A Ronchi l'ultimo saluto a don Renzo Boscarol, «il prete tra la gente»

A Ronchi l'ultimo saluto a don Renzo Boscarol, «il prete tra la gente»

La cronaca della giornata

A Ronchi l'ultimo saluto a don Renzo Boscarol, «il prete tra la gente»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 13 Mar 2021
Copertina per A Ronchi l'ultimo saluto a don Renzo Boscarol, «il prete tra la gente»

Partecipate esequie seppur in forma privata. In mattinata in tanti hanno deciso di dare l'estremo saluto al sacerdote rispettando le normative anticontagio. Alle 15 il rito funebre presieduto dall'arcivescovo.

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“Ama Iddio sopra ogni cosa, ama il prossimo tuo come te stesso”. Perentorie e ieratiche, le citazioni evangeliche tra virgolette sovrastano la navata della chiesa di San Lorenzo di Ronchi dei Legionari. Illuminate dalla luce che filtra attraverso le finestre poco sopra, le lettere in chiaro stile romano, memori della ricostruzione postbellica di inizio Novecento, non sono sicuramente mai passate inosservate all’occhio vigile e giornalistico di don Renzo Boscarol che le ha fatte proprie nell’intera esistenza.

Sono rimaste lì, le epigrafi, mentre il feretro del parroco di San Lorenzo veniva salutato per tutta la mattina dalla sua comunità. Il Comune gli ha tributato due giorni di lutto cittadino ma è certo che il suo ricordo saprà scalfire le rigide sferzate dell’oblio e del tempo, rimanendo impresso nel cuore e nell’anima non solo dei ronchesi ma di tanti che lo hanno conosciuto e apprezzato.

Per tutta la mattina uomini e donne, anziani e bambini di ogni età hanno varcato la soglia della parrocchiale dedicata a San Lorenzo Martire per un pensiero, una preghiera, una riflessione o un semplice saluto. Presenti per far rispettare le norme anticontagio gli scout ronchesi e la Protezione Civile, assieme alla Polizia Locale e ai Carabinieri della locale stazione. In ogni caso, la popolazione ha risposto con ordine e correttezza, rimanendo distanti ma avvicinandosi nella preghiera.

Il rito funebre, officiato dall’arcivescovo monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, è stato concelebrato dal decano don Paolo Zuttion e dal vicario parrocchiale don Mirko Franetovich. Presenti anche vari confratelli, fra cui il vicario generale monsignor Armando Zorzindon Sergio Ambrosi, don Luigi Fontanot, don Giorgio Giordani, don Pierpaolo Soranzio ma anche don Ignazio Sudoso, don Giovanni Sponton, don Vasile Şoptea, padre Renato Ellero, don Umberto Bottacin e il decano don Paolo Zuttion.

Le letture, in tre lingue, hanno raccontato quanto hanno ugualmente espresso gli enormi manifesti apposti in questi giorni a Ronchi e non solo, predisposti dalle “Associazioni dell’Isontino”, in italiano, bisiaco, friulano, sloveno e tedesco. Un animo mitteleuropeo, quello di don Renzo, che ha vissuto durante tutta la sua esistenza in numerose associazioni e sodalizi locali, a partire dall’aver fondato Concordia et Pax ed essere stato tra i primi promotori del pellegrinaggio a Monte Santo/Sveta Gora.

Quindi il corteo, lungo e silenzioso, che lo ha accompagnato nell’ultimo viaggio terreno verso il cimitero civile di Ronchi dei Legionari. Tra le facce meste anche tante che hanno saputo guardare avanti, consce dell’insegnamento del sacerdote, che “non ha smesso mai un minuto di fare il prete tra la gente”, come ricorda il collega giornalista Salvatore Ferrara.

“Don Renzo è una persona che ha amato”, ha esordito il presule. “Un amore vero e appassionato per la sua Ronchi, per la sua comunità, per la nostra Chiesa diocesana, per la scuola, per l’Azione Cattolica, per il mondo delle comunicazioni, per questo territorio di confine e la sua vocazione europea, per le realtà della società, della politica, del lavoro. Quanti interessi e quanto impegno profuso con intelligenza e dedizione. Penso che tutti noi siamo debitori verso questo sacerdote «bisiaco e ronchese ma cittadino del mondo», come si è definito nel testamento”.

