A tu per tu con l'artista Enzo Valentinuz

A tu per tu con l'artista Enzo Valentinuz

Dal Max Fabiani di Gorizia

A tu per tu con l'artista Enzo Valentinuz

Di Irene Emanuele, classe 4B • Pubblicato il 02 Ago 2021
Copertina per A tu per tu con l'artista Enzo Valentinuz

La giovane Irene ha intervistato l'artista Enzo Valentinuz di Romans d'Isonzo, ripercorrendo la sua esperienza artistica e umana.

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Qual è il suo percorso artistico?

Dopo le elementari, a 12 anni sono andato direttamente alla scuola d’arte che poi col tempo è diventato istituto e poi liceo, perché sai, quando le maestre ti dicono questo ragazzo è più incline ad un percorso artistico, piuttosto che umanistico o tecnico … non c’è molta scelta, dunque mi sono iscritto all’Istituto d’arte Max Fabiani e mi sono diplomato nel 1965. Durante quegli anni ho avuto possibilità di avere degli insegnanti che erano dei veri e propri artisti come Mario Sartori, Gino piazza, Bevilacqua e, in particolare, il Maestro Cesare Mocchiutti, con cui ho passato gli ultimi tre anni di scuola: grazie a lui ho capito molte cose riguardo all’arte e riguardo a come concepirla, in qualche maniera possiamo dire che mi ha aperto un po’ la testa, grazie alla sua sensibilità e alla sua pazienza. Anche grazie a lui, infatti, l’ultimo anno, quello in cui mi sono diplomato, ho vinto il primo premio a Roma come miglior opera per scuola e istituti d'arte. Da lì Mocchiutti mi ha consigliato di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti a Venezia, dove c’era Bruno Saetti che insegnava la tecnica dell’affresco, le tecniche miste come il mosaico e lo strappo; mi aveva dato queste indicazioni perché noi, a Gorizia, studiavamo la tecnica dell’affresco, quella dello strappo, oltre a quella del graffito: lui pensava che andando là mi sarei specializzato in merito, ma questa cosa poi non è successa perché il Maestro Saetti faceva le cose sue e noi eravamo abbandonati a noi stessi a fare qualsiasi cosa in piena libertà! Nonostante ciò ê stata un’esperienza positiva anche quella.

Però chi in pratica mi ha aiutato, mi ha dato quell’input è stato proprio Cesare Mocchiutti ecco.

Lei cosa vuole trasmettere con la sua arte?

Mah, innanzitutto voglio, come dire, portare avanti quello che ho imparato, in particolare la tecnica del graffito che, in questo momento, non viene insegnata in nessuna scuola; ci sono pochissimi artisti che praticano questa tecnica, ecco perché io ritengo che al di fuori delle tematiche che uno può portare avanti, bisogna tenere presenti le cose importanti che sono state fatte nel passato, come dire, tenere in considerazione e non cancellare quello che è stato fatto di buono nel tempo, come anche l’affresco, lo strappo dell’affresco, tutte quelle tecniche considerate ormai antiquate, e quindi io sto portando avanti questa tecnica che mi è rimasta nel cuore. Oltre a trasmettere questa tecnica e ciò che ho imparato, il mio obiettivo è quello di portare in arte dei temi che tengono in considerazione i rapporti umani, perché proprio la tecnica dei graffiti si presta bene alla rappresentazione di ciò; intendo cioè portare nelle mie opere l’importanza dei valori umani, che saranno fondamentali man mano che andrai avanti nella vita, e ti renderai conto che saranno proprio la famiglia, o le persone che tengono a te a trasmetterti i valori che ti serviranno per tutta la vita, quelli veri, non quelli fasulli, e superficiali, trasmessi dalla pubblicità che danno anche una visione distorta della realtà. Ricorda sempre che per raggiungere obiettivi importanti, hai bisogno di studio, hai bisogno di sacrifici, hai bisogno di soffrire, così da poter tirare fuori dentro di te la tua identità. Quando avevo vent’anni non mi ponevo certi sacrifici, mentre dopo mi alzavo al mattino presto per dipingere, poi andavo a lavoro e concludevo la mia giornata di nuovo in studio. Ma credimi, se uno è motivato certi sacrifici non pesano e permettono di mantenere questa grinta e questo desiderio di fare arte.

