A oltre 50 anni ritornano le storie dei Preti Isontini internati durante la Grande Guerra

A oltre 50 anni ritornano le storie dei Preti Isontini internati durante la Grande Guerra

Il racconto

A oltre 50 anni ritornano le storie dei Preti Isontini internati durante la Grande Guerra

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 02 Apr 2022
Copertina per A oltre 50 anni ritornano le storie dei Preti Isontini internati durante la Grande Guerra

Racconti di soprusi e di violenze con numerosi internamenti.

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Sono trascorsi più di 50 anni dall’ edizione di questo libro (1969), ora in ristampa anastatica. Allora era storia sepolta. Ne aveva parlato Camillo Medeot, a puntate, sulla rivista “Iniziativa Isontina”, poi aveva riunito l’intera materia in un libro.

Orai ripete quell’ occasione, per far conoscere tremende sofferenze, palesi violazioni di ogni umanità, e reclamare giustizia. Con tale spirito va letto il libro di Camillo Medeot. Nella prefazione, allora, l’Arcivescovo di Gorizia Pietro Cocolin, esaltò le virtù nella sofferenza di tanti sacerdoti. Nella ristampa, in una presentazione non firmata, don Renzo Boscarol, che è stato il principale artefice di questa operazione di “pietas”, sottolinea la volontà di ripresentare la fonte preziosa, affinché la storia venga letta da ogni punto di vista. L’ arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli ravvisa, fra tante sofferenze e ingiustizie, anche “le testimonianze di quanti si son fatti carico - sull’esempio del buon samaritano - di versare sulle ferite l’olio e il vino della condivisione e della salvezza”.Otto le pagine introduttive della professoressa Liliana Ferrari.

Quando i grandi incendiano il mondo, e le masse si fanno trascinare dagli imbonitori del momento, anche a chi usava la stessa lingua, pregava lo stesso Dio, saltavano i freni, in un parossistico crescendo. All’entrata dell’Italia in guerra, si parlò di liberazione dei “fratelli” dal “giogo austriaco”. La realtà si manifestò diversa. Si trattò di comportamenti simili a quelli mostrati nei territori di conquista.

I capi, soprattutto del movimento cattolico, vennero demonizzati. L’odio nazionalista (nel dopoguerra sarebbe scivolato nel razzismo fascista) punì, con l’internamento, una sessantina di sacerdoti friulani, italiani, sloveni e probabilmente qualche migliaio di laici (solo nella Bassa Friulana più di 350).

Data la qualità dei sacerdoti (spesso personaggi della politica e della cooperazione, fondatori di casse rurali, impegnati nel migliorare la vita delle popolazioni rurali e artigiane), vien da pensare a vendette coordinate, per rifarsi sulla loro azione, che aveva limato la ricchezza dei privilegiati, organizzando il popolo nella cooperazione e nella politica: il movimento cattolico aveva mandato al parlamento di Vienna il prof. Giuseppe Bugatto e monsignor Luigi Faidutti. Lo stesso Faidutti era diventato Capitano provinciale della Contea di Gorizia e Gradisca.

I sacerdoti tornarono sfiancati dall’esilio. Palmanova, per più d’ uno, fu la prima stazione della Via Crucis: sputi, colpi, derisioni, insulti, ludibrio della plebaglia, sofferenze inaudite. Perno della ricerca è don Carlo Stacul, al momento della deportazione parroco di Gradisca, che tenne i contatti coi sacerdoti, provvedendo a necessità materiali, e spirituali. Racconti terribili: riporta il Medeot che, alle carceri di Palmanova, “Un capitano si prese gioco dei prigionieri annunziando loro che tutti erano destinati alla fucilazione”. Per molti, prima della “liberazione”, ci furono reclusori come Udine, Cremona, il Forte Belvedere a Firenze; per mesi. I sacerdoti sloveni internati sfiorarono la ventina.

Fra chi ebbe un trattamento particolarmente infame, ci furono don Luigi Morsut, parroco di Perteole; don Carlo Stacul, decano di Gradisca, il decano di Visco don Mesrob Justulin, sbalestrato dalla Sicilia a Campobasso, il decano di Fiumicello Giuseppe Maria Camuffo. Tornati, ripresero la loro opera, ma in un mondo del tutto diverso.

La ricerca di Camillo Medeot, durata anni, è stata accompagnata da interviste, viaggi nei luoghi dell’esilio, contatti con chi aveva conosciuto quei sacerdoti nei paesi dov’erano pastori e nelle località dov’erano stati internati. Limpida è sempre la sua voce, con lo scrupolo della verità su uotto, anche quando parla dei casi più efferati come dei popolani fucilati di Lucinico, dei morti di Villesse e di altre parti (si intende morti per le armi).

Allora, c’erano ancora testimoni diretti da interpellare e fonti scritte più ricche da consultare. Vivevano mons. Francesco Spessot (1890-1978), fonte preziosa per i sacerdoti friulani e mons. Rodolfi Klinec per gli sloveni. I sacerdoti, invano, tentarono di ottenere giustizia e riabilitazione dopo la guerra, invano! Questo libro è un richiamo alla verità e alla giustizia che non è stata ancora raggiunta. 

In foto: alcuni preti goriziani internati a Lucca.

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