l'incontro
Prosa, canto, musica e poesia: Mimmo Sammartino ospite al ‘libro delle 18.03’
Il giornalista e scrittore ha presentato al Kulturni dom di Gorizia il suo romanzo “Nostra Regina dei burroni e delle mosche”, accompagnando le letture con canto, chitarra e armonica a bocca.
Un inno alla vita contro la maledizione di tutte le guerre. Una favola narrata dall’innocenza di un’asina, che da un lato pare rinviare al Balthazar del regista Robert Bresson, dall’altra si spinge oltre la tragicità della storia con la forza della disobbedienza. Il quinto incontro della rassegna autunnale “Il libro delle 18.03” si è svolto ieri - giovedì 9 ottobre - al Kulturni dom con l’ospite d’eccezione Mimmo Sammartino; che in un viaggio tra prosa, canto, musica e poesia ha presentato il suo volume “Nostra Regina dei burroni e delle mosche” edito da Exorma. La ricca kermesse sta incontrando il favore di un pubblico sempre più numeroso, per il quale il presidente dell’associazione Paolo Polli esprime grande soddisfazione.
Patrocinata dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019 la serata ha steso un ponte di fratellanza fino al Sud dell’Italia in una rete senza confini. «Perché Matera? Perché è stata capitale europea della cultura nel 2019 – spiega la direttrice del Gect Romina Kocina – e con lei ci siamo confrontati per portare Sammartino in questo palinsesto». Un universo di mosche rabbiose in un paese che si è ridotto a «guscio vuoto», dove soltanto i vecchi «che ancora non hanno imparato a morire» scacciano le mosche con mani ossute. «Non è solo un racconto simbolico – modera il responsabile dei progetti del Gect Ezio Benedetti – è resistenza civica, rifiuto della guerra, un canto di ribellione». Protagoniste sono le creature che popolano loro malgrado un universo di guerra e distruzione, costrette a sopportare il peso di un’umanità perversa che ha smarrito il senso dell’esistere.
«Questi animali così diffamati e vilipesi – rivela l’autore - erano in realtà la cavalcatura dei re in tempo di pace. Come nasce questa storia? Da un rapporto di amicizia. Un mio amico sociologo, che insegnava all’università del Salento ma era nato nel mio paese a Castelmezzano, appassionato di fotografia, trova nella vecchia casa di famiglia delle lastre del primo Novecento. Sviluppa le fotografie e da qui viene fuori l’immagine di questo paese con strade polverose, muri scrostati, facce di contadini e pastori, e tante galline, pecore, asini e muli. Decide di farne una mostra per raccontare alla nostra gente chi siamo, chiedendomi di scrivergli le didascalie. Da lì l’asinella ha cominciato a camminare per proprio conto». Prende a trotterellare, Regina, realmente nella nostra testa «segue sentieri noti di boschi fracidi di rugiada» fra asfodeli e viottoli incolti, perché mentre Mimmo legge i brani del suo romanzo suona la chitarra e l’armonica a bocca per rendere il ronzio assordante delle mosche, intonando “Il disertore” di Boris Vian.
«Quest’asina è un po’ filosofa – chiosa – è un po’ la coscienza che mette a nudo e guarda con sgomento la ferocia che è contenuta anche nell’umano. Tant’è che lei si sente di appartenere al proprio mondo e restituisce i nomi alle erbe, alle piante, ai fiumi. Ha questo rapporto di armonia con ciò che la circonda e comprende come ci siano due modi di stare del mondo: o con il senso di appartenenza o con quello del dominio. Capisce allora che la ferocia appartiene all’umano, in quanto anche l’animale che definiamo più feroce ammazza e uccide solo per necessità e per sopravvivere, mentre solo nell’umano è concepita una ferocia per sete di potere e di dominio». Inevitabile il parallelismo con la tragedia della Striscia di Gaza, in cui l’evidenza di 64mila bambini uccisi o mutilati e 70mila morti «è sotto gli occhi di tutti» a segnare uno spartiacque nella storia dell’umanità. «Ci si chiede chi siano i Semiti – prosegue – vale a dire i discendenti di Sem, figlio di Noè. Come gli stessi palestinesi. Chi ha praticato l’antisemitismo negli ultimi due anni è Netanyahu – sottolinea – che ha ammazzato 70mila palestinesi».
Negli occhi di Regina l’essere umano racchiude il bene e il male: l’uomo-padrone che batte Serafina e colui che lascia vivere Regina nei prati. Una consapevolezza nuova che la condurrà a riflettere intorno alle motivazioni che spingono l’umanità a tante nefandezze. «Pasolini sosteneva come una delle più grandi sciagure del nostro tempo fosse la perdita del sacro – aggiunge – tutto ciò che non è riconducibile a merce. Nello sguardo di Regina c’è questo senso del sacro», che l’umanità ha ormai smarrito. Da “Corpo celeste” di Anna Maria Ortese - in cui ciascuno conserva tre patrie - fino all’etnologo Ernesto De Martino che teorizza «un villaggio vivente nella memoria», nel romanzo pulsano richiami e rimandi all’antropologia culturale in cui il giornalista si è formato. Una favola amara dove si narra «un modo di esistere e resistere», affinché ciò che si racconta possa divenire «patrimonio di una coscienza condivisa». Pagine di vita che non intendono riportare vicende di eroi o sovrani, quanto piuttosto quelle piccole al margine similmente a ciò che accade in “Vite di uomini non illustri” di Giuseppe Pontiggia.
«Nel Vangelo – domanda - non è forse un asino il protagonista della fuga in Egitto?». «Raglio d’asina non sale al cielo», canta e suona Mimmo, intercalando le riflessioni alla musica. «Quando Regina viene richiamata – specifica - attraverserà tutto l’Appennino perché sarà reclutata in guerra. La caricano di viveri e va al fronte e accetta anche il rischio e il pericolo. Quando un giorno la caricano di armi e munizioni, punta però gli zoccoli e diserta». Testimone della battaglia sull’Isonzo, l’asina si ritrova a prendere parte alla guerra. «È una favola – riflette - e come ogni favola vive in un tempo speciale, quello del mito, parlando a ogni tempo. Quindi anche a noi, all’oggi, al qui e ora. La bellezza non necessariamente potrà salvare il mondo – conclude leggendo infine i versi di Haidar al-Ghazali - ma può essere un momento di resistenza. In un tempo come quello in cui viviamo, segnato dallo scandalo di guerre, genocidi o stermini, è una piccola pietra per interrogare le coscienze, non per portare risposte. Affinché di fronte all’orrore della guerra si possa dire “Io non ci sto”». (Foto: Rossana D'Ambrosio).
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