Russia, Nato, Ucraina: quel giorno che l'Europa è tornata a tremare a èStoria

Russia, Nato, Ucraina: quel giorno che l'Europa è tornata a tremare a èStoria

teatro verdi

Russia, Nato, Ucraina: quel giorno che l'Europa è tornata a tremare a èStoria

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 26 Mag 2024
Copertina per Russia, Nato, Ucraina: quel giorno che l'Europa è tornata a tremare a èStoria

Ieri sera il confronto a Gorizia tra il giornalista Toni Capuozzo, il docente di storia bizantina Gastone Breccia e lo scrittore Martin Sixsmith sul conflitto.

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La logica insensata della guerra fa irruzione nelle nostre case, senza bussare alla porta. Invade il quotidiano braccandoci alle spalle, costringendoci a riflettere, a comprendere il punto di vista dell’altro. «Bisogna comprende il nemico, la sua mentalità», dichiara lo scrittore e presentatore televisivo britannico Martin Sixsmith all’incontro “24 febbraio 2022-La Russia invade l’Ucraina” organizzato da èStoria. Una tavola rotonda svoltasi nella serata di ieri presso un gremito Teatro Verdi a Gorizia, alla quale hanno preso parte anche il giornalista Toni Capuozzo e il docente di storia bizantina Gastone Breccia.

«Alcuni credono che la guerra in Ucraina non sia un problema. Uno su tutti, Donald Trump», la cui vittoria alle elezioni aprirebbe le porte «a tutta una serie di altri conflitti». Eppure, esiste una via di mezzo «fra la capitolazione dell’Occidente» e una guerra più grande. «Come disse il duca di Wellington, la vera arte della guerra sta nell’indovinare chi c’è al di là della collina – spiega Sixsmith – Nella guerra in Ucraina ci si limita a ripetere “Putin ha perso la ragione”. Invece, dietro alle sue azioni esiste una logica ben chiara». La logica è il timore per la propria vulnerabilità. Dalla sicurezza del patto di Varsavia, la situazione precipita con il crollo del muro di Berlino e il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991.

Al vertice di Malta del 1989 – al quale partecipò Sixsmith per la Bbc - «Bush dichiarò, d’accordo con Gorbaciov, che la Nato non si sarebbe allargata. Due mesi dopo James Backer mi disse che la Nato non si sarebbe mossa nemmeno di un centimetro verso Est, per poi spostarsi verso la Romania e spingersi fino al confine con la Russia». Contro il presunto allargamento della Nato si pone Breccia, secondo il quale «non è la Nato ad aver attratto a sé i Paesi. Sono i popoli di questi Paesi che hanno chiesto di entrare a far parte della Nato. Non è stata un’espansione dovuta a un desiderio militaristico, ma una risposta a genti che si sono sentite minacciate - come la Polonia – passate sotto l’ombrello per assicurarsi un futuro maggiormente tranquillo».

Secondo Capuozzo «la pretesa di esportare la democrazia è stata illusoria», e la Nato che allo stato attuale guida le operazioni in Ucraina «è la stessa che ha abbandonato l’Afghanistan al suo destino». Il sogno della democrazia svanisce nel momento in cui si pretende di calcare i propri valori al resto del mondo. «L’errore del tentativo di portare altrove la democrazia ha alla radice qualcosa di buono e al contempo un grande abbaglio – aggiunge Capuozzo – Quello che i valori occidentali siano universali come i jeans. Da un lato il fondamentalismo islamico, dall’altro il crescere di economie “altre” come le Brics», a dimostrare quanto «ciò che ci è caro non è per forza adatto agli altri».

A coordinare l’incontro l’esperto di geopolitica Cristiano Riva, secondo cui il senso riposto nell’invasione russa vada interpretato come tentativo di costruire un nuovo mondo, diverso da quello Occidentale. L’errore è stato compiuto in primis nel 1991, un momento di «grande opportunità mancata» per l’intero Occidente. «Il comunismo era concluso, ma sono stati compiuti una serie di passi falsi – sottolinea Sixsmith – Si è cercato di esportare la democrazia in Russia. Clinton usava l’espressione “far mangiare ai russi la loro dose di spinaci”». Un tentativo che si rivelerà fallimentare, con lo spettro della guerra che torna sui suoi passi, stavolta minacciando il mondo intero con le armi nucleari.

Le avvisaglie di quest’invasione erano evidenti, sottolinea Riva: «La Cecenia prima, poi la Georgia, e l’auto annessione del 2014. Ragionavamo da occidentali che hanno accantonato la guerra?». «Io ho commesso l’errore di scrivere che Putin non avrebbe attaccato – ammette Breccia – Lo scrissi proprio due giorni prima. La Nato veniva da un periodo nero, Macron aveva dichiarato come l’organizzazione fosse in “stato di morte cerebrale”». Innanzi alla fragilità occidentale il dittatore russo ha preferito rischiare una posta in gioco molto alta, seguendo la strategia di sfiancare l’Ucraina e l’Europa tutta.

«Non ho mai visto una guerra finire come era stata pensata all’inizio – ribatte Capuozzo – Questa guerra non sta ancora finendo. All’inizio si parlava di cambio di regime, a Mosca. L’idea di poter cambiare i regimi altrui è perniciosa». E raccontando delle sue due visite al Cremlino, riporta l’aneddoto di Eltsin, che nel parlare di fronte alle telecamere teneva nascosta la mano destra. «Da bambino aveva giocato con una bomba a mano e aveva perso tre dita – aggiunge, ricordando poi l’immagine di Putin che cavalca a torso nudo – Sono immagini funzionali all’idea di leadership, che da noi non c’è più. Guai, se la Russia vincesse, ma sono preoccupato anche del contrario».

Nell’alludere al nucleare, paventa il rischio di un gioco «commesso con poca consapevolezza». Dalla crisi europea emerge con evidenza l’immagine di una Russia secondo Breccia «erede di Bisanzio», guidata da un dittatore sempre più popolare «motivato da sentimenti pericolosi», osserva Sixsmith. Una guerra probabilmente innescata da un errore di considerazione del nemico e dalla sottovalutazione dell’Occidente, in cui gli invasori hanno ridefinito gli obiettivi: «Conquistare solo una parte del Paese e convincere l’Occidente che è troppo dispendioso sostenerla», rimarca Breccia.

L’Ucraina non si arrende, animata da una crescente «voglia di Occidente - insiste Capuozzo – Questa guerra civile ci deve far immaginare che l’uscita dal conflitto non sarà la vittoria fino ai confini del ’91. Sarà forse una soluzione alla coreana. Perché la guerra è una tragedia in cui muore anche chi resta. Si continua a raccontare di confini che non vedremo. Non ci hanno detto che si combatteva per la democrazia? Com’è andato a finire l’intervento in Libia per Gheddafi? E quello in Iraq, o in Siria? Se ci si interroga, credo che quello che sta accadendo sia una lezione di realismo che ha il sapore di sconfitta. O si va al negoziato, oppure alla terza guerra mondiale».

Ragionando sulle ragioni ucraine, osserva come nell’ottica del Paese invaso sia determinante «vedere la Russia sconfitta», ma necessario anche il punto di vista globale. «Non si tratta solo dell’interesse di un popolo, bisogna vedere anche gli interessi mondiali. I grandi principi non sempre conducono al successo».

Foto Sergio Marini

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