Quando Mussolini rischiò di morire a Doberdò, salvato da volontari sloveni

Quando Mussolini rischiò di morire a Doberdò, salvato da volontari sloveni

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Quando Mussolini rischiò di morire a Doberdò, salvato da volontari sloveni

Di Redazione • Pubblicato il 12 Nov 2023
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L'aneddoto raccontato dallo storico Mitja Juren ha arricchito la camminata di ieri mattina sul Carso, sulle tracce della Grande guerra.

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Benito Mussolini è ferito, tre soldati insieme a lui sono già morti a causa del surriscaldamento di un’arma durante un’esercitazione. Se quel giorno, nelle retrovie di Doberdò del Lago durante la Grande guerra, il destino del futuro Duce fosse stato diverso, chissà come sarebbe stata la storia d’Italia. Un pensiero che ha sfiorato i tanti che ieri mattina hanno preso parte alla passeggiata sul Carso guidata da Mitja Juren, in occasione della festa di San Martino graziata dal sole, lungo i sentieri tra il verde.

Come ha raccontato la guida, durante un’esercitazione Mussolini rimase ferito mentre altri suoi commilitoni ci rimisero la vita. Le lesioni furono curate in seguito nel punto di soccorso presso la chiesa di Doberdò, da volontari principalmente sloveni. Gli stessi che, anni dopo anche a causa di quell’uomo, avrebbero perso il diritto di parlare, studiare e lavorare nella propria lingua nell’Italia fascista. Aneddoto particolare, tra i diversi che hanno arricchito l’appuntamento inserito nel programma ideato dalla Società filarmonica Kras.

Organizzata con l’aiuto dell’associazione dei genitori della scuola del paese, la camminata è partita dal parco comunale di Doberdò del Lago. I partecipanti hanno così percorso la strada sterrata che porta verso la cima del Sacrario di Redipuglia, fermandosi ad ammirare i resti di trincee e altri luoghi, che i soldati hanno costruito durante il primo conflitto mondiale. “Su questo territorio è difficile trovare trincee austroungariche originali” ha spiegato Juren. La maggior parte di esse è stata riadattata dagli italiani.

Il gruppo ha potuto osservarne una sul monte Sei Busi, utilizzata dagli italiani come trincee di difesa in seconda linea. “Il fronte, la guerra si è sviluppata qua, tutta l’Europa ha combattuto sul Carso” ha rimarcato lo storico, ricordando il grande cimitero di Redipuglia ma anche i numerosi luoghi di sepoltura di soldati austroungarici nella zona, nominando infine i due diari più noti, che raccontano le vicende nel Doberdobese: quelli dello scrittore sloveno Prežihov Voranc e dello scrittore e poeta italiano Gabriele D'Annunzio.

I partecipanti hanno poi proseguito la camminata verso la Dolina dei 500, nota oggi come Dolina del Bersaglieri. Juren ha quindi raccontato della capacità dei soldati di sfruttare le caratteristiche naturali del territorio. La zona in questione era il luogo sicuro dove operavano al riparo gli officiali e dove veniva portati i soldati feriti: “Dopo un primo controllo dei medici presenti, si portavano fino ai centri e grandi ambulatori solo i soldati, che avevano un’altra probabilità di sopravvivenza”.

“Per distinguere i trasportabili da quelli gravemente feriti e non curabili, venivano distribuiti loro dei cartoncini. I non trasportabili quindi sapevano, che sarebbe stati lasciati lì a morire” ha raccontato ancora Juren.

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