Gli studenti ricordano le foibe, le scuole tornano all'Ara Pacis di Medea

Gli studenti ricordano le foibe, le scuole tornano in Ara Pacis a Medea

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Gli studenti ricordano le foibe, le scuole tornano in Ara Pacis a Medea

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 13 Feb 2023
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Mattinata dedicata alla storia dell'Esodo, presenti la scuola elementare e le medie di Mariano del Friuli.

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L’Ara Pacis Mundi di Medea è tornata ad accogliere le scuole per la Giornata del ricordo, celebrata a distanza di qualche giorno proprio per la presenza degli studenti. Così come per il Giorno della memoria, gli allievi della scuola elementare locale - insieme ai ragazzi più grandi delle medie di Mariano del Friuli - hanno raggiunto la cima del colle per un momento di raccoglimento. Ad accoglierli c’erano i due sindaci, il “padrone di casa” Igor Godeas e il marianese Luca Sartori, insieme alle associazioni e alla senatrice Francesca Tubetti (FdI).

Tra queste, anche l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia con la presidente Maria Grazia Ziberna e l’omologo della Fondazione Carigo, Alberto Bergamin. Godeas, ricordando la genesi del momento nato con la legge 92 del 2004, ha rimarcato il simbolismo del luogo: “Qui nel 2009 sono state portate le terre delle foibe di Basovizza, Monrupino, Pisino e altre località, grazie alla volontà dell’allora amministrazione” guidata proprio da Bergamin. Un percorso tortuoso, quello intrapreso fin dal 2006 ma “risolto con la diplomazia”.

Per l’omologo Sartori, “la presenza di voi ragazzi è importantissima così come qualche giorno fa. Questi sono segnali che devono arrivare a voi, che porterete avanti la storia della nostra nazione. Bisogna portare avanti la pace anche in momenti difficili, come quelli che sta vivendo oggi l’Europa”. L’intero discorso delle autorità è stato tradotto anche nella Lingua dei segni (Lis) per la presenza di un allievo sordo della quinta elementare di Medea. La stessa classe ha realizzato un lavoro sul tema, presentato al termine della cerimonia.

Ziberna ha quindi spiegato ai ragazzi presenti la storia dietro alle vicende complesse del confine orientale. “Sono figlia di esuli - ha raccontato - mio padre era di Pola ed è fuggito a 17 anni, mia madre di Albona e aveva 13 anni quando è andata via. Quando gli esuli sono arrivati in Italia tanti non capivano il perché, grazie alla legge del 2004 tante cose sono riemerse”. Ha quindi puntato il dito verso le colpe del Ventennio e difeso il valore della Resistenza, “ma non fu solo colpa del fascismo” per quanto accaduto dopo la guerra.

“Si è indagato sulle violenze contro gli italiani - ha spiegato la professoressa - e altri popoli jugoslavi, perpetrate dai partigiani di Tito. Lui voleva conquistare gran parte del Friuli Venezia Giulia, le violenze hanno coinvolto tutta la Jugoslavia, sia per allontanare i nazisti e fascisti ma anche per imporre con la forza il regime comunista. 90mila persone sono state uccise nella sola Slovenia”, ricordano anche la stima di 500mila vittime nella Jugoslavia pronunciata dall’allora primo ministro sloveno Janez Janša nel 2021.

La parola è poi passata a Gianluigi Martinis, marito di Angela Rosita, il cui padre Guerino Gori venne arrestato a Gorizia nel 1945 durante i 40 giorni di occupazione titina. Era andato in municipio per denunciare la nascita della figlia. L’indomani “viene segnalata la sua presenza in qualità di prigioniero ad Aidussina e forse successivamente anche ad Idria, in territorio controllato dai partigiani di Tito. In una lista ufficiale e disponibile viene considerato disperso dopo il 9 maggio ’45 e Aidussina viene indicata come località di morte o dispersione”.

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