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Ultra Lisontium, poesia e musica tra bisiaco, sloveno e friulano a Monfalcone
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Ivan Crico racconta la genesi dell'opera, figlia della Mitteleuropa, e l'incontro con i musicisti Ingrid Mačus e Alessio Domini. Lo spettacolo al Bonezzi.
Una prima assoluta, quella organizzata il 22 marzo a Monfalcone al Teatro comunale Bonezzi nell’ambito del festival Geografie. È “Ultra Lisontium”, concerto di rilievo internazionale con composizioni originali e la poesia di Ivan Crico: si tratta di un’occasione unica per la diffusione della creatività del territorio sviluppata da un gruppo composto da giovani emergenti e con la presenza dell’Orchestra del Friuli Venezia Giulia.
L’appuntamento è, come detto, per venerdì 22 marzo alle 20.45. La serata, inserita nell’ambito del festival Geografie, vedrà l’esecuzione di composizioni originali di Alessio Domini e Ingrid Mačus su testi di Ivan Crico. Per le Associazioni del territorio sono previsti biglietti scontati mentre per le scuole di musica, danza e teatro il biglietto ha la tariffa di 5 euro a partecipante.
“Ultra Lisontium”, “Oltre l'Isonzo”. Oltrepassare questo fiume, fin dalla più remota antichità, significava affacciarsi su un mondo misterioso, un Oriente favoloso pieno di ombre e colori, suoni e profumi, minacce e promesse. Un fiume che da sempre ha attraversato più stati, nell'unico territorio in Europa in cui, da più di un millennio, si sono incontrate e scontrate, imparando a convivere stabilmente, popolazioni latine, slave, germaniche. Soglia verso mondi, fisici ed interiori, sconosciuti. In un doppio movimento che contempla le profondità delle sorgenti e l'Aperto di noi stessi - mare sconfinato dove ardere irriconoscibili - di cui ogni foce è annuncio.
Territorio multietnico per vocazione, anche la produzione poetica e musicale si è fatta portavoce di questa stupefacente ricchezza di vocaboli e sonorità, con un ventaglio di suggestioni che vanno dai canti patriarchini agli arditi esperimenti di Schönberg nella capitale della Mitteleuropa. Come testimonia questo affascinante progetto musicale-poetico, in cui due giovani promettenti compositori delle nostre terre, la slovena Ingrid Mačus e il friulano Alessio Domini, entrano in dialogo con la poesia plurilingue di Ivan Crico, rabdomante raccoglitore delle voci segrete di queste terre di confine.
È lo stesso Ivan Crico a raccontare genesi e costruzione dell’intera opera.
Isonzo fiume di incontro/scontro, nasce un po’ così, da questa dicotomia di ponte-muro per un fiume con vari nomi in altrettante lingue, Oltre l’Isonzo, prodotto dal Teatro Comunale di Monfalcone “Marlena Bonezzi”. Come si è sviluppata l’idea a partire dalla tua opera? O, meglio, in che modo si è sviluppato l’intero progetto?
Qualche anno fa sono stato contattato da alcuni giovani compositori e musicisti, partendo da un'intuizione della giovane compositrice Maria Beatrice Orlando. Avevano letto alcune mie poesie dedicate al fiume Isonzo decidendo di commissionare ad una talentuosa giovane compositrice slovena, Ingrid Mačus, un'opera dedicata ai miei testi. Il lavoro è poi stato presentato a Pordenone in anteprima nazionale, diretto dal Maestro Alessio Domini, grazie ai virtuosi del Pics Ensemble, e in altre date in regione ed Emilia Romagna. La calorosa accoglienza riservata dal pubblico e dalla critica più attenta a questo progetto ha convinto il direttore del Teatro Comunale di Monfalcone, Simone D'Eusanio, a riproporlo in una versione più estesa e strutturata, nell'ambito del Festival Geografie e delle manifestazioni di ''Go2025!'', con l'idea di valorizzare l'opera della Mačus e Domini, giovani straordinari talenti delle nostre terre, commissionando due nuove composizioni eseguite in anteprima assoluta dalla FVG Orchestra.
