Rodolfo del Mestri (1869-1952) e la Madonna di Medana

Rodolfo del Mestri (1869-1952) e la Madonna di Medana

Il personaggio

Rodolfo del Mestri (1869-1952) e la Madonna di Medana

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 24 Set 2021
Copertina per Rodolfo del Mestri (1869-1952) e la Madonna di Medana

Ferruccio Tassin ci porta tra i ruderi della casa di Rodolfo del Mestri e quella Madonna scolpita per la comunità di Medana, ora in Slovenia.

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In paese i vecchi parlavano di un’opera che Rodolfo Del Mestri scolpì per la chiesa di Medana, un tempo Contea di Gorizia, patria comune di Friulani e Sloveni. Tutti la citavano: tra i personaggi famosi da mettere in vetrina, c’era sempre il Nostro con la Madonna di Medana. Nessuno l’aveva fotografata; da come ne parlavano, neppure vista. Informazioni sui due versanti del Collio orfane di risultati.
Perché non andare a vedere?

Giornata di pioggia; ma il paesaggio del Collio colpisce comunque; muta solo il tono del colore.
Sgranarsi verde di viti sulle colline; biancheggiare di case; nero d’asfalto quasi anomalia estetica; cielo affastellato di nubi che il vento combinava: installazioni della natura, esempio agli uomini.
La strettoia del castello di Dobrovo, e più quotidiani paesaggi, per arrivare alla piazza della chiesa in cima a una collina scavalcata da strade. Piove; la chiesa è aperta.
Una lapide racconta la sua storia: sacello nel 1525, poi chiesa; più recente edizione architettonica l’ultimo ventennio dell’ 800.
Interno con classica luce delle chiese; schermata la facciata da organo e cantoria, ma la foglia d’oro riluce: è una Madonna, grande, in una nicchia recente.
Cercando l’aiuto della luce artificiale un compagno di viaggio aziona le campane; l’ora di mezza mattina, non rende credibile il suono, pur bello, che grida ancora, dopo l’immediato spegnimento della corrente.
Si fa gente; poca. Un discreto informarsi, e sgorgano le prime storie.
Madonna scolpita da un “prigioniero”; e Rodolfo è stato prigioniero; “friulana” la Madonna, perché porta lo scialle alla furlana.


Un parroco di lì, don Srečko Šuligoj, voleva saperne di più; è andato in giro per la Furlanìa; anche a Chiopris…e là c’è anche Viscone, che qualcuno deve aver sentito suonare come altra eco…
È il capolavoro di Rodolfo, la Madonna di Medana; le ingenue statue di marmo sull’altar maggiore, con un popolare, fanciullesco Sant’Antonio da Padova, la fanno risaltare.
Una grande nicchia in marmo grigio: nome del donatore, nome del vescovo, e quello del parroco, incise in una fascia in basso, grandi, quasi in capitale quadrata.
Il trono, con le volute del barocco dorate, chiude la Madonna. Il trono bel lavoro in sé, ma comprime la bellezza della statua, che deriva dagli ornamenti della veste e dall’espressione insieme.
A grandezza naturale; la veste è ornata a tutto tondo da colori smaglianti (dipinta dal pittore veneziano Giovanni Trotter); ha carattere proprio, pur guardando a non pochi modelli: sguardo dolce, non zuccheroso, atteggiamento di pietà composta.
Rappresenta l’Immacolata, ma viene portata in processione per l’Assunta.

Qui racconta Stanko Pulec, in un buon friulano del Collio pieno di colore, racconta che viene portata in processione, per l’Assunta, perché ci si ricorda della basilica di Aquileia, delle origini aquileiesi.

Una cultura religiosa popolare profonda, radicata, che non ha paura di mettere le mani in tasca, come hanno fatto le famiglie di Medana, per portare splendore nel restauro completo della loro chiesa.
Un lascito è venuto per tirare fuori la Madonna dal cassone in cui era conservata, dopo le annuali funzioni, e donare luce all’interno, come ha raccontato Konrad Sirk, che custodisce le chiavi della chiesa. Danzano le colline dietro la chiesa coi vigneti degradanti in onde di mare verde. Sullo sfondo il monte Quarin che nasconde Cormòns.
Più in basso va in rovina la casa del poeta del Collio Alojz Gradnik, padre sloveno e madre friulana, come tanti qui, un tempo; le pietre sulle tegole delle case spiegano la sua raccolta di canti Harfa v vetru –
Arpa al vento, il paesaggio intorno; come eco, il suo citare, trepidante per la sua lingua nel sonetto Brda – Collio.
Certamente, la Madonna di Medana ha trovato casa nel magico 1896; era la statua pellegrinante a Cervignano, Trieste, ma che a Gorizia aveva trovato tanta gente che aspettava ore per vederla, dopo ore di cammino, proprio dal Collio che, incantato della sua bellezza, aveva voluto la statua sempre con sé.
Nella sua veste, intessuta di luce d’oro, la Madonna alla furlana è un segno straordinario, storico e spirituale di amicizia di genti che si incontrano di nuovo, come un tempo a Gorizia e Cormons, ai mercati, ma anche negli scambi tra popoli che solo concetti perversi di confine hanno ridotto a minoranze.
Salutiamo con un mandi Konrad, Stanko, e le loro mogli che li hanno mandati sulla nostra strada per capire che i legami continuano ancora nel Collio senza confini.


