Le operazioni
Tra miniature e pergamene, il restauro dei codici aquileiesi nella Biblioteca del Seminario

Sono 21 i volumi che vengono ripuliti e sistemati e poi digitalizzati. Quattro di essi avranno un trattamento più profondo.
Sono in due, nell’ufficio della Biblioteca pubblica del seminario teologico centrale di Gorizia, vestiti di bianco e, indossati i guanti bianchi, lavorano su due antichi codici. Il lavoro è quello della pulitura, al fine di preservare al meglio l’importante e prezioso tesoro che hanno tra le mani. Qualche pagina risente del tempo, la pergamena a volte stracciata e ricucita che porta i segni del tempo, alcuni punti addirittura mangiati dall’acido dell’inchiostro lasciano intravedere il foglio successivo.
In tutto ciò la bibliotecaria, la dottoressa Isabella Sgoifo, segue paziente le operazioni di pulitura e controllo e, dall’altra parte, nel buio dell’ufficio del direttore, appositamente sistemato, quelle di digitalizzazione dei codici. Un’operazione finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia per circa 78mila euro e che proseguirà ancora fino a metà aprile. «Abbiamo pensato fin da subito di lasciare un segno tangibile per la storia dell’intero territorio – così il presidente della Fondazione Carigo, Alberto Bergamin – da lì il desiderio e, successivamente, l’operazione vera e propria di restauro dei codici aquileiesi e poi la loro esposizione».
In questi giorni, dunque, sono al lavoro gli esperti del Centro studi e restauro di Gorizia. Sulle due Bibbie che saranno esposte in Fondazione Carigo tra qualche settimana ci sono Adriano Macchitella e Caterina Longo, due dei tre tecnici in servizio al Centro assieme a Loredana Soranzio. Sono due dei cinque volumi che compongono l’opera completa risalente al 1286 e il cui ultimo restauro era stato effettuato nel 1988.
In tutto, l’opera di restauro e digitalizzazione riguarda 21 dei 22 codici di proprietà della Biblioteca – l’ultimo è già stato restaurato e digitalizzato ed è conservato nella Curia Arcivescovile – mentre quattro, a turno, saranno portati in laboratorio al Pastor Angelicus per un lavoro ancora più approfondito di restauro.
A occuparsi della digitalizzazione la Be.One.digital, azienda triestina, per la quale intervengono il proprietario, Fulvio Salimbeni, e l’esperta Ginevra Zelaschi. «Il materiale è di grandi dimensioni e non è semplice lavorarci perché ogni foglio ha le proprie caratteristiche, le proprie dimensioni e le proprie problematiche», così Salimbeni. Ecco che, dunque, la tecnologia viene in aiuto ma ci vuole anche un po’ di inventiva. Così, nella stanza senza alcuna luce naturale ma solo quella calibrata e ben definita dalle lampade artificiali, gli antichi codici si trasformano in codici binari e da un supporto fisico diventa immateriale.
Si tratta di 12.500 pagine – anche se il termine non è corretto e sarebbe ottimale dire 12.500 tra recti e versi – che sono digitalizzate secondo le linee guida fornite dalla Cei e sotto lo stretto controllo della Biblioteca e dell’Erpac. Il materiale, poi, sarà consegnato direttamente all’ente per mantenerlo ed eventualmente renderlo fruibile per la consultazione. Ma sarà una scelta successiva.
«Sono volumi – racconta Zelaschi – di grande costo e grande pregio. Basti pensare che erano legati con le catene affinché non venissero rubati o manomessi. Per il copista e per i miniatori era un lavoro lungo e certosino. Oggi, con il costo che all’epoca hanno sostenuto i finanziatori che li hanno commissionati, ci potremmo comprare una Ferrari di gran lusso, volendo fare un paragone». Un valore inestimabile, dunque, che oggi, visti i secoli che sono passati, continuano ad avere.
I codici vengono, dopo l’accurato restauro dei professionisti, che, in alcuni casi, hanno applicato anche della carta giapponese per evitare che alcuni fori potessero aggravarsi e allargarsi, ed eliminato eventuali presenze biologiche dettate dall’utilizzo nel tempo, appoggiati su un supporto realizzato ad hoc. Lì, adagiati, vengono scansionati grazie a una fotocamera con ottica fissa da 50mm. In totale, si prevede un peso di tutti i file di circa 20 terabyte. Ogni foto, poi, viene controllata e deve passare un test di qualità «di ben sette punti prima di poter essere archiviata nel nostro database», così Salimbeni. Se è lo stesso Salimbeni a occuparsi della parte tecnologica, Zelaschi fornisce il supporto tecnico e professionale da ricercatrice ed esperta che ha collaborato, tra i vari, anche con l’Università di Vienna.
Ultimo passo, prima di essere esposti, seppur per un breve tempo onde evitare si possano rovinare, i codici conservati a Gorizia, piccola parte di quell’inestimabile patrimonio librario e codicologico del Patriarcato di Aquileia, di cui anche l’arcidiocesi di Gorizia è degna erede, le copertine in pelle ricevono un trattamento nutriente con una base in cera d’api. E, dopo il periodo di esposizione, la conservazione per il futuro e per la storia.
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