Il secondo dopoguerra vissuto in un bar di Romans, casa di anime e storie

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Il secondo dopoguerra vissuto in un bar di Romans, casa di anime e storie

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 07 Feb 2021
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Edo Calligaris racconta il secondo Novecento vissuto nel Goriziano. La recensione di Ferruccio Tassin.

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Era un palazzo nobiliare, fu vittima del “furor delendi” di un’epoca. I poveri se ne fecero padroni, ma era lo Stato a tenere la proprietà. Prima fu di quelli “da fassina cul manarin”, l’Ond: educativa e ricreativa. Fu spogliatoio per calcio, balera ("Arpa d’oro”), ed Enal “colorato”: tempo diviso fra bianchi e rossi. La guerra, con strascichi e rancori, era finita da nove anni. Da sette, Gorizia e un lembo di provincia, erano di nuovo coi destini in Italia. La tv iniziò a calamitare gli Italiani: c’era solo nei “bar”, il pacchiano aveva schiantato l’osteria. La società regionale si risolleva da prove terribili, e miseria. Il Manzanese germogliava prima di esplodere in produzione entusiastica.

A Gorizia c’era la “Zona franca”. Confine sbarrato. Dall’agricoltura persone in massa all’edilizia, altre cercavano fortuna da “Italiani all’estero”, o in altre zone d’Italia. I sarti, artisti nel riciclo, non dovevano neppure accarezzare scampoli di ricchezza, per cedere il posto a ditte di confezioni. Le mucche lasciavano il passo a cavalli e trattori. Il frigo sostituiva il “mosciâr”, i detersivi inquinavano, ma sollevavano le donne da “lissie” spaccaschiena. La tradizione artigiana si muoveva, con tradizioni tecniche di rispetto. La “Scuola per tutti” era utopia: da elementari, a medie, corsi professionali, e avviamento, che fa sognare ancora quelli che mai ci avrebbero mandato i figli.

Bici in aumento, prime vespe e lambrette, più su di proletari mosquito, aquilotti, guzzini. Moto solo per super raffinati. Ancora proletari erano i “Motom”: fra essi, quello del gestore dell’Enal, Walter. Edo Calligaris lo descrive con magnifiche note veriste: penetrano gli atteggiamenti del corpo, i moti dell’anima. Ancora processioni, feste religiose con migliaia di partecipanti. Comizi ruggenti per le elezioni. L’Enal stava “a man zampa”, a sinistra: ambiente di operai, disoccupati, nullafacenti (cuoio del portafogli quasi vergine), nottambuli; sportivi, tifosi, ragazzi dalla tasche vedove; celebratori di riti di passaggio come la “renga” il mercoledì delle ceneri... Frequentatore più gradito chi si avvicinava al rosso cupo e trovava “il” giornale: “L’Unità”, compulsato fino a consunzione.

Qui è Romans protagonista, ma un tanto accadeva ovunque negli Enal prevalesse il rosso. Piccolo mondo, si confrontava col grande (progresso civile; lavoro; diritti, senso del dovere; lotta per sgravarsi dalla miseria), è descritto da Calligaris: si coglie nel parlare dei clienti; nelle battute: dallo scipito, al salace. Dal languido, al feroce. Vasta gamma di figure interpreta l’ambiente paesano, si amplia a scampoli di umanità, soprattutto maschile; le donne appena si affacciavano a quei locali. L’autore ha scandagliato momenti di storia del paese per umili e potenti, portando il lettore in palazzi e stamberghe; parlando di bellezze femminili locali, ed “esotiche”, cantastorie, schiere di maestri ed allievi.

Ha parlato di gioiosi carnevali e impegnativi mestieri. Di opifici e magiche sale da ballo. Tanto sport, campioni locali e non, soprattutto nel pallone. Il lettore, con questo libro, potrà pensare anche a cronache, a libri di ampio respiro. Ognuno gusterà aspetti diversi, a tutti non sfuggirà il rapporto di Walter, Enal e fabbrica, coi fornaciai, che cominciavano la giornata vampireggiando la bottiglia di bianco, nero, o misto gazzosa, a varie pezzature, infilata nella siepe fuoriosteria alle quattro di mattina. A quella povera gente (si allungava le braccia coi pesi. Si friggeva il corpo col calore, a cuocere coppi e mattoni), sembrava di “racreâsi”, per prepararsi a fatica e calore. È un tocco di poesia del lavoro, intessuta di fatica, tragedia, amore per tirare avanti, e tanta tanta umanità!

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