A servizio degli ultimi e in carcere, Gorizia festeggia 90 anni di don Alberto

A servizio degli ultimi e in carcere, 90 anni di don Alberto a Gorizia

venerdì sera

A servizio degli ultimi e in carcere, 90 anni di don Alberto a Gorizia

Di Redazione • Pubblicato il 02 Dic 2022
Copertina per A servizio degli ultimi e in carcere, 90 anni di don Alberto a Gorizia

L'intervista al Kulturni dom con Andrea Bellavite, il racconto di una vita tra gli ultimi in città.

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Una festa per ricordare i suoi 90 anni appena compiuti e per ripercorrere la storia della Gorizia, dal dopoguerra ai nostri giorni attraverso gli occhi e il cuore. Il Kulturni dom dedica una serata a don Alberto De Nadai, con un momento di incontro e riflessione che si terrà venerdì 9 dicembre alle 18: sarà un'intervista al sacerdote, introdotta dal direttore Igor Komel e condotta dal giornalista Andrea Bellavite. Nato Salgareda, in provincia di Treviso il 28 novembre 1932, si è trapiantato ben presto dalle rive del Piave a quelle dell’Isonzo.

Alla fine degli anni Cinquanta, è diventato prete nell’Arcidiocesi di Gorizia, ordinato dall’allora arcivescovo veneto Giacinto Ambrosi. Il suo ministero è nettamente diviso in due parti. La prima lo ha visto vicino al vertice della Curia come segretario e collaboratore, poi vicerettore del Seminario diocesano, allora situato in via Alviano nel grande edificio dove oggi c’è la sezione di Gorizia dell’Università di Trieste. La seconda parte inizia con l’invio del giovane sacerdote nel nuovo quartiere di Sant’Anna, con l’incarico di costruire relazioni tra le persone più che efficaci strutture pastorali.

Nel rione si prodiga per anni, vicino a ogni parrocchiano, credente o meno, povero o ricco, con una netta predilezione per i più fragili e per i più deboli. Alcune scelte, decise insieme a una delle prime comunità di base d’Italia, portano don Alberto a una vera e propria "defenestrazione". Gli anni del Concilio hanno ormai esaurito la loro forza propulsiva e manca il coraggio di incentivare una delle più originali forme di realizzazione comunitaria dei dettami del Vaticano II. Don Alberto viene rimosso dalla parrocchia, non insegna più la religione nelle scuole.

Per guadagnarsi da vivere, svolge le mansioni di operaio presso un amico gommista. Prima vive in ricoveri di fortuna, poi riceve un appartamento, in via Canova 11, che diventerà il suo "quartier generale" per le grandi imprese sociali che grazie al suo apporto saranno realizzate in città. Scoprendo con stupore quante persone vivevano tra gli anfratti del monumento demolito al centro del Parco della Rimembranza, fa, per quanto possibile, della sua casa un centro di accoglienza e di conforto. Comprende quanto sia necessario un “luogo” ospitale per tutti coloro che sono senza dimora e fonda la Comunità Arcobaleno.

Il tutto per dare riparo e prospettiva di vita. Avvia poi la cooperativa Arcobaleno, per favorire l’inserimento lavorativo di quelli che don Milani definiva “gli ultimi”. Nasce poi la Tempesta, originale comunità terapeutica per l’uscita dalle dipendenze, autonoma e autogestita. Da instancabile fondatore propone l’apertura dell’Oasi del Preval, per una particolare attenzione ai problemi legati alla salute mentale. Non rigetta mai la scelta di essere nel sacerdozio, la cui dignità difende in ogni modo, anche quando la chiesa diocesana sembra emarginarlo in una sorta di nebbiosa dimenticanza.

In tutta la sua storia, c’è un luogo che non ha lasciato mai: la casa circondariale di via Barzellini, una sorta di seconda casa. Ogni giorno, anche ora che ha varcato la soglia dei 90 anni, don Alberto è “dentro”, per ascoltare, sostenere, aiutare, confortare, ma anche consigliare e se necessario rimproverare. Un lavoro culturale e spirituale, esercitato volontariamente e gratuitamente, con il solo obiettivo di aiutare i detenuti a riscoprire il senso della vita e la speranza di un ritorno nell’ordinario scorrere dei tempi della società. Il suo è un importante servizio alla realtà civile del territorio.

Come in ogni umana avventura, anche in quella di don Alberto non ci sono soltanto rose e fiori, ma anche spine e cardi che hanno segnato il suo percorso, rendendo ancora più forte e più vera la sua esperienza e la sua testimonianza. L’incontro a ingresso libero è promosso dal Kulturni dom e dalla cooperativa culturale Maja di Gorizia, nell’ambito del progetto “Čedermaci našega časa” (I protagonisti del nostro tempo), in collaborazione con l’associazione “1001” di Gorizia e con il patrocinio della Regione e l’Unione economica culturale slovena (Skgz) di Gorizia.

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