Quel ‘confine buono’ quasi da ‘nevrosi’ di Celso Macor: «Una terra non creata per avere confini»

Quel ‘confine buono’ quasi da ‘nevrosi’ di Celso Macor: «Una terra non creata per avere confini»

Il personaggio

Quel ‘confine buono’ quasi da ‘nevrosi’ di Celso Macor: «Una terra non creata per avere confini»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 29 Mar 2025
Copertina per Quel ‘confine buono’ quasi da ‘nevrosi’ di Celso Macor: «Una terra non creata per avere confini»

L’incontro, organizzato da Gorizia Attiva Aps, ha ricordato la figura del poeta, giornalista e scrittore amante del proprio territorio.

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«Cui ciantaràja dopo di me/ cui ciantaràja tra zent àins», si chiedeva Celso Macor in “Ciant ultim”, scrivendo con la stilografica blu. Nel centenario della nascita di uno dei più grandi poeti friulani, ecco l’incontro svoltosi nella serata di un venerdì di quaresima, 28 marzo, presso la Sala grande del Convento dei Cappuccini. «Siamo qui insieme per ricordare una meravigliosa figura delle nostre terre – precisa il presidente dell’associazione Gorizia Attiva Pierpaolo Martina – che fu poeta, giornalista e scrittore». A introdurre la serata il direttore dell’Arlef, Wiliam Cisilino, che ebbe modo di conoscere Macor «non di persona, ma indirettamente» grazie al suo maestro Angelo Pittana - meglio noto come “Agnul di Spere” - sincero amico di Celso. «Era legato a lui da un rapporto di grande affetto», confessa Cisilino ricordando le origini dell’Arlef, istituito nel 2001 e divenuto operativo nel 2005. «Col compito di farsi collettore del mondo friulano e di proporre politiche linguistiche alla regione, l’Agenzia regionale fece sì che la nostra lingua potesse avere un futuro».

Una regione in cui ancora in 500mila si esprimono nella lingua madre, su un territorio che conta circa un milione di persone. A interpretare lo sguardo dello storico direttore di Iniziativa Isontina è stato Ferruccio Tassin, che ha introdotto le riflessioni di Macor sulle donne slovene intente a vendere vischio, tratte da “Friulani di confine”. «Quando anch’esse saranno scomparse [..] un altro tratto dell’umanità di Gorizia sarà inghiottito dal tempo nuovo. E sarà finito forse anche il confine». Una constatazione cui il poeta aggiunge quella dell’«avremo guadagnato qualcosa, ma avremo perduto il “confine buono”». Sul termine si sofferma Tassin, che nota come secondo il significato etimologico la parola “confine” si componga di “con” e “finis”, alludendo a territori «che si toccavano, che erano in pace, finché i potenti non li scagliavano gli uni contro gli altri». Un tema caro a Macor, il quale nel 1996 illustrava negli Atti del XXIX convegno quel sogno che a cent’anni dalla sua nascita avrebbe trovato la più alta espressione. «La realtà del confine attraversa tutta l’opera di Celso Macor» - sottolinea lo studioso Gabriele Zanello nei suoi scritti - permeandolo come una sorta di «nevrosi».

Presentando il volume “Identità e incontri” edito dalla Braitan nel 1999, Tassin racconta come il titolo venne da lui scelto insieme a sua moglie e ad Hans Kitzmüller. «Questo titolo perché Celso ci teneva, al concetto d’identità, e promuoveva questo tipo d’incontri». Di lui il senatore Michele Martina soleva dire come non fosse «un sognatore», ma una personalità forte in grado di unire «la conoscenza del passato a quella del presente». Un uomo che sa ascoltare la potenza del fiume e il gorgoglio dell’acqua come accade per la roccia dell’Isonzo, che accoglie la forza della Natura lasciandosi scavare da secoli di storia. Qui è il tema dell’incontro a farsi luce e amore: quel «confine buono» che secondo Tassin ritroviamo nel film “Gli ultimi” (1963) diretto da Vito Pandolfi e David Maria Turoldo, in cui Checo rappresenta l’intero Friuli. Una genuinità pasoliniana condensata nell’essenza stessa della Patria, che per Macor rappresenta la «terra dei padri». «Celso era “imbombît” di cultura classica - prosegue il relatore - aveva iniziato a studiare chimica, ma era sempre rimasto un contadino», mediando fra «la fisicità della natura» e «quel tanto di divino che la natura fa sentire a chi l’adopera». Un uomo il cui «binario di vita» era costituito dalla «ragione e dal sentimento, mai degenerante in sentimentalismo».

Dal saper ascoltare gli anziani all’amore per gli animali, Macor era impregnato di un’umanità luminosa, impegnandosi per la sua Versa con il sostegno di don Michele Grusovin, il quale gli ispirò «il senso della giustizia». Una sensibilità umana messa in luce anche da quella «pietà» con cui parla della X Mas, della caserma Piave a Palmanova o delle foibe, in maniera «da supplicare un superamento». «Per Macor la poesia rappresenta un recupero dei valori e della lingua», rimarca Tassin, in cui la parola acquista centralità fondamentale, «non piegata al pensiero, ma musicalmente consonante». Quella corrente impetuosa che scorre con la stessa forza dell’Isonzo a unire terre e popoli, che in fondo è fulcro e “fogolar” della sua forza poetica. «A chi l’affronta in maniera non attenta può sembrare nostalgica, invece è storia della povera gente, che si sviluppa fra semplicità ed epopea», spiega. Un uomo che intendeva abbracciare «il confine buono» come già vagheggia in “Anima di una tiara”, dove le sue parole risuonano colme di speranza per un futuro di pace.

«A’ era tiara creada par no vê cunfins, chista», scrive, ribadendo il concetto di “una terra creata per non essere divisa da confini”. «Il “confine buono” è una costante anche negli archivi dei numeri di Iniziativa Isontina – interviene Martina – oggi Nuova Iniziativa, che è la pubblicazione più antica rimasta viva. Un tesoro che esiste ancora». Una poesia in marilenghe che secondo Tassin diviene «parola per», come accade nella recente lettura scenica “I miei poets” interpretato dall’attore Giorgio Monte.

«Celso è un uomo che non ha mai scritto banalità», conclude Tassin, auspicando un’antologia sul tema delle frontiere. Le celebrazioni in occasione del centenario troveranno eco il 25 aprile, quando al campo di concentramento di Visco verranno letti i versi di Renato Iacumin e la prosa di Macor, per coniugare poesia e storia in un inno alla libertà contro ogni nazionalismo.

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