Sant'Ignazio fu la Sagrada Família di Gorizia, cento anni per erigere il baluardo barocco

Sant'Ignazio fu la Sagrada Família di Gorizia, cento anni per erigere il baluardo barocco

I di Ignazio

Sant'Ignazio fu la Sagrada Família di Gorizia, cento anni per erigere il baluardo barocco

Di Vanni Feresin • Pubblicato il 25 Apr 2021
Copertina per Sant'Ignazio fu la Sagrada Família di Gorizia, cento anni per erigere il baluardo barocco

Consacrata dopo oltre cento anni dall'inizio dei lavori, la chiesa è legata alla presenza dei gesuiti in città. Il racconto di Vanni Feresin.

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La Compagnia di Gesù, giunta a Gorizia, ottenne l’affidamento della chiesa di San Giovanni Battista, poi ricevuta in dono dal barone Vito di Dornberg assieme ad una casa vicina. I due immobili però erano troppo piccoli per i bisogni della Compagnia in piena evoluzione e, volendo glorificare il fondatore Ignazio e l’apostolo delle Indie Francesco Saverio, canonizzati entrambi il 12 marzo 1622, i padri già nel 1625 avevano iniziato la costruzione di un collegio.

Dopo il 1619, i gesuiti avevano aperto nella casa del conte Giambattista Werdenberg [attuale sede della Biblioteca Statale Isontina] un seminario per dodici alunni poveri, i quali avrebbero goduto gratuitamente del vitto, dell’alloggio e della veste talare cerulea con fascia nera e fronzoli azzurri, per il corso di sette anni. Nel 1638 venne scavato il pozzo del collegio, grazie al ritrovamento di una ricca fonte d’acqua, e due anni dopo venne eretta nel Travnik [Piazza Grande] una statua lignea dedicata a Ignazio de Loyola, nel 1658 fu invece adottata la pietra offerta da Francesco Moisesso, e nel 1687 si passò al più resistente marmo bianco.

Intanto, nel settembre 1654, si procedette all’escavazione delle fondamenta per la grande chiesa barocca. La notte di Natale del 1655, a causa delle grandi piogge autunnali, una parte consistente della parte settentrionale dell’edificio si era sfasciata. Nel 1659, Leopoldo I concesse ai gesuiti cinquecento fiorini annui per sei anni, affinché si portasse a termine la fabbrica. Solo nel 1680 la parte muraria venne completata e nel 1685 era stata iniziata la costruzione del nuovo edificio scolastico che dava sulla piazza.

Le maggiori famiglie patrizie cittadine si occuparono delle decorazioni interne: i conti Cobenzl avevano fatto erigere l’altare di San Giuseppe e con oltre 1000 fiorini, del lascito della Torre, fu completato quello di San Francesco Saverio. Il 31 luglio 1716 venne consacrato il nuovo e spettacolare altare maggiore, opera di Pasquale Lazzarini, sul quale celebrò la prima messa il vescovo di Pedena monsignor Giorgio Francesco Saverio de Marotti. In origine l’altare maggiore era ligneo, anche per ridurre i costi di costruzione, quindi si decise di procedere alla sostituzione di quello ligneo e alla messa in opera di un altare degno della più grande chiesa cittadina.

Del 1721 l’affresco scenografico di Christoph Tausch con la poderosa “Gloria di Sant’Ignazio”, la facciata della chiesa venne completata con le statue di San Giuseppe e San Giovanni Battista nel 1725. Ci furono ancora molti interventi e la consacrazione della chiesa si svolse solamente nel 1767 per mano del principe arcivescovo di Gorizia, Carlo Michele d’Attems, e di altri tre vescovi: Concordia, Capodistria e Pedena.

La diocesi di Pedena

La diocesi di Pedena ha una fondazione antichissima, tradizionalmente si fa risalire al IV secolo. Venne quindi unita alla diocesi di Trieste il 19 agosto 1788 con la bolla Super specula militantis Ecclesiae di papa Pio VI e contestualmente soppressa e incorporata nella neo eretta diocesi di Gradisca. Il 12 settembre 1791, quando fu ripristinata la diocesi di Trieste, la piccola diocesi di Pedena fu nuovamente unita a quella tergestina. Alla data dell’erezione il capitolo era composto da quattro canonici e nella diocesi si celebrava in lingua illirica. Oggi la diocesi sopravvive come sede vescovile titolare con il nome di Pedena o Petina.

