La storia di Gorizia diventa musica con l'opera, tra radici e il suo nuovo futuro

La storia di Gorizia diventa musica con l'opera, tra radici e il suo nuovo futuro

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La storia di Gorizia diventa musica con l'opera, tra radici e il suo nuovo futuro

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 28 Mar 2024
Copertina per La storia di Gorizia diventa musica con l'opera, tra radici e il suo nuovo futuro

Uno spettacolo in equilibrio fra due mondi paralleli, ieri sera al Kulturni center Bratuž, verso quell’ormai sempre più vivido senso di fratellanza.

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Un fiume, un confine, un ex ospedale psichiatrico. Gorizia e Nova Gorica si confondono l’una nell’altra, pur mantenendo la propria identità. È andato in scena nella serata di ieri – presso il Kulturni center Lojze Bratuž – lo spettacolo duplice “Opere di frontiera” nell’ambito del Go!2025 Opera Borderless. Un esperimento artistico conclusivo di «un percorso di creazione iniziato oltre un anno fa – spiega il direttore artistico Gabriele Ribis – Ringrazio Zavod e Go!2025 per aver creduto e investito nel futuro dell’opera lirica. Per noi “futuro” vuol dire dare opportunità a due giovani compositori di scrivere e vedere rappresentate due nuove opere».

In apertura spicca “Davanti alla legge” - con musiche e testo composti da Juraj Marko Žerovnik - dove il leitmotiv che rimbalza sugli schermi è la porta che continuamente si apre. Un utilizzo spregiudicato dei violini trasmette l’inquietudine angosciante del “Processo” kafkiano dal quale trae ispirazione, moltiplicata dai vecchi schermi a tubi catodici. Se nel film di Orson Welles è la prospettiva distorta a restituire la tragedia dell’assurdo, in questo spettacolo opera lirica e magma linguistico si fondono in una commistione borderless dai toni surreali. A simboleggiare «la difficoltà di oltrepassare la porta, il confine», spiega Ribis.

Giubbotto per il Guardiano dell’uomo (Manuel Sedmak), paltò di pelle per il Guardiano della donna (Giulia Diomede), un uomo (Jure Počkaj) e una donna (Daniela Esposito) chiedono di poter attraversare la porta, ma la risposta – in lingua tedesca – sarà sempre la stessa: «Forse, ma non adesso». «“Davanti alla legge” racconta quanto sia difficile in certi casi prendere confidenza di una situazione e andare oltre – specifica Vanessa Codutti, che ha collaborato alla messa in scena - I due protagonisti, un uomo e una donna, vogliono oltrepassare questa porta e faranno di tutto per oltrepassarla, ma non abbastanza».

«Si limitano a chiedere insistentemente ai Guardiani “Quando posso passare?” senza assumere realmente il coraggio di oltrepassare la porta. Mentre il Guardiano continuerà a rispondere “No, non puoi passare”. I due non mostreranno mai convinzione di credere in se stessi, per passare al di là». Incapaci di credere in sé, si smarriranno nella scialba attesa della vecchiaia, scivolando verso la morte incoscienti delle proprie potenzialità. «Perdono tempo senza rendersi conto che loro in prima battuta sarebbero potuti passare – ancora Codutti - L’opera è divisa in tre momenti. Da quando arrivano e chiedono “Posso passare? Come si fa per passare? Mi aiuti a passare?” e gli altri dicono “No”.

Passano gli anni, iniziano a invecchiare. Provano a corrompere i Guardiani attraverso alcuni oggetti, poi in un terzo momento – quello finale –si ritrovano anziani, e a chiedere “ma perché in tutti questi anni sono stato l’unico a voler passare oltre la porta, quando secondo me tutti vogliono passare attraverso la porta della legge?”. Il guardiano risponde “Questa era la tua porta. La porta era fatta solo per te, ed era aperta. Ma non tu hai mai avuto il coraggio di passare”». La porta si richiuderà, drammaticamente, perché ogni occasione persa non tornerà mai più indietro.

