I treni per il lager, le storie dei deportati da Gorizia tradotte in sloveno

I treni per il lager, le storie dei deportati da Gorizia tradotte in sloveno

il lavoro

I treni per il lager, le storie dei deportati da Gorizia tradotte in sloveno

Di Eliana Mogorovich • Pubblicato il 07 Apr 2023
Copertina per I treni per il lager, le storie dei deportati da Gorizia tradotte in sloveno

Comuni italiani e sloveni hanno patrocinato l'iniziativa, il 60% dei deportati dal carcere cittadino era composto da sloveni.

Condividi
Tempo di lettura

Una, anzi: tante storie nella storia. Storie da restituire alla comunità, italiana e slovena insieme perché entrambe hanno sofferto per quanto accaduto ottant’anni fa. Ed è così che il libro “I treni per il lager. La deportazione dal carcere di Gorizia (1943-1945)”, scritto lo scorso anno da Luciano Patat ed edito dall’Istituto Friulano di Storia del movimento di liberazione di Udine, nei prossimi mesi conoscerà una versione in sloveno. L’idea della traduzione, contestuale alla presentazione del volume al Kulturni dom lo scorso luglio, è nata dalle sollecitazioni del direttore Igor Komel.

A colpirlo è stato il fatto che oltre il 60% di coloro che sono stati arrestati, condotti nel carcere goriziano e quindi trasferiti nei campi di concentramento vivevano nei comuni attualmente in area slovena ma, a quel tempo, appartenenti alla provincia di Gorizia. Il lavoro coordinato dallo stesso Komel, è stato affidato al giornalista Igor Tuta, collaboratore Rai di Trieste, e dovrebbe essere presentato in settembre (sempre al Kulturni dom) in occasione delle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario del Fronte di Gorizia. Numerosi i comuni che, al momento, hanno dato il loro patrocinio all’iniziativa.

Da Nova Gorica a Savogna d’Isonzo, da Caporetto ad Aidussina tutti hanno dimostrato sensibilità per l’argomento trattato anche perché – come si legge nella delibera della giunta comunale di Savogna – forte è il desiderio di «trasmettere alle future generazioni la storia, ripercorrendo le vicende del passato, memori delle atrocità della guerra ma rivolti al futuro promuovendo la diffusione della cultura della pace». Le atrocità di cui si parla si racchiudono in tre numeri: 6700, 3085 e 718 che sono rispettivamente le persone rinchiuse in via Barzellini perché nemiche del Reich, quelle che vennero inviate nei campi di concentramento e quelle che vi morirono.

I tre anni della pandemia Luciano Patat, storico da sempre attento alle tematiche della Resistenza, li ha trascorsi impiegando il proprio tempo libero e le proprie risorse interrogando i registri dell’istituto detentivo del capoluogo isontino per ricostruire la storia delle deportazioni dei venti mesi intercorsi fra il settembre 1943 e l’aprile del 1945, il periodo dell’occupazione tedesca della città. Lo spoglio gli ha permesso di ritrovare i nomi dei detenuti, il reparto delle SS che aveva effettuato l’arresto, la data del fermo e quella della deportazione facendo emergere un dato numerico molto interessante.

Dei 7041 detenuti, ben 6700 erano politici «partigiani, antifascisti, collaboratori della Resistenza, con un’altissima percentuale di donne: un segno, questo, di quanto fosse esteso il consenso alla lotta di liberazione nel goriziano» spiega Patat. Lo storico non si è però limitato all’indagine del periodo di detenzione ma ha cercato di ricostruirne le biografie seguendo le persone anche nei loro successivi viaggi interrogando gli archivi Arolsen, un centro internazionale di documentazione, informazione e ricerca che ha digitalizzato un’infinita mole di informazioni sulla persecuzione nazista, il lavoro forzato e l'Olocausto nella Germania nazista e nelle regioni occupate.

La maggior parte dei 3085 deportati goriziani, per il 90% persone provenienti dai territori poi passati oltreconfine, è stata condotta nei campi di lavoro di primo livello di Dachau nella “speranza” che potessero essere “corretti”. Settecento i detenuti arrivati in Baviera, oltre quattrocento quelli costretti ai più duri regimi di Buchenwald e Flossenburg e più di cento quelli ritenuti “irrecuperabili” arrivati a Mathausen.

Oltre il 70% dei deportati erano donne, destinate anch’esse a essere sfruttate per il lavoro: oltre quattrocento vennero inviate ad Auschwitz e, dopo la sua chiusura nel gennaio del ‘45, furono trasferite a Ravensbruck e Bergen Belsen. Dei 3085 prigionieri che partirono dal carcere goriziano ne morirono 718, 605 uomini e 113 donne: Gorizia e il suo territorio hanno pagato un tributo molto alto alla lotta per la liberazione. Come dimostrato dall’interesse dei comuni per la traduzione del volume, non dimenticare è un dovere civico e istituzionale al tempo stesso.

Foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione