Il personaggio
Scienza, silenzio e sapienza: l’altro mondo possibile di Dom Stefano Visintin

Cresciuto tra Gorizia e Muggia, Dom Stefano racconta di un’infanzia segnata da relazioni forti, da una sorta di 'famiglia allargata' in cui i vicini erano zii e zie, e da una memoria culturale intrecciata.
Certe immagini fanno rumore. Come le celebrazioni per il matrimonio di Jeff Bezos sull’isola di San Giorgio a Venezia: tre giorni di festa sontuosa, barche private, tappeti rossi, ospiti illustri. Eppure, quella stessa isola – oggi concessa alla Fondazione Cini ma ancora legata spiritualmente all’abbazia di Praglia, da cui dipende la chiesa di San Giorgio – è un luogo che da secoli custodisce silenzio, studio e preghiera. Un contrasto che non è passato inosservato a Dom Stefano Visintin, abate benedettino e guida dell’abbazia di Praglia, che ha definito l’evento «una festa ostentata, completamente in disarmonia con la storia spirituale e culturale dell’isola».
Una riflessione che apre a domande più profonde, e che Voci dal Confine ha scelto di raccogliere in una lunga conversazione con Dom Stefano: un dialogo intimo e visionario sul senso della scienza, della fede, del tempo e della vita interiore.
Nel suo ultimo libro, E Dio disse sì alla scienza, Visintin si muove lungo le orme di Pierre Teilhard de Chardin, gesuita e paleontologo, pensatore visionario, per esplorare la possibilità di una spiritualità che non si opponga alla conoscenza, ma la accompagni. Ma il libro è anche e soprattutto la tappa più recente di un cammino iniziato molto prima.
Cresciuto tra Gorizia e Muggia, Dom Stefano racconta di un’infanzia segnata da relazioni forti, da una sorta di “famiglia allargata” in cui i vicini erano zii e zie, e da una memoria culturale intrecciata. La nonna parlava sloveno e cucinava gnocchi di susine; nella sua parlata si mescolavano il dialetto, il tedesco e lo sloveno. Era il riflesso di una Gorizia mitteleuropea, che ha lasciato in lui il senso profondo dell’appartenenza e della pluralità.
La vocazione monastica, però, è arrivata dopo un percorso rigoroso, segnato da studi scientifici e interrogativi esistenziali. Verso i vent’anni, racconta, ha cominciato a chiedersi cosa siamo davvero, dove ci troviamo, quale sia il senso ultimo delle cose. La fisica, che sembrava poter offrire delle risposte, ha lasciato spazio a domande più profonde. La lettura della Bibbia, inizialmente per curiosità intellettuale, si è trasformata in un’esperienza personale, in un ascolto spirituale.
In questo percorso, il pensiero di Teilhard de Chardin ha avuto un ruolo centrale. Se all’inizio lo aveva respinto – trovandolo troppo ardito, troppo lontano dalla fisica – con il tempo ne ha colto la forza: un pensiero che cerca una conoscenza sapienziale, capace di unire scienza, teologia e mistica. E oggi, afferma, è proprio questa visione a parlare al nostro tempo.
Teilhard, con la sua idea di evoluzione cosmica che mira a un "Punto Omega", indica una direzione: un mondo che si sviluppa non solo nella complessità biologica, ma anche nella coscienza e nella spiritualità. In questa prospettiva, ogni essere umano è chiamato a contribuire, con il proprio lavoro e la propria intelligenza, a una creazione che continua. È una visione che richiama da vicino il motto benedettino Ora, lege et labora: pregare, studiare, lavorare. Coniugare la verticalità del rapporto con Dio e l’orizzontalità dell’impegno nel mondo.
Dom Stefano conosce bene sia l’accademia sia il chiostro. Non idealizza la distanza tra fede e scienza, ma invita a non ridurla a conflitto. Oggi, dice, il rischio non è tanto lo scontro tra i due ambiti, quanto l’indifferenza: mondi che vivono uno accanto all’altro, senza più cercarsi. Serve invece una nuova alleanza tra credere e pensare, tra salvezza personale e responsabilità collettiva.
All’abbazia di Praglia, il tempo ha un altro passo. Non si fugge dal presente, ma lo si abita con attenzione. «Il tempo ci è necessario per costruire il nostro modo di conoscere – afferma –. Non basta raccogliere informazioni: serve sviluppare la capacità di giudizio, la sapienza del vivere. L’intelligenza artificiale può sistematizzare dati, ma non può sostituire il percorso umano della coscienza, che ha bisogno di lentezza, trasformazione e attesa».
Se potesse lasciare un messaggio ai giovani, lo riassumerebbe in un invito alla fiducia: la fede non è il contrario della ragione, ma un suo compimento. Nella vita reale, come nell’amore, nell’amicizia, nelle scelte che contano, non bastano logica e geometria: servono coinvolgimento, adesione, tempo. In questo senso, la fede diventa anche strumento per pensare meglio.
Dom Stefano Visintin ci ricorda che la vera sapienza non separa, ma tiene insieme. Non cerca risposte immediate, ma abita le domande. Il suo percorso – da Gorizia a Praglia, dal Big Bang al Vangelo – è un invito a non scegliere tra contemplazione e conoscenza. Perché, forse, ogni ricerca profonda è già una forma di preghiera.
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