Redaelli alla Messa dei Patroni, «il martire dona la vita ma attenzione a idoli e ideali non veri»

Redaelli alla Messa dei Patroni, «il martire dona la vita ma attenzione a idoli e ideali non veri»

La celebrazione

Redaelli alla Messa dei Patroni, «il martire dona la vita ma attenzione a idoli e ideali non veri»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 15 Mar 2025
Copertina per Redaelli alla Messa dei Patroni, «il martire dona la vita ma attenzione a idoli e ideali non veri»

Presente anche il vescovo di Capodistria Štumpf. L'arcivescovo rilancia la necessità «di guardare ai frutti delle radici cristiane» e invoca i patroni in tre lingue.

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«La solennità dei santi Ilario vescovo e Taziano diacono diventa per la nostra città di Gorizia segno di unità e di concordia». Le parole dell’arcivescovo metropolita di Gorizia, monsignor Carlo Redaelli, al termine della solenne celebrazione eucaristica in occasione dei patroni della città di Gorizia, Ilario vescovo e Taziano diacono, hanno rilanciato quanto pronunciato dal presule nell’omelia: «Il martire è una persona che dona la vita. Lo fa perché crede in determinati valori cui non vuole rinunciare, valori che considera più importanti della sua stessa vita fisica. Occorre avere grande rispetto per ogni martire, per chi, uomo o donna, sacrifica la sua vita per un ideale», così monsignor Redaelli, ribadendo che «Il nostro territorio, dobbiamo riconoscerlo, ha visto tante persone nel secolo scorso, in particolare in occasione delle due guerre mondiali, perdere la vita per ideali che poi si sono rivelati non veri o persino cattivi».

La celebrazione, nella Chiesa Cattedrale di Gorizia, è stata concelebrata dal vescovo di Koper-Capodistria, monsignor Peter Štumpf, e dal parroco della Cattedrale e decano monsignor Nicola Ban. Presenti anche i sacerdoti della città, il sindaco, Rodolfo Ziberna, e le autorità civili e militari. Ad accompagnare la liturgia la Cappella Metropolitana diretta da Fulvio Madotto con all’organo Marco Colella.

«Martirio, libertà, assoluto di Dio. Vorrei proporre questa triade alla nostra città, anzi alle due città di Gorizia e Nova Gorica, insieme capitale europea della cultura 2025», così ancora Redaelli che ha ringraziato «di cuore Sua Eccellenza mons. Peter Štumpf, da poco vescovo di Koper-Capodistra al cui territorio diocesano appartiene Nova Gorica, per avere accettato l’invito a essere presente e a concelebrare quest’oggi. Può sembrare fuori luogo questa mia proposta rivolta non alle due comunità cristiane, ma alle due città. Viviamo infatti in un contesto di laicità, che a volte rischia di scivolare nel laicismo, che caratterizza in modo molto forte l’attuale cultura soprattutto nei Paesi dell’Europa centro-occidentale. Eppure, sono convinto, che se, anche al di fuori di un nesso esplicito con la fede, non si recupera il riferimento all’Assoluto, si rischia di mettere in grande pericolo la nostra libertà. Sappiamo che il richiamo a Dio oggi è talvolta utilizzato a sproposito dai potenti di turno e anche da chi cerca appoggio nella religione per interessi politici o, purtroppo, per giustificare guerre e violenze. Ma questo è il vero Dio o non è piuttosto tutt’altro che l’Assoluto, ossia, per usare un linguaggio biblico, un idolo posto a nostro servizio? Se si servono gli idoli, si possono sottomettere gli altri, ma alla fine si diventa sottomessi a propria volta agli idoli che si sono scelti. E non importa se essi sono uno dei tanti “ismi” delle ideologie, che hanno portato a guerre e a sopraffazioni il secolo scorso, o se consistono più banalmente nel denaro che sembra pagare tutto o nel potere per cui non c’è limite di legge».

Il presule ha richiamato i presenti alla proposta, temporalmente ormai lontana, di parlare di «radici cristiane dell’Europa» e, riprendendo quanto proposto dall’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, «ciò che conta è che ci siano i frutti autentici di quelle radici, anche se esse non sono riconosciute». Tra quei frutti «che finora abbiamo sostanzialmente goduto in tranquillità, c’è la libertà, il rispetto della dignità delle persone, il valore della democrazia, la giustizia, la pace», che, per persone che vivono il confine «sono frutti importanti». Frutti messi a dura prova «perché il mondo sta velocemente cambiando e non necessariamente in meglio». Ecco, dunque, la soluzione dell’arcivescovo secondo cui bisogna «tornare alle radici per attingere dalla memoria del passato, di cui il Tesoro della Cattedrale ci offre preziosa testimonianza, e per avere la forza di essere pellegrini di speranza, vivendo il Giubileo come tempo propizio alla fioritura di segni di libertà, perdono e fraternità».

Gorizia e Nova Gorica ancora una volta diventano, insomma, l’esempio di città che vivono «in pace e nella fattiva collaborazione, nonostante le profonde ferite che le due guerre del secolo scorso hanno inferto al nostro territorio. Valori che, senza falsa modestia, ci rendono esempio per tante situazioni in Europa e fuori Europa dove, nonostante tutto, sono avviati faticosi, ma autentici, percorsi di giustizia e riconciliazione».

Il saluto trilingue ha chiuso l’omelia tra sloveno, friulano e italiano. Un passo importante, sempre riconosciuto nelle liturgie, va detto, del mantenimento di un trilinguismo – a volte con il rispetto pure di alcuni dialetti locali – fondamentale per la città e per l’intero territorio. 

Foto di Fabio Bergamasco.

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