La Madonna di Medana è un pilastro per questi legami. La Medana - nei versi di Gradnik- “…Sul colle, distesa fra vigneti,/ innanzi a te al sole il mare, il grigio Carso,/ la pianura friulana, il corso dorato dell’Isonzo/ e lontani, dietro a te, due giganti,/ il Tricorno e il Monte Nero, ancora più lontane/ le Dolomiti: così ti vedo e intorno a te il Collio/ e cerco per te dolci parole…”.

Rodolfo Del Mestri, nato a Visco nel 1869, in una grande casa padronale, già degli udinesi conti Caselli. Studi ad Ala di Trento e Innsbruck. Pare abbia lavorato in varie località dell’Austria, ma soprattutto a Vienna, dove avrebbe realizzato dei confessionali nella cattedrale di Santo Stefano.
Poi “volendo conoscere il mondo, emigrò all’estero, specie in Africa Asia, Australia e le due Americhe trovando ovunque guerre e rivoluzioni, poco lavoro e tanti scioperi finiti nel sangue”.
In Sud Africa, a Johannesburg, si trova, nel 1902, durante la guerra anglo-boera che termina proprio in quest’anno, con la pace di Pretoria.
Non trova lavori adatti alle sue capacità; per sopravvivere, è costretto in miniera. 


Visita Nuova Zelanda, Nuova Guinea e Nuova Caledonia. Va ad Algeri, Colombo, Singapore.

Nel 1903 è a Sydney. Vi soggiorna un anno (lo troviamo nel 1903); impara l’inglese; frequenta i comizi politici; diventa convinto assertore del socialismo, destinato a culminare nella rivoluzione universale. Stesso anno, a San Francisco, ma era stato anche a New York , dove era costretto a svolgere “lavori pesanti e umili come portare sulle spalle cartoni pubblicitari. L’America non gli piace: Ku-Klux-Klan; Mano Nera; continue lotte cruente per lo sfruttamento degli operai costretti a 12, 14 ore al giorno da parte dei padroni iniqui”.

Per fissare delle date, a Sydney era di certo nel 1903, quando realizza il grande medaglione in legno con il ritratto del padre Giuseppe; il 5 novembre dello stesso anno lo troviamo a San Francisco in California (la data indica l’ultimazione dei lavori per il medaglione della madre Caterina, di identica grandezza). Rodolfo, trentaquattrenne, stanco e sfiduciato, vuole ritornare in paese. Il padre vende una casa per farlo tornare. Sembra la parabola del figliol prodigo; famiglia clericale, lui diventa socialista (dopo Livorno, sarà comunista); si professa ateo e lavora solo per chiese come scultore, pittore, intagliatore, indoratore. Quando scoppia la guerra nel 1914, conosce la fortezza di Lubiana: i socialisti friulani della Contea di Gorizia, sono l’unica forza politica convintamene pacifista. Allo scoppio della guerra con l’Italia, quest’uomo di confine, cittadino del mondo, è arrestato a Palmanova come spia. Internato in Sicilia, si ritrova con il suo avversario storico, il parroco di Visco Mesrob Justulin. A Castelvetrano e Marsala vive con le sue abilità di scultore e ritrattista, e fa proseliti tra i locali per il socialismo. Intanto la prima moglie gli muore di crepacuore. Dopo la guerra, vita grama ancora di più; è maestro del sindacalista e poeta Giovanni Minut. L’arte è dimenticata; lavora per tirare avanti, perfino emigra a 78 anni, in Austria. Muore col gas a Gorizia nel 1952. Ancora più patetica la storia di suo fratello Edo, che ebbe studio di scultore a Buenos Aires e Rio de Janeiro. Anche lui socialista e comunista: si dice avessero venduto campi per mandare aiuti per la causa della rivoluzione russa. Avevano sognato la fratellanza universale, che, nel piccolo mondo paesano, si intravedeva nel quotidiano superare i confini: la povera gente nei mercati a Palmanova; i signori della fortezza nelle osterie sul confine, dove veniva un Ardito Desio, in bicicletta, senza passaporto, con la sola tessera del Touring a mangiarsi i bussolai di cui era ghiotto. Raccontano ancora quella storia le dogane italiana e austriaca e una muta osteria di confine.

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