Proprio nel suo testamento don Renzo ha ricordato: “Ho tentato di vivere l'umiltà senza ipocrisie – sono le sue parole - ed il dovere di apprendere dalla fede e dalla vita di altri la direzione verso cui orientare il proprio ministero, spesso in opposizione a false sicurezze dimostratesi. Desidero testimoniare di essere stato consolato dalla Parola di Dio e dall'esempio fermo di tanti fratelli e sorelle e vado verso la luce nella certezza di cogliere il segno e di trovare quella pienezza per la quale siamo creati e che ci è donato, senza merito che di averla cercata ed indicata”.

A ricordarlo anche il sindaco, Livio Vecchiet. “Un uomo di fede – ha ricordato Vecchiet - che negli ultimi anni si era anche accorto dei vuoti che si creavano nei banchi della chiesa quando qualcuno degli anziani fedeli ci lasciava, ma che non era preoccupato di questo, era molto preoccupato sul futuro dei nostri giovani, sulla mancanza di una politica scolastica seria, era molto preoccupato della mancanza di ricambio generazionale e di completa mancanza di una politica capace di sostenere le giovani famiglie e la possibilità di avere dei figli”.

“La parrocchia grazie a lui è diventata punto di riferimento, laboratorio di incontro, dove trovano sede la Caritas, gli scout, dove i migranti imparano l’italiano, un luogo aperto a tutti, dove la socialità, la sensibilità, il rispetto sono le parole d’ordine”, ha proseguito il primo cittadino. “Don Renzo durante la sua missione tra noi, ha fatto anche il contadino, lui per noi ha seminato con le sue omelie, le sue parole, i suoi gesti, le sue iniziative, tanti terreni interiori di ognuno di noi che forse erano incolti”, ha concluso Vecchiet.

“È stato un onore conoscerti e averti presente tra noi – ha ricordato Alessandro Pierobon a nome di tutto il consiglio pastorale - ci hai dato fiducia, ci siamo sentiti amati, importanti per gli uomini e per il Padre. Ti sei reso compagno di viaggio, in testa a tutti - sempre - per dare l’esempio, a fianco di ognuno per spronarci e sostenerci ma hai saputo anche fare un passo indietro per non sopraffarci”.

“Come buon pastore, con pazienza e fedeltà, hai cercato soprattutto le pecore smarrite perché non ne rimanessero di disperse. Dalle tue origini, quelle rodarete, hai ben imparato la fatica del contadino e la dedizione che questo lavoro richiede. Da questa tradizione hai anche imparato, come diceva lo zio Toni, che “noi abbiamo preparato tutto quanto potevamo, adesso tocca a Dio fare la sua parte perché ci possa essere un buon raccolto”.

Non ti sei mai “girato dall’altra parte”. Hai sempre saputo da che parte stare, senza esitazione e senza distinzione tra “nostri e altri”. Ti sei messo dalla parte degli ultimi, dei poveri, di chi fa più fatica, di chi è nella sofferenza, cercando soluzioni perché nessuno si sentisse escluso”, ha proseguito Pierobon.

“La condivisione era ed è portare il peso insieme nel segno della ricerca di verità, giustizia e libertà che ormai non sono scontate nei tempi che viviamo. Ti sei sempre schierato anche dalla parte dei giovani e dei bambini. In mezzo a loro ti sei intenerito, mostrando inedite dolcezze. Ti sei preoccupato molto per la loro crescita e per il loro futuro”, ha concluso Pierobon.

“In occasione dei cinquant’anni della sua iscrizione all’Ordine dei Giornalisti sottolineò l’importanza dell’essere giornalista”, ha ricordato il presidente dell’Odg Fvg, Cristiano Degano. “Durante il suo periodo da direttore di Voce Isontina, l’ha fatta diventare un punto di riferimento per la diocesi ma anche diventare una fucina per tanti giovani giornalisti. Ci esortava a scrivere con la saggezza del cuore”, ha concluso Degano.  

Foto di Fabio Bergamasco. 

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