La salute mentale tra le strade del Burkina Faso, il progetto Cvcs nato a Gorizia

La salute mentale tra le strade del Burkina Faso, il progetto Cvcs nato a Gorizia

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La salute mentale tra le strade del Burkina Faso, il progetto Cvcs nato a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 31 Mag 2024
Copertina per La salute mentale tra le strade del Burkina Faso, il progetto Cvcs nato a Gorizia

Illustrato ieri il progetto attualmente in corso per il secondo anno in Burkina Faso, 300 persone viste da uno psicologo grazie a questo lavoro.

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Mentre in Burkina Faso vengono chiamate “persone erranti”, altrove sono “vagabondi”, ma la sofferenza che serbano in cuore non cambia. Loro sono i così detti malati “de la rue”, cioè “di strada”, dei quali si è parlato alla tavola rotonda organizzata dal Centro volontari cooperazione allo sviluppo (Cvcs) ieri sera presso il Trgovski dom di Gorizia. Un progetto denominato “Reinassance 2” attualmente in corso per il secondo anno proprio nel Burkina Faso, che promuove la salute mentale e i diritti delle persone con disagio psichico.

«Siamo una piccola Ong di Gorizia, nata nel 1980, quindi con una solida tradizione – spiega il referente dei progetti in Burkina Faso Cristian Olivieri - Lavoriamo da diversi anni anche in Bolivia e Costa d’Avorio in progetti di sviluppo, e in Italia in attività di educazione allo sviluppo e alla cittadinanza globale. Da cinque sei anni il Cvcs lavora in Burkina Faso con partner territoriali della regione come il Dipartimento di salute mentale di Asugi, con controparti che si occupano di persone in sofferenza mentale che finiscono per vagabondare per le strade in Africa».

All’origine dell’abbandono a se stessi, la mancanza di un sistema sanitario adeguato, sommata all’incapacità da parte delle famiglie di gestire le difficoltà, o alla stessa mancanza di volontà di mantenerle. Tema dell’incontro è l’inclusione e la promozione dei diritti delle persone in sofferenza, con l’obiettivo di accompagnarli a riguadagnare il proprio diritto di cittadinanza. «A partire da quest’esperienza la nostra associazione ha creato un centro nel quale - con risorse e donazioni - riesce a offrire riparo, accoglienza, cura e riabilitazione a queste persone», rimarca Olivieri.

Un lavoro che si è consolidato in tre Paesi: al Burkina Faso si affianca la Costa d’Avorio con il progetto “Sentiers” – destinato a minori e giovani in condizione di fragilità socio-economica, e poi la Bolivia con “Restoring Justice” – per giovani e adulti. In sinergia con enti diversi - dalle amministrazioni alle strutture sanitarie, alle autorità locali – “Reinassance 2” svolge un importante lavoro sul territorio, reso possibile soprattutto grazie all’attività dei tanti volontari. «Il Cvcs si è impegnato nel costruire progetti per rafforzare le attività terapeutiche, ma anche lavorare nel campo della formazione sulla salute mentale e sulla sensibilizzazione della popolazione».

Oltre alla già citata Asugi, fra gli altri partner spiccano le università di Torino e Trieste, la Caritas di Bobo-Dioulasso (Ocades), il centro giovanile Jigi-Seme di Bobo-Dioulasso e il ministero della salute del Burkina Faso. «È un programma che stiamo portando avanti dal 2018 attraverso diverse iniziative progettuali, di cui l’ultima in corso si chiama “Reinassance 2”». L’opportunità di esporre il progetto si è presentata con l’arrivo di tre operatori sociosanitari dell’associazione “Saint Camille de Lellis” (Ascl), controparte dell’attività nell’Africa occidentale. A raccontare la propria esperienza di operatore è Isaac Duassara, che in francese spiega l’attività svolta.

«Lavoriamo essenzialmente con le persone di strada», specifica. Fra le motivazioni a fondamento dell’Ascl campeggia la volontà di supportare il personale sanitario insufficiente, potenziando il deficit di conoscenze. Sono soltanto 11 gli psichiatri in Burkina Faso, in quanto la salute mentale non viene considerata prioritaria dal governo. Coloro che soffrono di disagio psichico vengono emarginati e stigmatizzati, soprattutto quando il costo delle terapie farmacologiche è insostenibile per le famiglie. «Esistono normative che consentono di prendersi cura degli indigenti, ma sono inefficaci», prosegue Duassara, che è stato spinto a occuparsi dei “malati di strada” per «amore del prossimo».

«Siamo un’associazione d’ispirazione cristiana», sottolinea. Esattamente, chi sono i “malati di strada”? In sostanza possiamo distinguere quattro tipologie. Dalla persona che vagabonda senza fissa dimora, a quante hanno un piccolo riparo e vagano, per poi farvi ritorno. «In questi casi le famiglie sanno dove si trovano, e passano a vedere se stanno bene». Poi ci sono malati che vivono in famiglia ma non sono seguiti: la sera fanno ritorno a casa, pur vivendo in abbandono. E infine ritroviamo persone di cui le famiglie vorrebbero farsi carico, pur non avendo le capacità per supportarle, perché prive di mezzi economici o socioculturali.

Il ruolo dell’operatore diviene una vera «missione», dove è fondamentale un approccio olistico, che prenda in carico la persona in tutte le sue dimensioni. Passando attraverso un’adeguata alimentazione e cura dell’igiene – che è già «un’inizio di terapia» - si esorta il paziente a sviluppare attività che servano da stimolo al reinserimento sociale. «“Reinassance 2” rafforza un insieme di attività, con una presa in carico che non è medico-centrica». Dove la vita quotidiana viene organizzata «secondo un modello che intende ricordare quello della famiglia africana», raccontano Ramatou Bassole e Theophil Zongo, moderati da Claudia Miniussi.

«A Bobo-Dioulasso – seconda città dello Stato con circa 200mila persone – abbiamo avuto più di 1500 persone nel centro. Fra queste, i malati della strada rappresentano più della metà. “Bobo” è una città d’incrocio, tanta gente che va e viene. Nelle famiglie la situazione sta peggiorando. La nostra associazione lavora anche con la prigione, in cui si ritrovano 1020 persone, di cui 15 sono donne, 25 ragazzi e più di 900 uomini. Circa 300 persone sono state viste dallo psicologo, 30 di queste stanno seguendo la terapia al “Saint Camille de Lellis”. Delle persone detenute, il 25% è già malato quando giunge al carcere, mentre il 15% sviluppa una forma di disagio mentale».

Molti di costoro si sono in qualche modo salvati. Perché dopo essersi ristabiliti hanno scelto di diventare operatori sociosanitari e aiutare quanti – come loro – hanno seguito lo stesso arduo percorso.

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