Musica e poesia raccontano di un territorio visto attraverso gli occhi dell’emotività poetica, come si sono coniugate nel lavoro di produzione teatrale?
In maniera molto libera e spontanea. Ci siamo confrontati a lungo con i musicisti, spiegando il mio approfondito lavoro di ricerca sui linguaggi e sulle diverse culture di questo territorio, l'unico in Europa in cui ancora convivono persone di lingua latina, slava, germanica. Mettendo a disposizione un'ampia selezione dei miei testi. Che sono stati scelti e rivisitati dai musicisti in totale autonomia. Diciamo che si parte, in questo caso, avvantaggiati dall'aver respirato la stessa aria, condiviso paesaggi familiari, sapori e suoni che non sono mai così distanti, anche se la storia di ognuno di noi fluisce da diverse sorgenti.
Trattando il tema in varie lingue, quali sono state le difficoltà del rendere con vocaboli che nascono da tutt’altri ceppi linguistici qualcosa che già nel territorio del Goriziano/Isontino è difficile da raccontare, ovvero il rapporto tra le genti, la storia e il fiume?
L'idea di un progetto musicale plurilingue credo possa trasmettere da subito, anche senza spiegazioni, all'ascoltatore l'idea di una varietas del mondo da custodire e valorizzare in una realtà sempre più omologata come quella in cui viviamo oggi, in cui soltanto le lingue legate ad un potere economico, spendibili sembrano poter avere cittadinanza, smarrendo quel millenario poetico rapporto del linguaggio con i luoghi in cui si genera, diventando la testimonianza del tentativo di ritrarre con i suoni delle nostre parole il mistero delle cose che ci circondano. Un rapporto sacrale con la realtà circostante e con gli altri uomini, non legato soltanto alla logica del do ut des, o di una comunicazione in cui tutto deve essere, da tutti in ogni luogo, sempre immediatamente comprensibile. La musica da sempre ci ricorda che non dobbiamo rinunciare a proteggere questa indecifrabilità di fondo che dimora in ogni aspetto della nostra esistenza.
“Rabdomante” è un termine particolare e unico: in un gioco di parole si vuol far intendere che, in questo caso, non è la ricerca dell’acqua ma delle “voci segrete di queste terre di confine”. Le si possono ancora ascoltare? In che modo? Hanno la stessa importanza vitale come l’acqua per la quale si compiono guerre fratricide e per la quale la lotta prosegue anche nel XXI secolo?
Giuseppe Ungaretti, cantore dei drammi e della bellezza che ci ha donato e dona il nostro Carso, scrisse che “La poesia non è poesia, se non porta in sé un segreto. La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi. Ma lo avvicina”. Ecco, il poeta ci ricorda che per porsi in ascolto di queste voci è necessario avvicinarsi alle cose con rispetto, umiltà, consapevoli che la nostra comprensione è sempre limitata, velata da sovrastrutture, preconcetti, ed è vana illusione credere di poter definire, classificare in modo definitivo qualcosa. Diventa importante allontanarsi dal frastuono della cronaca, dal vuoto chiacchiericcio di spazi virtuali in cui impera quasi soltanto la logica del giudizio, per aprirsi all'ascolto di un mondo che ha ancora un'infinità di cose da raccontarci, se siamo disposti a raccogliere le sue voci segrete.
Citi, nella presentazione, il canto patriarchino e gli “arditi esperimenti di Schönberg”: una dicotomia di per sé affatto legabile. Ci siete riusciti così come per la costruzione, traduzione e adattamento linguistico dei componimenti poetici?
Come diceva Mahler, l'artista è un cacciatore che spara nel buio senza sapere se è riuscito a colpire qualcosa. Ogni opera incarna la speranza di raggiungere l'anima e il cuore di chi si troverà ad ascoltarla. Il raggiungimento di un punto di contatto, anche minimo, è già un grandissimo traguardo raggiunto. Riuscire a capirsi impiegando parole che sono, sia per chi le pronuncia che per chi le ascolta, parole inedite, inaudite, per guardare il mondo e guardarsi da punti di vista prima inimmaginabili: questa la grande sfida per ogni artista.
In foto Ivan Crico/@Dino Ignani
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