Il teatro dentro il carcere di Gorizia, in scena con le parole di Roveredo

Il teatro dentro il carcere di Gorizia, in scena con le parole di Roveredo

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Il teatro dentro il carcere di Gorizia, in scena con le parole di Roveredo

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 29 Giu 2023
Copertina per Il teatro dentro il carcere di Gorizia, in scena con le parole di Roveredo

Oggi lo spettacolo dei detenuti guidati da Elisa Menon, utilizzando le parole dello scrittore triestino. Domani la proiezione con il Kinemax.

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Lo spettacolo inizia ma non si alza il sipario, bensì si gira una chiave. È una porta che quella che si apre, anzi più di una: quelle che dividono il dentro dal fuori ed è anche questo parte integrante di ciò che sta per accadere. Ancora una volta, il festival teatrale Se io fossi Caino porta Gorizia dentro il suo carcere, in via Barzellini, e lo fa utilizzando le parole di Pino Roveredo. Lo scrittore triestino, scomparso a gennaio, era stato anche lui in prigione e la realtà dietro le sbarre l’aveva vissuta anche dopo l'uscita.

Da garante regionale dei detenuti, infatti, si era fatto promotore di numerose istanze e non aveva mancato di scrivere e criticare la struttura carceraria. Parole, le sue, che proprio per questo hanno risuonato più forte all’interno dello stretto spazio all’aperto dove si è svolta la pièce. “Il carcere ha qualcosa di illegale” spiega la voce del compianto letterato, evidenziando come il 75% di chi esce da lì diventa recidivo. Il teatro, però, può aiutare a dare un appiglio ulteriore e su questo Fierascena lavora da tempo.

A guidare il gruppo di dieci uomini, che dopo il debutto sognano ora di potersi esibire anche all’esterno come già capitato con altre rappresentazioni, è Elisa Menon. Insieme a lei, davanti al folto pubblico presente, anche Giulia Possamai, che con il resto del cast si è esibito per una platea che ha visto presenti anche i vertici della stessa casa circondariale e delle istituzioni. Anticipando lo spettacolo, gli ospiti intervenuti hanno evidenziato la forza propositiva di Roveredo e di iniziative simili, andando oltre quel muro.

La divisione rimane, intrinseca alla struttura di reclusione per com’è oggi concepita, ma si può cercare di arrivare sempre più a pene alternative, come indicato dalla riforma Cartabia. Nel frattempo, i ragazzi che hanno deciso di intraprendere questo percorso hanno portato prima di tutto sé stessi nello spiazzo di cemento armato attorniato da finestre tutta la propria umanità, molto più grande di un teatro. “Cosa ti ricordi di Pino?” Chiede Menon a Paolo, triestino anche lui che ha conosciuto il suo concittadino. “Era un grande” risponde, gli occhi già lucidi.

Le parole recitate sono quelle che Roveredo ha scritto nei suo articoli e libri, riprendendo tanti aspetti ed elementi che hanno caratterizzato la sua vita. C’è il peso che ognuno porta con sé, depositato su una sedia vuota, e che può diventare una piuma. Ci sono le frasi di circostanza che circondando tutti, impresse sulla carta stampata. Gli echi rimbalzano veloci, così come i segni con le mani che i genitori sordomuti dello scrittore gli hanno insegnato fin da piccolo, e colpiscono cuore e mente di chi è seduto lì davanti.

“Anche questo è fare pace” è stato il messaggio dell’arcivescovo, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli prima di iniziare. La stessa Caritas ha contribuito alla realizzazione dell’opera, insieme alla Fondazione Carigo. Dall’alto, dietro alle finestre sbarrate, qualcuno degli ospiti di via Barzellini osserva i corpi muoversi e dialogare, mentre una nutrita presenza di detenuti è pronta ad applaudire tra il pubblico. La kermesse si concluderà domani, con Cinema contro il muro alle 14.30: proiezione per detenuti e al pubblico esterno in collaborazione con Kinemax.

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