Giorgio Francesco Saverio de Marotti

Giorgio de Marotti presiedette alla consacrazione dell’altare maggiore della Chiesa di Sant’Ignazio, proprio il 31 luglio 1716, era stato eletto vescovo di Pedena da pochi mesi, il 25 aprile del 1716, e vi rimarrà fino alla morte avventa il 28 agosto 1740. Venne inviato a Gorizia anche per la sua venerazione verso il grande santo gesuita Francesco Saverio, del quale portava il secondo nome. L’anno successivo, il 6 giugno del 1717, ebbe l’onore di incoronare, su permesso della Santa Sede, la sacra effigie della Madonna di Monte Santo nella Piazza Grande di Gorizia, seconda incoronazione dopo quella di Tersatto di Fiume. Il vescovo de Marotti accolse a Gorizia l’imperatore Carlo VI in visita a Gorizia nel 1728. Venne inumato nella cattedrale di San Vito di Fiume nel 1740 davanti all’altare di San Francesco Saverio.

A ricordo della consacrazione

A ricordo della consacrazione avvenuta il 24 febbraio del 1767 venne posta una grande lastra marmorea sulla parete di sinistra al principio della grande navata con l’epigrafe:

D.O.M. TEMPLVM. D. IGNATII. DE. LOIOLA. CAROL. MICH. AB ATTEMS. S.R.I. PRINCIPECS PRIMUS. GORITIENS. ARCHIEP. ALOIS. MARIA. GABRIELI. CONCORDIENS. CAROL. CAMVCCIVS. IVSTINOPOL. ALDRAG. PICCARDI. PETTINENS. EPISCOPI AN. MDCCLXVII VI. KAL. MART. DEDD.

I quattro vescovi presenti al complesso rito di consacrazione del tempio furono Carlo Michele d’Attems primo principe arcivescovo di Gorizia dal 1752 al 1774, Luigi [o in alcuni testi Alvise] Maria Gabrielli vescovo di Concordia dal 1761 al 1779, poi nominato vescovo di Vicenza, Carlo Camuzio [o Camuccio] vescovo di Capodistria dal 1750 al 1776, poi nominato vescovo titolare di Tarso, e Aldrago Antonio de Piccardi vescovo della piccola diocesi di Pedena. Il vescovo de Piccardi fu l’ultimo vescovo di Pedena e la resse dal 1766 al 1784, poi venne nominato vescovo di Segna e Modruš. Il 19 agosto 1788 con la bolla Super Specula militantis Ecclesiae la diocesi di Pedena venne unita a quella di Trieste e contestualmente incorporata alla neonata diocesi di Gradisca. Il 12 settembre 1791, quando fu ripristinata la diocesi di Trieste, la diocesi di Pedena fu incorporata nella diocesi tergestina, oggi rimane diocesi titolare.

Pasquale Lazzarini

Nacque a Venezia nel 1667 e morì a Gorizia nel 1731. Non ci sono notizie attendibili sul lavoro che lo sculture di origine veneziana abbia svolto nella città lagunare. Sposò nel 1698 Annamaria Pacassi sorella di Giovanni [attivissimo scultore del Goriziano], zia del ben più noto Nicolò e figlia di Leonardo, titolare di un’avviata bottega insieme al figlio. Lazzarini, dopo il matrimonio, fece la sua comparsa nella scena cittadina goriziana collaborando attivamente alla bottega del suocero, come si nota anche nell’altare di Sant’Ignazio per le affinità stilistiche e scenografiche.

Nel 1705 firmò l’altare maggiore della chiesa del Santissimo Crocifisso di Cormons, nel 1711 completò la chiesa di San Vito di Fiume, con la realizzazione dello splendido altare maggiore che il cognato Giovanni Pacassi non riuscì a ultimare. Sempre a Fiume si occupò degli altari delle Chiese di S. Ignazio e dei Ss. Ladislao e Stanislao, entrambi commissionati dai gesuiti. Il rapporto speciale con i padri della Compagnia di Gesù, che ne avevano conosciuto l’abilità e velocità, e la conoscenza diretta del vescovo de Marotti furono il motivo della prestigiosa committenza goriziana che lo vide protagonista nella cura dell’altare maggiore barocco di Sant’Ignazio, lavoro che portò a termine in poco più di un anno.

L’anno successivo, 1717, Lazzarini decorò ancora con due enormi candelieri di marmo il già ricco e nobile altare maggiore che spiccava per grandezza, leggerezza e prospettiva architettonica, in quanto alle sue spalle si trovava ancora una parete spoglia. Nel 1717 ebbe una collaborazione con lo scultore gradiscano Paolino Zuliani. Nel 1730 presentò un progetto per un altare del duomo di Graz che non venne preso in considerazione. Morì l’anno successivo a Gorizia. Il particolare intarsio a foglie vegetali è la maggior chiave di lettura delle sue che opere scultoree che possono essergli attribuite proprio grazie a questa suo peculiarità artistica.

Nella foto: l'interno della chiesa di Sant'Ignazio.

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