Si apre l’èStoria film festival al Kinemax: Gorizia si proietta nel 2026 con ‘Metropolis’ di Fritz Lang

Si apre l’èStoria film festival al Kinemax: Gorizia si proietta nel 2026 con ‘Metropolis’ di Fritz Lang

La proposta

Si apre l’èStoria film festival al Kinemax: Gorizia si proietta nel 2026 con ‘Metropolis’ di Fritz Lang

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 27 Mag 2025
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Il capolavoro del cinema muto degli Anni Venti che ispirò ‘Guerre stellari’ e Blade runner’ è stato accompagnato dalla Zerorchestra.

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Ha registrato il tutto esaurito l’inaugurazione della Quinta edizione di èStoria film festival, il cui sipario si è aperto al Kinemax nella serata di ieri lunedì 26 maggio – con l’intramontabile “Metropolis” di Fritz Lang. «Da una parte ritroviamo la città – è intervenuto il presidente dell’associazione èStoria Adriano Ossola – dall’altra film che sono apparsi nel 2024, magari sottovalutati e poco rappresentati». Una proiezione introdotta dal critico cinematografico Michele Gottardi e accompagnata dalle musiche dal vivo di Zerorchestra, ensemble che da trent’anni accompagna il cinema delle origini, nata dalle pordenonesi Giornate del Cinema Muto e dalla rassegna Schermo sonoro.

Nelle musiche composte da Juri Dal Dan – anche direttore e pianista – a esibirsi al sax sono stati Francesco Bearzatti, Federico Missio e Gaspare Pasini. Al talento del batterista Luca Colussi si è affiancato Didier Ortolan al clarinetto, Romano Todesco al contrabbasso e Luigi Vitale al vibrafono. Un capolavoro indiscusso del cinema muto venuto alla luce nel 1927 con la sceneggiatura del regista e della moglie Thea von Harbou. I due ambientarono la storia nel 2026 in un’immaginaria e alienante città del futuro, dove masse di operai sono costretti in schiavitù nel sottosuolo, in una metropoli «resa in forma di sinfonia» a raffigurare «il demone della modernità», rimarca Gottardi. Contemporaneo al documentario “Berlino sinfonia di una grande città” diretto da Walter Ruttmann, il lungometraggio mostra «una folla repressa e anodina con valenza oscura e carattere minaccioso». Allegorie del modernismo anticipate dal “Ballet mécanique” del pittore Fernand Léger e “L’inhumaine” di Marcel L’Herbier (1924), in cui regna il futurismo delle catene di montaggio. A dispetto degli svariati tagli e montaggi subìti dalla pellicola nel corso negli anni, il pubblico ha potuto gustare la versione integrale restaurata (2ore e 25’) pressoché simile a quella presentata all’UFA - Palast am Zoo di Berlino dallo stesso autore. Fra le diverse rivisitazioni, celebre fu la “Giorgio Moroder presents Metropolis” dell’omonimo produttore italiano, che nel 1984 montò 87 minuti utilizzando come colonna sonora anche “Love Kills”, scritta insieme al cantante dei Queen.

Innumerevoli le citazioni letterarie e cinematografiche presenti nell’opera di Lang, che spaziano dal teatro di Georg Kaiser agli scritti di E.T.A. Hoffmann, Villiers de l’Isle-Adam o al “Siddharta” di Hermann Hesse. Da un lato il lavoro nelle miniere e il personaggio di Maria (Brigitte Helm) sembrano trarre ispirazione dal melodramma fantascientifico “Algol” (1920) dell’espressionista tedesco Hans Werckmeister, dall’altro la macchina-Moloch che ingoia gli operai riprende il film muto “Cabiria” (1914) di Giovanni Pastrone. «È un film controverso – prosegue Gottardi – che ha diviso gli studiosi e si presta a letture differenti. Apprezzato dai nazionalsocialisti, fu bollato come filocomunista dal cinema hollywoodiano». Alcuni dei suoi nuclei fondanti si ritrovano negli stessi soggetti di Lang, fra cui “Lilith und Ly” (1919) – in seguito diretto da Eric Kober – e “I ragni” (del medesimo anno). Determinante fu inoltre l’influenza della moglie Thea già autrice del romanzo “Metropolis” (1926), la cui collaborazione non si limitò all’aspetto narrativo ma si estese anche al montaggio o alle inquadrature.

Un capolavoro cinematografico che rappresenta un’autentica pietra miliare del cinema, primo esempio di film catastrofico con la sequenza dell’allagamento sotterrano e prima pellicola in cui gli attori interagiscono con i modellini in scala. È il cosiddetto “effetto Schüfftan”, in cui uno specchio inclinato di 45° innanzi alla macchina da presa riproduce oggetti o dipinti ingranditi, resi tridimensionali attraverso l’illuminazione. Del resto, il sodalizio con l’esperto di trucchi Eugen Schüfftan si suggellò fin da “I Nibelunghi” (1924). Mentre fu dalla genialità dello scultore Walter Schultze-Mittendorf che nacque l’iconica figura della falsa Maria, il robot al quale si sarebbe ispirato George Lucas per D-3BO della saga di “Guerre stellari”. Contaminazioni che riecheggiano nella storia del cinema anche attraverso la struttura architettonica della città, che 55 anni più tardi venne ripresa da Ridley Scott nella Los Angeles del cult “Blade Runner” (1982). Centrale lungo tutto il percorso filmico è la tematica della visione, sublimata nel personaggio di Freder Fredersen (Gustav Fröhlich) e dagli innumerevoli sguardi in macchina dei protagonisti. Un rinvio allo spazio metafilmico che chiama in causa lo spettatore e rimanda a una tematica di estrema attualità. Quella della riflessione intorno all’umanità schiacciata dalla tecnologia, chiamata a costruire un futuro più umano e giusto. Dove, sottolinea Lang fin dall’introduzione, «il mediatore fra il cervello e le mani deve essere il cuore». 

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