«Questo è il senso. Una riflessione intorno all’essere umano. Non perdere tempo, non cincischiare, muoviti, non solo a parole. Quello che intende raccontare è il confine, lo sconfinare in un altro territorio. Un modo per raccontare il confine nel senso pienamente figurato. Per raccontare il passaggio da un territorio a un altro. Infatti, inizialmente era stato concepito per andare in scena in piazza Transalpina». Una scena divisa in due parti fin nelle luci. A sinistra l’uomo, a destra la donna, ciascuno col proprio guardiano. Da una parte trionfa il rosso, dall’altra l’azzurro. «Il palcoscenico era diviso a metà, perché doveva essere come il confine di piazza Transalpina».

«Da un lato illuminato di rosso, dall’altro i palazzi di blu. Anche la stazione. C’era questo confine invalicabile. Noi manteniamo lo stesso questo assetto. Abbiamo cercato di portarlo in piazza Transalpina lo scorso settembre, ma ha piovuto, per questo andiamo in scena adesso». Non meno sconvolgente è il successivo “Radice posizione distanza” ispirato a Basaglia, con musiche e libretto di Sara Caneva. Autore di entrambi i testi è il regista e drammaturgo bilingue Igor Pison, che ha fornito indicazioni di regia con la collaborazione di Codutti.

«Ho preso testo libretto e musica di Sara Caneva e Juraj Marko Žerovnik e li ho messi in scena con le indicazioni di Igor Pison – specifica Codutti - “Radice, posizione distanza” parla di Gorizia e Nova Gorica e di alcuni momenti salienti che riguardano la città. La protagonista – Gorizia e Nova Gorica al contempo – viene psicanalizzata da uno psicologo, il dottor Reka (Massimiliano Migliorin), che cerca di porre alcune domande alla città per chiederle per quale motivo in questo momento si trovi così confusa. La città ripercorre la propria storia personale passando attraversando momenti storici e culturali o riportando in vita personaggi che hanno abitato a Gorizia».

Gorizia/Nova Gorica vien mostrata come cittadina multiculturale alla ricerca di se stessa. In un tentativo di comprendere le proprie “radici” e quel passato che riaffiora a galla dalle pozze profonde della Storia. Vicende traumatiche l’hanno condotta a smarrire memoria di sé. «Non ricorda chi è esattamente, ha tanti ricordi nella testa», una confusione mentale dalla quale cercherà disperatamente di condensare consapevolezza. «Alla fine il professor Reka – che è psicologo - attraverso una serie di domande riesce a farle fare un “clic”, così che riuscirà a ricordare di essere Gorizia e tutto questo».

Una città dall’animo duplice, inizialmente terrorizzata da se stessa, infine disposta ad accettarsi per quanto rappresenta. «La storia mi pesa addosso, alle volte anche mi spaventa, mi fa paura». E tuttavia «io sono questa e devo accettarmi – ammette Codutti - Si rivaluta e dice: “Ok, tutto quello che è successo contribuisce a rendermi quella che sono”. Quindi accetto di essere Gorizia, sono felice di esserlo. All’inizio la direttrice musicale Sara Caneva - che è anche compositore – fa questa telefonata allo psicologo. Chiama il numero del Centro di salute mentale dicendo “Mi scusi, ho una protagonista in scena che sta male, sta rotolando sul palcoscenico, può mandare qualcuno? E difatti il dottor Reka entra dalla platea».

L’orchestra alternativa cattura la scena attraverso strumenti innovativi, come la “marching machine”, che simula il suono di una marcia di soldati, o i flautini dal suono buffo. Buona parte è poi affidata all’elettronica, con pezzi registrati e canzoni d’epoca, come la rivisitata “O Gorizia, tu sei maledetta”. Di grande impatto un “pianoforte preparato”, in cui sono stati inseriti diversi oggetti per creare tonalità differenti. «Suoni che non è chiaro da dove stiano arrivando, ma in realtà vengono dal pianoforte, e che il pianista ha imparato a usare. Due palline di metallo, per esempio, che rimbalzano contro le corde del pianoforte producendo un rumore del tutto nuovo», aggiunge Codutti.

Uno spettacolo in equilibrio fra due mondi paralleli. Che proietta vertiginosamente Gorizia e Nova Gorica verso quell’ormai sempre più vivido senso di fratellanza con il quale si intende gettare le basi per un futuro comune.

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