LA CERIMONIA
Ronchi omaggia i 10 militari internati dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943

È stata la prima commemorazione dopo l’entrata in vigore della Legge 6 del 13 gennaio 2025. Aned e Amministrazione uniti nel ricordo.
Ronchi ha ricordato stamane, sabato 20 settembre, i suoi 10 militari internati nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. La cerimonia ha avuto luogo al Monumento dei Deportati difronte al Cimitero Comunale. Si tratta della prima commemorazione dopo l’entrata in vigore della Legge 6 del 13 gennaio 2025 che ha istituito questa Giornata Nazionale.
Dopo l'Armistizio tra l’Italia e gli Angloamericani, proclamato I'8 settembre 1943, circa 800mila soldati italiani vennero catturati e disarmati dai tedeschi. Si trovavano in patria o all'estero, tra Jugoslavia, Francia, Albania, Grecia e isole dell'Egeo, Polonia, paesi baltici e Unione Sovietica. Di questi, circa 650mila finirono nei campi di prigionia. Il regime nazista non considerò i soldati italiani catturati come prigionieri di guerra, ma li classificò come "internati militari italiani” privandoli così delle tutele garantite ai prigionieri di guerra dalla Convenzione di Ginevra, sottraendoli alla protezione dalla Croce Rossa Internazionale e obbligandoli al lavoro forzato. Venne loro ripetutamente offerta la possibilità di essere liberati a patto di arruolarsi nelle forze armate tedesche o in quelle della Repubblica Sociale Italiana. La gran parte degli internati rifiutò dando vita a una forma di Resistenza "disarmata".
È stato il presidente dell’Aned Libero Tardivo a raccontare i volti di questa pagina storica. Tra questi c’erano Aldo Fachin, Aurelio Lenardon, Pio Manià, Corrado Miniussi, Angelo Miniussi, Bruno Novati, Mario Padovan, Ettore Schiavo, Giuseppe Tomasin e Cesare Visintin.
Il professor Franco Ceccotti dell’Aned di Trieste e storico IRSML FVG ha fatto memoria di questi oppositori del regime e ha riferito dell’esperienza vissuta da queste persone e dai loro familiari. Alcune fonti da lui citate parlano di almeno 720mila persone coinvolte tra i campi, viaggi di trasferimento dai luoghi di arresto e quanti hanno poi aderito alla Resistenza armata.
È stato Alessandro Miniussi, nipote di Corrado Miniussi, a deporre una corona in onore degli internati. Tra i parenti dei coinvolti in queste sofferenze c’erano anche persone che non erano di Ronchi dove però è arrivata la triestina d’adozione Tiziana Melloni, nipote di Enrico Melloni, di Roma, catturato in Croazia dai nazisti.
Invece, a ricordare suo nonno Pio Manià c’erano, da Monfalcone, le nipoti Laura e Serena e la nuora Antonietta.
All’iniziativa hanno preso parte il Prefetto Ester Fedullo, il Primo Dirigente del commissariato di Polizia di Monfalcone Stefano Simonelli, il Comandante della locale Stazione dei Carabinieri Niccolò Grieco e il sindaco Mauro Benvenuto. Il parroco Monsignor Ignazio Sudoso ha impartito la benedizione.
«Oggi ci ritroviamo insieme per la prima volta nella nostra città a celebrare ufficialmente la Giornata dedicata agli Internati Militari Italiani – sono le parole del primo cittadino Benvenuto - un momento di grande valore storico, civile e morale, che ci chiama non soltanto alla memoria, ma anche alla riflessione e alla responsabilità verso il presente e il futuro. Ai 600mila soldati e ufficiali italiani di ogni arma e corpo deportati nei campi di concentramento fu offerta più volte la possibilità di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e collaborare con l’esercito tedesco. La risposta, in larghissima parte, fu un “no” compatto e silenzioso, un rifiuto che costituì il primo grande atto collettivo di Resistenza al Fascismo e al Nazismo».
«Questi uomini, i nostri padri, i nostri nonni – continua - scelsero consapevolmente la via più dura: la fame, il freddo, le violenze, il lavoro coatto nella loro sofferenza custodirono intatta la dignità, la fedeltà ai valori più alti della patria e dell’umanità. Fu una “resistenza senza armi”, come la definì Giovannino Guareschi, ma non per questo meno coraggiosa o meno decisiva. Oggi riconosciamo a quegli uomini il merito di avere contribuito al riscatto dell’Italia, accanto ai partigiani e al Corpo Italiano di Liberazione. La loro fu una scelta di coscienza che trasformò la tragedia della prigionia in una testimonianza di libertà, consegnando al nostro Paese una lezione di democrazia e di civiltà».
Nell’intervento non sono mancati i riferimenti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che recentemente ha ricordato come senza il sacrificio degli internati «non avremmo potuto conquistare con onore il traguardo della libertà, né avremmo avuto la forza di intraprendere il cammino democratico che la Costituzione ha poi sancito».
«La nostra città, grazie al coraggio dei suoi abitanti, al sostegno delle famiglie e all’impegno delle associazioni e della parrocchia guidata da don Giovanni Battista Falzari, seppe dimostrare solidarietà e umanità, salvando migliaia di vite. Un’eredità morale che ancora oggi ci onora e ci guida» così in conclusione il sindaco che ha richiamato ancora una volta la figura del compianto concittadino Mario Candotto.
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