L'uomo dietro al suo cinema raccontato a èStoria, «ecco chi era François Truffaut»

L'uomo dietro al suo cinema raccontato a èStoria, «ecco chi era François Truffaut»

l'intervista

L'uomo dietro al suo cinema raccontato a èStoria, «ecco chi era François Truffaut»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 25 Mag 2024
Copertina per L'uomo dietro al suo cinema raccontato a èStoria, «ecco chi era François Truffaut»

Mario Serenellini, giornalista e traduttore, racconterà la vita del cineasta nell'ultima giornata del Film festival domenica sera al Kinemax di Gorizia.

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È stato un’icona del cinema, non solo francese ma europeo, vittima in Italia delle case di distribuzione che hanno storpiato i titoli di molti suoi film per proporli nelle nostre sale. N’è convinto Mario Serenellini, giornalista e traduttore, che racconterà la vita di François Truffaut a èStoria per celebrarlo a 40 anni dalla morte. «Non amo eccessivamente Truffaut come autore di cinema, ma molto sul piano umano» racconta l’ospite, che sarà davanti al pubblico del Kinemax di Gorizia domenica 26 maggio alle 20.30.

Sono passati 65 dal primo lungometraggio, 70 dal primo corto del cineasta. Una confessione sincera, come mai era successo prima e come non succederà mai più. A Montreal, a 39 anni sente il bisogno di parlare non soltanto dei suoi film ma anche di sé stesso. Una lucida introspezione, nell’anno in cui è morta sua madre e in cui esce dalla depressione dopo la relazione con Catherine Deneuve. L’infanzia e l’adolescenza, l’apprendistato esistenziale e cinematografico, i grandi maestri da Hitchcock a Welles ma anche la delinquenza giovanile.

Che cosa ci ha lasciato Truffaut?
Non è mai scomparso. Truffaut è un autore che può piacere o meno, ma ha sempre qualcosa da raccontare. Era un ottimo romanziere e i buoni romanzi non scompaiono mai, così come i suoi film. Nei miei libri, ho sempre evitato di utilizzare unicamente i titoli italiani, che spesso perdono il significato originale, come 'I 400 colpi' o 'Non drammatizziamo... è solo questione di corna’. Uno dei motivi per cui Truffaut è poco conosciuto in Italia, ma un mito altrove, è proprio legato ai titoli attribuiti ai suoi film. Anche se non tutti sono capolavori, rimangono comunque buoni racconti. Gli americani dicono che per fare un buon film serve una buona storia, una buona storia e una buona storia.

Cosa rende attuali i suoi film?
La stessa domanda l'ho posta a sua moglie 15 anni fa, e lei mi aveva risposto: 'Probabilmente il fatto che Truffaut, quando racconta le sue storie, si cala sempre nel passato'. 'I 400 colpi' parla della sua infanzia negli anni Cinquanta, altri film sono ambientati nella Prima guerra mondiale o durante l’occupazione nazista, come 'L'ultimo metrò'. Truffaut racconta l'oggi attraverso il passato, forse questo è uno degli elementi fondamentali della sua attualità e del piacere che si prova nel vedere un suo film e seguire una sua storia.

Quel cinema è certamente diverso nei ritmi rispetto ai titoli più moderno. Il pubblico di oggi farebbe difficoltà ad avvicinarsi?
Esiste uno spettatore di 20 anni oggi che andrebbe a vedere una sua retrospettiva? Ci sono autori contemporanei che ci sparano immagini in faccia, ma per un giovane d’oggi il nome di Truffaut potrebbe non significare nulla, e questa è già una prima difficoltà. I giovani d’oggi, quando sentono 'bianco e nero', spesso scappano senza capire che ci sono titoli stupendi, come 'A qualcuno piace caldo'. La commercializzazione cinematografica ha portato a una sorta di pigrizia visiva, colonizzando alcuni capolavori del passato. Truffaut è chiaramente un autore del passato, ma ci parla comunque dell’oggi. Il bianco e nero lo ha usato deliberatamente nel suo ultimo film, un omaggio a Hitchcock, ma già 'L'ultimo metrò' era a colori.

I tempi oggi sono veloci, come si può avvicinare il pubblico ai suoi film?
Il cinema di Truffaut è fatto di lentezze, pause e tempi lunghi, elementi che fanno esistere il cinema come arte, come nei film di Antonioni che peraltro Truffaut non amava e lo aveva parodiato. Gli spettatori di oggi devono reimparare a guardare. Sono proprio queste lentezze a rendere i suoi film affascinanti.

Come hanno influito i titoli tradotti sulla percezione dei film di Truffaut in Italia?
"Uno dei più belli è 'La Sirène du Mississippi', che in italiano è diventato tutt'altra cosa. Stiamo parlando di un’epoca in cui i distributori, per vendere film, ricorrevano a sotterfugi, danneggiando Truffaut. Sembravano titoli da storie soft porn, com’era abitudine negli anni Settanta, e questo non faceva bene né al cinema dell’epoca né a Truffaut stesso.

Ha anticipato l’irrequietezza del cinema francese?
Non è stato come Godard, che da un punto di vista cinematografico era molto più avanti. Lui era un autodidatta, molto combattivo e passionale. Nella Nouvelle Vague ci sono altri nomi interessanti, ma di tutti Truffaut è stato il più tradizionalista. Anche se i suoi temi erano scottanti per l’epoca, come in 'La Sirène du Mississippi' che distruggeva il mito di Jean-Pau Belmondo, Truffaut trattava le cose in maniera diversa. Ciò non toglie che i suoi titoli si vedano comunque con piacere. Aveva come mito autori in cui si riconosceva e mi ispirava a loro. Truffaut seguiva un percorso cinematografico molto classico, ma non polveroso o vecchio, bensì positivo.

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