Ragazzi in piazza per Giulia, rabbia e silenzio nel sit-in a Gorizia

Ragazzi in piazza per Giulia, rabbia e silenzio nel sit-in a Gorizia

il ricordo

Ragazzi in piazza per Giulia, rabbia e silenzio nel sit-in a Gorizia

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 21 Nov 2023
Copertina per Ragazzi in piazza per Giulia, rabbia e silenzio nel sit-in a Gorizia

Gli studenti si sono ritrovati ieri sera in piazza per ricordare la giovane uccisa, creando un momento di riflessione: «Ne abbiamo abbastanza».

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Le scarpe nelle piazze. Scarpe rosse, per ogni donna caduta in questa guerra silenziosa, simbolo del prossimo venticinque novembre. Le scarpe che Giulia Checchettin era uscita a comprare con il suo ex, per la festa di laurea, che non potrà mai indossare. Si è svolta nella serata di ieri, presso piazza Vittoria a Gorizia, il sit-in contro la violenza sulle donne, per ricordare Giulia, ammazzata a sangue freddo dal ragazzo che diceva di amarla più della sua stessa vita. Non scarpe, né fiori, in sua memoria. A scaldare in un tenero abbraccio, con le candele tremolanti sotto qualche schizzo di pioggia, sono le parole.

Riflessioni, esperienze, emozioni. E i versi della poesia di Cristina Torres Cáceres, citati dalla sorella Elena: “Se domani non torno, brucia tutto”, letti da Francesca Meneghel e Angiolina Zanzarelli. “Oggi è stato il primo giorno in cui ci siamo confrontati di persona”, spiega Samuele Criscuolo, rappresentante di dipartimento di Scienze politiche dell’università di Trieste presso la sede di Gorizia. A una settimana esatta dalla scomparsa dei due giovani, il corpo ritrovato sabato nei pressi del lago di Barcis ha ucciso ogni speranza.

Giulia esanime, fatta precipitare in un canalone durante la notte, giù per il dirupo. In quella folle fuga in cui Filippo saliva verso Erto, oltrepassando la diga del Vajont per dirigersi all’estero. “Abbiamo ritenuto necessario – sulla scia di quanto fatto negli altri atenei, anche nella sede centrale a Trieste – un momento di commemorazione, di riflessione, per quanto accaduto. Abbiamo cercato di diffondere il passaparola nel giro di poche ore, sperando nella sensibilità e nella coscienza delle persone”. Citando le parole di Elena e del padre Gino, Samuele ha rimarcato come sia importante fare tesoro di questa triste esperienza, perché non si ripeta.

“Una tragedia che ci costringe a guardare avanti, non indietro. Guardare al domani, perché possa nascere un germe di miglioramento”. Un incubo che ha tenuto gli italiani col fiato sospeso per una settimana, ciascuno aggrappato a un filo di speranza. Fine alla triste evidenza, a quel sogno infranto di chi a ventidue anni aveva ancora diritto di sognare. “Si è rotto qualcosa”, ha ammesso anche Fabio Fazio, discutendo con il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Una vicenda che ha avuto “un riflesso mediatico più grande, rispetto ad altri casi simili. Ci eravamo un po’ affezionati, e speravamo in un altro epilogo".

"Spero che possa stimolare le istituzioni a una discussione soprattutto all’educazione e prevenzione”, auspica Criscuolo. Perché la tutela della donna si manifesta anche attraverso i centri antiviolenza e le case rifugio, che “funzionano se finanziati”. Presente al sit-in in rappresentanza dell'amministrazione l’assessore all'università Chiara Gatta, la quale ha lodato l’iniziativa partita dagli studenti, “che con questa serata hanno dedicato un momento di ricordo e riflessione condivisa con la cittadinanza”. Ricordando poi come fosse già stato approvato all’unanimità il disegno di legge per il contrasto alla violenza contro le donne.

“Questa mattina il ministro Ciriani ha sottolineato come con procedura d’urgenza la discussione è stata calendarizzata al Senato per il ventidue novembre”. A moderare l’incontro anche Francesco Trevisan, studente del terzo anno di Scienze internazionali diplomatiche. “Mi stanno tremando le mani per l’emozione”, ha iniziato Trevisan, ricordando le centocinque donne uccise da inizio anno. “Ne abbiamo abbastanza. Viviamo in un Paese in cui si ha paura di uscire col vestito troppo corto, paura di tornare a casa la sera. Un Paese dove il rispetto per le donne viene scritto solo sui giornali, dopo questi fatti”.

Finché sopra la piazza hanno iniziato a volteggiare i versi di Torres Cáceres. Dove si poteva immaginare il sorriso di Giulia seduta sul carrello dell’Ikea “pronta per la patente”, o quello mentre stringe a sé un grosso albero nel silenzio della foresta, “Random hugs”. E l’abbraccio, commovente, con la sua mamma; nella cucina di casa, prima che svanisse portata via da un male incurabile. “Abbiamo deciso di creare un evento il più aperto possibile anche alla cittadinanza”, ha commentato Trevisan. “Credo che, se non vi sia un impegno a livello istituzionale, scolastico e in ambito universitario, non si possa andare lontano".

"Dobbiamo intervenire in tutte le fasce d’età. Ho una sorella di sei anni, tra un po’ di anni dovrà affrontare una società complessa. Troppo spesso viene pubblicato sulle prime pagine dei giornali che l’altro l’amava. Lui le faceva i biscotti e la portava in campeggio. Giulia si fidava. Spesso si dice ‘mai andare all’ultimo incontro chiarificatore’. Voglio ricordare l’immagine di una scritta s’un muro, dove si legge ‘Protect your daughter’ cancellato, e sotto la scritta 'Educate your son'”.

Jacopo Damaschi riflette invece sul Filippo che potrebbe essere nascosto in ciascuno, mentre Francesca Meneghel ricorda – attraverso le parole di Michela Murgia – come sia la cultura a colpevolizzare le ragazze. “Il linguaggio crea un rapporto di causalità”, mentre in realtà “la cultura siamo noi, dobbiamo adoperarci per far sì che questa concezione cambi”. Si potrebbe riavvolgere il nastro, tornare indietro, bloccare la mano di “Pilippo”, come Giulia ne scrive, prima che sferri il coltello sul suo sorriso. Eppure, la realtà non è un film. Dai femminicidi non riavremo indietro le donne che non ci sono più.

Di Giulia restano le foto, fra cui l’immagine scattata sopra le nuvole, dove “Gesù non c’era perché ci stava facendo la foto” (cit.). Resta l’impegno di tutti a cambiare una società ancora patriarcale, abbattere il muro che si staglia fra uomini e donne. La manifestazione si è conclusa con un minuto di silenzio – come accadrà oggi in tutte le scuole d’Italia -, cui ha fatto seguito un lungo applauso e “tanto rumore”, con mazzi di chiavi e altro a disposizione. Sulla falsariga delle parole di Elena, sorella di Giulia: “Per lei e tutte le altre vittime non resteremo in silenzio, ma distruggeremo tutto”.

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