalis nella nostra regione non è considerabile una specie aliena in senso stretto, poiché presente nel bacino del Mediterraneo sin dalle origini. «Non possiamo considerala una specie esotica, in quanto specie mediterranea che sta espandendo il proprio areale – rimarca l’entomologo – Nel caso di Trieste ritengo che sia “aliena”, nel senso che è stata portata, pur essendo un animale del bacino Mediterraneo. Ma non di queste zone. In Italia è autoctona, da noi è stata portata con le merci».
Spazzine opportuniste in grado di volare per chilometri lontano dal proprio nido, la Vespa orientalis si è diffusa a tal punto che si è ritenuto di non annotare più i dati relativi alla sua diffusione. «Abbiamo anche smesso di tenere le località, perché era chiaro che tutta la città ne era piena. Si mantiene in città e lungo la costa. Non è ancora arrivata sul Carso – ho qualche segnalazione di Opicina – ma non del Carso interno». Se in passato raggiungeva i nostri territori senza riprodursi, i cambiamenti climatici in atto ne hanno moltiplicato esponenzialmente gli individui. «Gli esemplari trasportati non erano riproduttivi – sottolinea - Qui invece il fatto che si sia riprodotta e diffusa è dovuto essenzialmente al cambio climatico, con inverni così miti che da vari anni la temperatura in città non scende nemmeno sottozero».
Un punto a favore del Carso, dove invece le temperature sono inferiori e le condizioni meno ospitali per il calabrone. «Sul Carso l’inverno è un po’ più rigido, quindi c’è il sospetto che questa specie mediterranea – infatti si chiama Calabrone mediterraneo – non gradisca temperature invernali. Potrebbe essere questo, il fattore limitante. Oltre a un altro fattore, dato dalla competizione con il calabrone nostro – Vespa crabro – che non si urbanizzava. In città non c’erano segnalazioni, se non in periferia. Quindi la orientalis ha trovato in città sia la nicchia scoperta, per l’assenza dell’altro calabrone, sia il clima giusto. A quell’epoca, quando ancora ne seguivamo la diffusione, avevamo previsto che si sarebbe diffusa soprattutto lungo la costa, in direzione di Muggia da una parte e di Monfalcone dall’altra. E così è stato».
Al momento le segnalazioni sono presenti su tutta la zona costiera, e le previsioni la vedono in espansione lungo l’intera costa. «Se ci sono località dove mi aspetto che venga segnalata – come è già accaduto per l’area di Monfalcone – questa è anche Grado, anche se potrebbe essere frenata da tratti di costa non urbanizzati. Tutta la costiera fino a Sistiana non presenta grandi centri urbani, e questo potrebbe limitarla, in quanto è una vespa antropofila, si nutre di rifiuti urbani: l’uomo le offre molte opportunità alimentari. È possibile che i luoghi dove non vi è presenza umana siano per lei meno attrattivi. Ritengo che si espanderà soprattutto verso i centri costieri urbanizzati, in primis verso Muggia e l’Istria. Verso Monfalcone c’è invece un tratto di costa poco urbanizzato con pochi centri abitati».
L’imenottero non rappresenta tanto un problema per gli abitanti, quanto per l’attività predatoria svolta nei confronti delle api bottinatrici o delle larve e delle pupe, con un’importante ricaduta sulla produzione di miele. «I problemi che creano non sono tanto per il numero di api che viene predato. Il problema è che predano per allevare le larve, ecco perché a fine stagione smettono di predare. Quando sono in piena attività aspettano l’ape che esce dall’arnia. Le altre, spaventate, non escono più. Si forma un groviglio di api che vivono consumando il miele prodotto, con un conseguente danno per l’apicoltore». Di qui la propensione delle vespe ad accerchiare arnie di api, fungendo anche da vettori di funghi e virus per le malcapitate.
«Questa vespa ha una propensione ad attaccare alveari. Da parte di Vespa crabro non sono segnalati grandi danni, mentre questa lo fa regolarmente, tant’è che in Paesi dov’è da sempre presente – come, ad esempio, in Israele – adottano strategie con reti anti-calabroni o trappole a base di esche molto attrattive. In presenza di alveare sono aggressive nei confronti delle api. Da noi non abbiamo avuto grandi danni; a Trieste ci è stato segnalato qualche attacco quando è arrivata in periferia, perché all’inizio il problema di questa vespa era solo in centro città. Quando ha iniziato a espandersi e arrivare a ridosso del Carso, rimanendo tuttavia in basso, ha creato qualche danno, ma poca cosa, perché la nostra apicoltura è soprattutto carsica. Vicino alla città sono poche le arnie a uso familiare».
Risale a ieri la segnalazione un albero cavo in un parco pubblico di Trieste, dove le api presenti sono state attaccate da calabroni. «Sono convinto che possa trattarsi di Vespa orientalis – sottolinea - Come pericolosità per l’essere umano è inferiore a quella del calabrone europeo Vespa crabro. A lui è simile per taglia e pungiglione, ma sembrerebbe meno aggressiva. I calabroni in sé sono animali abbastanza tranquilli, se lasciati in pace. Ormai la città ne è piena, eppure l’Azienda sanitaria non segnala un incremento di punture di vespa, rispetto a prima quando era assente. Certo, se disturbata, può diventare pericolosa».
Una specie che in genere costruisce il nido sottoterra o fra i muri, lontano dalla vista, motivo per cui «i nidi sono meno facilmente individuabili rispetto a quelli di Vespa crabro, che tende a fare i nidi sotto le tettoie». «La orientalis preferisce fare i nidi nelle fessure dei muri o in posti molto riparati, dove probabilmente trova valori di umidità differenti». In linea di massima si tratta di un animale che si sta adattando bene ai rifiuti urbani, «e non sembra interessata a pungere. Anche perché le posizioni dei nidi sono talmente nascoste che difficilmente si può mettere a rischio un nido. Se lo fanno fra i muri a quattro metri d’altezza gli umani che stanno sotto fanno parte del paesaggio e non sono ritenuti un pericolo».
Finora sono rarissime le segnalazioni dei nidi della orientalis, di norma defilati o poco visibili. Una spiegazione che giustifica il basso rischio di un incontro ravvicinato infausto. «Probabilmente anche questo incide sulla scarsa pericolosità» ribadisce. Con i primi freddi le api possono tirare invece un sospiro di sollievo: «Come viene il freddo le vespe muoiono, tranne qualche regina che sverna per nuovi nidi in primavera. I nidi vengono solitamente abbandonati all’inizio dei primi freddi veri. Anche i nidi possono essere rimossi e l’attività finalmente cessa», conclude.
Broobas Binish Roobas, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
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