«I miei figli devono vivere liberi». Da Ronchi il messaggio per i giovani a ricordare

«I miei figli devono vivere liberi». Da Ronchi il messaggio per i giovani a ricordare

La cerimonia

«I miei figli devono vivere liberi». Da Ronchi il messaggio per i giovani a ricordare

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 27 Gen 2022
Copertina per «I miei figli devono vivere liberi». Da Ronchi il messaggio per i giovani a ricordare

L'Aned ha sottolineato la difficoltà di entrare nelle scuole. «Raccontiamo pagine di storia, non favole inventate».

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“Dobbiamo preoccuparci per il pericoloso rigurgito d’odio verso l’altro e il diverso specialmente nelle giovani generazioni”. Il messaggio lanciato da Ada Bait, presidente dell’unica sezione dell’Aned, l’Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti, nel territorio provinciale, è inequivocabile. “C’è una difficoltà a entrare nelle scuole, non solo per colpa del Covid ma anche per la reticenza di alcuni insegnanti. Queste che noi ricordiamo sono pagine di storia, di vita vissuta, non favole inventate”.

È iniziata con queste parole la cerimonia al monumento di fronte al cimitero di Ronchi dei Legionari in occasione della Giornata della Memoria. Sul filo rosso dei giovani e della necessità di tramandare la memoria ha proseguito anche il sindaco, Livio Vecchiet. “Dobbiamo evitare che come ha detto Primo Levi “ciò che è accaduto può ritornare” ma questo lo possiamo fare solo se non dimentichiamo, perché la memoria ci deve guidare, per evitare i terribili errori compiuti tanti anni fa. Aggiungo una frase di Anna Frank: quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo. A questi uomini morti senza capirne il motivo, è doveroso dedicare almeno una volta l’anno una riflessione, un pensiero, un fiore, una cerimonia, per non dimenticare mai”, così Vecchiet.

Libero Tardivo dell’Aned, che in questi giorni ha curato un video che è stato inviato ad alcuni istituti scolastici cittadini, stante l’impossibilità di incontrare gli studenti di persona, nel quale lo stesso Tardivo ha parlato dei “colori dell’odio. Non bisogna dimenticare che non tutti i deportati avevano la stella gialla che indicava gli ebrei, ma anche altri colori. Dai Rom ai Testimoni di Geova fino agli “asociali” e ai dissidenti politici. I nostri avevano quasi tutto il triangolo rosso”. Tardivo ha voluto, poi, leggere uno stralcio dal Giuramento di Mauthausen. “Oggi sembrano parole al vento visti gli episodi di cronaca recente. Sta comparendo l’Io e sta morendo il Noi”.

Presenti due dei tre sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti. Si tratta di Mario Candotto, classe 1926 e Rodolfo Franzi, del 1923, entrambi deportati a Dachau anche se non va dimenticata ed Olimpia Gellini (1924) deportata ad Auschwitz. Il prezzo che Ronchi dei Legionari, città decorata con medaglia d'argento al valor militare per l'attività partigiana, pagò durante la Seconda guerra mondiale fu altissimo. Nei lager nazisti arrivarono 158 deportati, 75 dei quali non fecero più ritorno.

Allo scoprimento delle Pietre nei tre punti del comune, tanta la commozione. In via Dante sono stati ricordati Angelo Cenedese, classe 1925, morto alla Risiera di San Sabba e Ida Serafin, del 1926, internata ed uccisa nel lager di Auschwitz, ricordata tra le donne illustri della Resistenza cittadina e una delle 11 donne ronchesi cadute nella lotta di liberazione. A Selz, all’inizio di via delle Fornaci, le pietre ricordano Oliviero De Bianchi, classe 1923, anch'egli morto alla Risiera e Luigi Tolloi, nato nel 1920 ed assassinato a Dachau. I parenti di Luigi, la sorella Alice e i due figli Luigino e Luciana, hanno partecipato in silenzio con un garofano rosso in mano. Un silenzio valso più di mille parole, presenti, però, nella commozione generale. In piazza Santo Stefano, infine, si è mantenuta la memoria di Aldo Geppert, classe 1912, ucciso a Dachau. La figlia Anna ha voluto ricordare il padre che lei non ha mai conosciuto. “Era nato a Milano ma aveva fatto il militare a Redipuglia dove aveva conosciuto la mamma, Maria Soranzio. Si erano sposati e hanno avuto cinque figli, ma lui è stato deportato il 16 giugno e io sono nata a novembre”, racconta Anna. “Quando stava per partire come partigiano, alle domande della moglie se avesse pensato al futuro dei cinque figli, egli aveva risposto, «I miei figli devono vivere liberi»”.

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