IL FINISSAGE
In 2.500 alla scoperta di Julius Kugy, successo per la mostra a Gorizia
_677e6462acb20.jpeg)
Si è svolto lunedì il finissage della mostra sul cantore delle Alpi Giulie con il concerto della Seghizzi. Entro maggio sarà la volta di Carlo X.
Il concerto “Ai samenat” della corale “Seghizzi” ha celebrato lunedì mattina, nell’elegante cornice di Palazzo Coronini, la chiusura della mostra “Storie di montagna a Palazzo Coronini. Julius Kugy e donne in quota”. Inaugurata lo scorso 8 giugno — su iniziativa della stessa fondazione che gestisce il palazzo e il suo parco — l’esposizione era principalmente dedicata al celebre alpinista di origine carinziana, di cui si commemorava l’ottantesimo anniversario della scomparsa, avvenuta a Trieste il 5 febbraio 1944.
Come ha ricordato Valentina Randazzo — curatrice della mostra insieme a Cristina Bragaglia Venuti — il legame del cantore delle Alpi Giulie con Gorizia e la sede della mostra è tanto casuale quanto indissolubile: «Proprio qui, nella tenuta dei Coronini, nasce Kugy il 19 luglio 1858. I suoi genitori, che risiedevano a Trieste, traslocarono temporaneamente proprio in una delle case del parco Coronini — oggi ribattezzata Villa Kugy — durante la fuga dall’epidemia di colera che aveva colpito l’allora principale porto austriaco».
Quello con Gorizia e con la nobile residenza di viale XX Settembre è un legame che non solo durerà nel corso della sua vita, come testimoniato dalla sua corrispondenza epistolare con Nicoletta Coronini, ma che troverà ulteriore conferma anche post-mortem: «Kugy nasce due volte a Gorizia — così sempre Randazzo — e la seconda sarà quando Ervino Pocar e Celso Macor riscopriranno, tra gli anni Sessanta e Settanta, la sua opera letteraria curandone la traduzione in italiano dal tedesco». Infatti, dopo la Grande guerra, Kugy era stato relegato all’oblio per via della sua adesione alle forze austroungariche in qualità di Alpiner Referent. Morì in solitudine e in relativa povertà sul finire della Seconda guerra mondiale.
«Ma già allora — continua la curatrice — la gente si dimostrò consapevole dell’importanza che il personaggio avrebbe potuto avere in futuro, impossessandosi di quasi ogni suo effetto personale per farne dei cimeli a uso privato. La mia speranza è che chi attualmente disponga di questi oggetti decida, un giorno, di donarli a un museo, affinché possano essere accessibili al pubblico». Infatti, secondo Randazzo, «l’alpinista, con il suo loden, il cappello, gli occhiali e la pipa, è diventato così riconoscibile da poter costituire una vera e propria maschera». E, nonostante l’impossibilità di ottenere in concessione alcuni dei cimeli originali, la mostra è riuscita comunque ad allestire, con una parvenza di autenticità, un angolo con sedia e scrivania volto a rievocare la presenza materiale di Kugy.
Oltre a Kugy, la mostra ha anche voluto rendere omaggio alle donne pioniere dell’alpinismo. Un traguardo raggiunto con fatica, in Europa, nella prima metà dell’Ottocento da Lucy Walker ed Henriette d’Angeville. Fatica dovuta non solo agli ostacoli fisici imposti dalle altitudini da scalare, ma anche — e soprattutto — alle convenzioni e ai pregiudizi dell’epoca, che imponevano, oltre a un abbigliamento formale poco adatto a questo tipo di attività, anche una certa pressione sociale. Nella nostra regione bisognerà attendere fino al 1878 per vedere le sorelle Angelina, Anna e Giacomina Grassi sulla cima del monte Canin.
Certamente toccante è stato, infine, il capitolo dedicato alle portatrici: vere donne di montagna, trattate fino al primo Novecento alla stregua di animali da soma. Queste donne, infatti, venivano pagate per accompagnare gli alpinisti (turisti della montagna) con tutte le attrezzature necessarie per raggiungere la cima. Ne faceva uso Kugy stesso. Se degli alpinisti e delle loro guide sono noti i nomi, la storia è totalmente priva di quelli delle portatrici, le cui uniche tracce rimangono solo sulle fotografie d’epoca, rigorosamente anonime.
Con queste premesse, il concerto della “Seghizzi” — diretto da Cristina Cristancig — è stato il perfetto coronamento dell’iniziativa. Il coro ha infatti interpretato l’arrangiamento musicale — a cura della stessa direttrice — di alcune poesie in lingua friulana di Celso Macor, dedicate a Kugy e alle montagne. Il finissage ha registrato il tutto esaurito, a conferma dei numeri registrati nel corso della durata di tutta la mostra. «Abbiamo raggiunto i 2.500 visitatori» ha affermato con soddisfazione Randazzo, che non ha mancato di ringraziare tutti i trenta partner del progetto per il suo esito più che positivo.
Sempre in Palazzo Coronini è prevista, tra aprile e maggio, l’inaugurazione di una nuova mostra, questa volta dedicata a Carlo X — l’ultimo re di Francia del ramo principale dei Borbone, morto nel 1836 proprio nella tenuta dei Coronini — e al suo entourage. Non solo. I prossimi mesi vedranno anche la riapertura del parco al pubblico, dopo anni di chiusura dovuti ai lavori di restauro, confermando il complesso di viale XX Settembre come uno dei principali punti d’interesse della nuova Capitale europea della cultura.
Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram e Whatsapp, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.
_677e6462acb20.jpeg)
_677e6462aba1d.jpeg)
_677e6462ac097.jpeg)

Occhiello
Notizia 1 sezione

Occhiello
Notizia 2 sezione
