Il reporter Biloslavo agli studenti di Gorizia, «vi racconto la guerra»

Il reporter Biloslavo agli studenti di Gorizia, «vi racconto la guerra»

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Il reporter Biloslavo agli studenti di Gorizia, «vi racconto la guerra»

Di Daniele Tibaldi • Pubblicato il 07 Ott 2023
Copertina per Il reporter Biloslavo agli studenti di Gorizia, «vi racconto la guerra»

Il giornalista ha raccontato ieri mattina la sua esperienza durante la conferenza dell'Anvcg, «la pace si può perdere in un attimo».

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«Non avrei mai pensato di raccontare un conflitto convenzionale con una superpotenza nel cuore d’Europa. E invece ci siamo trovati di nuovo con l’incubo della guerra». Ha commentato così, ieri mattina, il giornalista triestino Fausto Biloslavo l’invasione russa dell’Ucraina iniziata l’anno scorso. E Biloslavo, quest’incubo, lo conosce fin troppo bene, avendolo vissuto direttamente sul posto, come inviato di guerra lungo il fronte ucraino.

L’evento
L’occasione per rivivere i momenti più drammatici della sua esperienza è stata la conferenza “Testimoni di pace”. L’incontro, organizzato dall’Associazione nazionale vittime civili di guerra (Anvcg) con il patrocinio del Comune di Gorizia, era rivolto principalmente alle scuole locali. «Ogni anno sono circa 500mila i civili colpiti dalle guerre – il tragico bilancio enunciato dalla vicepresidente dell’associazione Adriana Gereto – ma gli studenti possono essere agenti attivi del cambiamento». Gereto ha poi osservato come «in un mondo globalizzato, non possiamo dire di essere moralmente in pace finché tutte le armi non tacciono».

Ciò vale soprattutto oggi, che «il dramma della guerra, per fortuna, lo conosciamo solo attraverso i media», ha ricordato il moderatore Franco Ongaro. Eppure, nonostante siano passati 78 anni dall’ultimo conflitto vissuto direttamente nel nostro paese, molte persone continuano a vivere sulla propria pelle le sue conseguenze. Tra queste, Irene De Vivo, Luciana Melci, Germano Svara ed Edoardo Feltrin. Quattro persone diverse, nate tra il 1938 e il 1944, e tutte segnate dagli orrori degli eventi bellici del secondo conflitto mondiale.

Le testimonianze
De Vivo, nel 1945, stava assistendo con la famiglia a uno spettacolo teatrale vicino ai cantieri di Monfalcone. «Era una tiepida mattina primaverile quando improvvisamente sentimmo suonare le sirene della contraerea». Purtroppo, quel giorno l’allarme era scattato con grave ritardo. Una pattuglia di bombardieri inglesi, di rientro dalla Germania, scaricò il proprio residuo carico di morte sopra le loro teste. «Mia sorella, Rosa, usò il suo corpo per proteggermi e fu colpita alla testa, morendo sul colpo». Quel bombardamento costò la vita di oltre 40 monfalconesi e provocò tantissimi feriti.

La guerra, invece, era già finita da oltre un anno, quando Melci perse un occhio a Pola. Il 18 agosto del 1946 era sulla spiaggia di Vergarola insieme a tanti altri concittadini per assistere a un’importante regata organizzata dalla Società nautica Pietas Julia. Quel giorno erano riemerse a galla una trentina di mine antisbarco. Probabilmente fu il caldo torrido del pomeriggio a innescare una serie di esplosioni a catena proprio durante lo svolgimento della manifestazione, quando la spiaggia era gremita di bagnanti.

Morirono oltre 100 persone e 211 furono i feriti, tra cui, appunto, Melci. Ma la storia che le è rimasta più impressa è quella del dottor Micheletti, il medico dell’ospedale di Pola che la operò insieme ad altre decine di persone. «Lui sapeva che su quella spiaggia c’erano anche i figli. Di giorno lavorava in ospedale per salvare chi poteva, e la sera correva in spiaggia a cercare i corpi dei due bambini: non li recuperò mai».

Germano e Feltrin – il primo di San Giuseppe della Chiusa (Trieste), il secondo di Caneva (Pordenone) – furono entrambi gravemente feriti alle gambe da due diversi ordigni rimasti a terra inesplosi. Feltrin in particolare perse entrambi gli arti inferiori. Li chiamavano menomatini: quei tanti bambini rimasti mutilati durante il secondo conflitto mondiale o successivamente, nell’immediato dopoguerra, e spesso nascosti per vergogna dalle stesse famiglie.

Per molti di loro fondamentale sarebbe stato il ruolo di don Carlo Gnocchi. «La mia vita – il racconto di Feltrin – ha ripreso a scorrere quando don Gnocchi aprì a Parma il primo collegio per bambini mutilati. Ero costretto a tornare sotto i ferri ogni due anni, perché i moncherini crescevano». Nel collegio avrebbe trovato una seconda famiglia: «Don Gnocchi mi insegnò a non invidiare chi corre, perché l’invidia porta all’odio e l’odio alla morte».

La guerra oggi
Tornando a Biloslavo: «Da 40 anni racconto i conflitti e sono stato anch’io ferito sul campo. Avevo 27 anni e mi trovavo nell’Afghanistan invaso dai sovietici. I sovietici mi lanciarono contro di proposito un camion militare. In quell’attentato persi metà del mio sangue. La Croce rossa mi recuperò per mettermi sul tavolo operatorio. C’era un chirurgo con un bel paio di baffoni, che poco prima di svenire mi disse: “Non preoccuparti, ti salverò. Mi sono fatto le ossa in Vietnam”. Mi salvai e sono qui per raccontarvi l’aspetto peggiore della guerra».

Per farlo, il giornalista ha usato direttamente i suoi video reportage dal fronte in Ucraina, dove è stato testimone diretto delle orrende atrocità commesse dai russi sui civili ucraini a Irpin e a Kramatorsk. «Ma crimini contro l’umanità sono stati commessi da entrambe le parti, non solo dai russi», ha sottolineato sempre Biloslavo, perché è nella natura di ogni conflitto. I servizi del reporter hanno riguardato anche il Medio Oriente, mostrando il dramma delle yazide, seviziate come schiave sessuali dagli uomini dello Stato islamico in Siria e in Iraq.

«Quando rientro da questi reportage, torno a Trieste sempre in treno. Quando si apre la vista sul Golfo di Trieste, lungo la costiera, mi tornano sempre in mente, come in un film, tutte le immagini terribili della guerra che ho raccontato. Solo quando arrivo in stazione e trovo la mia famiglia ad attendermi, mi rendo conto di quanto siamo fortunati a vivere in pace. Teniamoci stretta questa fortuna – la chiosa di Biloslavo – perché la pace si può perdere in un attimo».

Foto Daniele Tibaldi

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