La Trilogia degli Ultimi porta la saga dei Mezzalira a Gradisca: «È storia di tutti noi»

La Trilogia degli Ultimi porta la saga dei Mezzalira a Gradisca: «È storia di tutti noi»

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La Trilogia degli Ultimi porta la saga dei Mezzalira a Gradisca: «È storia di tutti noi»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 24 Mar 2025
Copertina per La Trilogia degli Ultimi porta la saga dei Mezzalira a Gradisca: «È storia di tutti noi»

Segreti, relazioni, mezzadria e famiglia, il racconto avvicina il pubblico con la sua tragicomicità. Scritto da Agnese Fallongo con la regia di Raffaele Latagliata.

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Dopo ‘Letizia va alla guerra – la suora, la sposa e la puttana’ e … ‘Fino alle stelle! – scalata in musica lungo lo stivale’, spettacoli con i quali si sono posti all’attenzione della critica e del pubblico negli ultimi anni, Agnese Fallongo e Tiziano Caputo tornano con un nuovo progetto dal titolo insolito e curioso: ‘I Mezzalira panni sporchi fritti in casa’, terzo capitolo che conclude la “Trilogia degli Ultimi”. La storia dei Mezzalira, sarà raccontato in esclusiva regionale sul palcoscenico del Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo, martedì 25 marzo, alle 21.

Scritto da Agnese Fallongo, per la regia di Raffaele Latagliata, lo spettacolo vede in scena tre intensi e bravissimi interpreti: Agnese Fallongo, Tiziano Caputo e Adriano Evangelisti, quest’ultimo, stavolta, accanto a loro in veste di narratore della storia dopo averli diretti in ‘Letizia va alla guerra’. La produzione è di Teatro degli Incamminati. Il titolo I Mezzalira - panni sporchi fritti in casa nasce da un gioco linguistico che crea una fusione tra il celebre detto popolare “i panni sporchi si lavano in casa” e il concetto della “frittura” come simbolico spartiacque del binomio più antico della storia: quello tra servo e padrone, tra chi produce l’olio e chi lo possiede, tra chi può friggere tutti i giorni e chi non può friggere mai.

Se è vero che la saggezza popolare insegna a mantenere celate le questioni familiari all'interno delle mura domestiche lontano da occhi indiscreti, è altrettanto vero che quelle mura non sempre bastano a contenere i segreti, i tabù e i non detti della famiglia Mezzalira, protagonista del racconto, che, proprio come l’olio delle olive che raccoglie, scivola in una spirale di infausti accadimenti che la indurranno, inevitabilmente, a scendere a patti col mondo esterno. Il tutto visto e raccontato da Giovanni Battista Mezzalira detto “Petrusino”, il più piccolo della famiglia che, una volta adulto, traccerà un vero e proprio arco della sua esistenza, in un caleidoscopio di ricordi che attraverseranno una vita intera, una vita fatta di luci, ombre e colpi di scena all’interno del medesimo focolare domestico. Petrusino sarà costretto a fare i conti con i fantasmi del passato per poter scendere a patti con il presente, scoprendo di non essere stato il solo a custodire un segreto. Un racconto tragicomico che, ai toni brillanti della commedia all’italiana, mescola le tinte fosche del giallo e del thriller e che invita lo spettatore a guardare attraverso il buco della serratura di una casa “qualsiasi” per rintracciare il proprio personalissimo passato, e ricostruire così la propria storia, la storia della propria famiglia... non sempre perfetta.

Lei, Agnese Fallongo, affatto nuova in regione, racconta di come sia rimasta colpita dalle reazioni del pubblico: «Quello che volevo era uno spettacolo nel quale ci si potesse immergere e relazionare, la nonna dello spettacolo è la nonna di tutti nella quale ci si può riconoscere». L’attrice ribadisce come «oltre alla mezzadria è uno spettacolo che parla di relazioni e spero che anche le nuove generazioni di possano ritrovare».

Uno spettacolo in grado di «far colmare i buchi neri di una generazione all’interno di un’altra con un messaggio positivo». La storia nasce e si sviluppa «a seguito di varie interviste che ho realizzato nel tempo e che vanno a comporre i lati dei personaggi della vicenda» che la stessa Fallongo descriverebbe come una «saga familiare che parla di cicale e formiche, che le cicale possano anche essere formiche, di mezzadria».

«Per avere tutti delle possibilità, mettendosi al servizio della comunità, è necessario togliersi qualcosa», in un significato che, come lei stessa sottolinea, «non vuole essere la classica morale». Il messaggio, però, arriva e piace: «Non ho voluto regionalizzarlo fin da subito affinché ognuno vi si potesse ritrovare ma prendendo pezzi di dialetto in modo non ibrido, così come per la questione dei luoghi, scegliendo un sud che non è solo quello italiano ma il sud del mondo perché c’è sempre qualcuno più a sud di te».

Una sorta, dunque, di metateatro con una scelta registica che vede gli oggetti di scena risuonare, senza musica dunque, «attirando il pubblico in prima persona. Raffaele ha fatto una scelta di regia unica ma funzionale, togliendo anche le porte alla casa». Un mondo «rurale, di terra, di olive, di frittura, di mezzadria». Un viaggio di ricordi e di musica non musica, dove ci sono «solo voci e suoni» al servizio della storia. La storia dei Mezzalira, un nomen omen, chiaramente, ma anche di tutti noi. 

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