Come considera le sue opere?

Le considero come la rappresentazione delle mie visioni, che io pongo li e che poi sta agli altri interpretare. A me preme il fatto di, come dire, vedere un’opera ed entrare dentro nel suo contesto, che poi ti porti dietro, che poi lavori dentro di te e che può lasciare un segno. I miei sono dei temi che fanno riflettere e che possono rimanere impressi e portati avanti.

Oltre a dipingere mi dedico ad un altro livello di tecnica, dove utilizzo le pietre del Carso e quindi con questo materiale cerco di rappresentarlo non come mosaico, ma come elemento pittorico, quindi con volumi e dimensioni; poi il senso di raccogliere degli elementi che appartengono a un territorio in cui si è vissuta l’esperienza della Grande Guerra, mi ha dato ispirazione per realizzare delle grandi opere e qui, come dire, c’è un altro risvolto sull’uso della materia che, in qualche modo, ha visto o sentito la tragedia della guerra e, quindi, è testimone del nostro territorio: il Carso è, come dire, ricordato solo per la Grande Guerra ed io con i miei lavori, rappresento quello che è stato, la violenza, ma in maniera elegante, perché voglio si pensi che i miei lavori non siano delle opere tragiche, ma che grazie ai volumi, alle armonie e alle luci acquisiscano significato. Ricordati sempre, la luce è molto importante! Essa fa parte del contesto delle mie opere e, come lei, i colori che mi hanno portato al mio concetto di arte: perché inserendo i colori, le mie opere acquistano un significato simbolico, per esempio sono testimonianza che, con il tempo, anche la natura ha avuto modo di trasformarsi: ad esempio dimostro che il Carso, da una terra arida, di pietra, che era stata bombardata, pian piano ha cominciato a risvegliarsi e ad occupare il territorio con un altro aspetto. Il colore viene dipinto sulle pietre anche perché nel tempo la vita acquista di nuovo un colore, e torna alla normalità e tra l’altro i colori sono importanti per noi, i colori per me sono, come dire creatività, progetti ... Una persona senza creatività e progetti è una persona morta e quindi avere questi colori dentro di sé è importante!

Ha mai insegnato arte?

Ho fatto dei laboratori con bambini piccoli - medie ed elementari - su suggerimento delle insegnanti.Inoltre, cosa del tutto inaspettata, il direttore della scuola di mosaicisti di Spilimbergo mi aveva invitato tempo fa a tenere una lezione ai ragazzi che facevano l’ultimo anno di sperimentazione, in particolare a presentare un progetto con le pietre del Carso: questo è stato per me qualcosa di straordinario, perché io sono nato pittore, ritengo di essere pittore, però loro vedono in me anche una persona che, come dire, in piena libertà, usa le pietre e le varie tecniche del mosaico in maniera diversa e nuova.

Per lei cos'è l’arte?

In base all’esperienza della mia vita è stata inizialmente la scuola, forse un qualcosa di indefinito, che nemmeno io capivo cosa fosse; poi come ti dicevo, con Mocchiutti che mi ha fatto capire degli elementi su cui poter lavorare ed esprimermi, ho di certo modificato il mio pensiero. Successivamente ho quindi pensato che l’arte, per me, è stata una salvezza. Dovevo dipingere: c’è stato un momento della mia vita in cui era diventata una vera e propria necessità, come dire, fisiologica, come mangiare o fare altre cose che sono necessarie, per cui sono andato alla ricerca di un posto a Romans, trovando un piccolo spazio in cui potermi esprimere e poter lavorare, e lí ho ricominciato. Quindi è stata una necessità vera e propria per, come dire, dare un senso al mio vissuto e alla mia vita è realizzare un qualcosa che avevo lasciato in sospeso per trent’ anni. 

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