DAL FESTIVAL
Il premio èStoria 2025 ad Aldo Cazzullo: «Ancora troppi estimatori di Mussolini»

La premiazione nel pomeriggio di ieri, 31 maggio, al teatro Verdi di Gorizia. Lo scrittore e saggista sulla percezione del fascismo, «non c’è un giudizio negativo».
Fin dalle origini, l’umanità è chiamata a scegliere tra la barbarie e la civiltà. Nonostante la memoria di due guerre mondiali, il confine fra l’una e l’altra appare ancora labile e la direzione incerta. Su queste e altre riflessioni si è incentrato lo scrittore e saggista Aldo Cazzullo, al quale nel pomeriggio di ieri è stato consegnato il premio èStoria 2025. «Ha costruito il suo percorso facendo della Storia il perno della sua riflessione», ha rimarcato il presidente Adriano Ossola leggendo le motivazioni innanzi alla platea del teatro Verdi. «È un vero onore essere a Gorizia, non c’è città più degna di ospitare questo festival – ha ringraziato il giornalista – e non c’è nessuno più indegno di me per questo premio, ma comunque sono molto grato». Autore d’innumerevoli volumi scritti in «un vertice espressivo assoluto attraverso la scrittura di vario genere», le sue tematiche spaziano da Mussolini a Dante, passando ad analizzare l’universo virtuale dei social fino a raccontare la vita di politici di spicco e l’anno della Ricostruzione.
«Odio il termine “divulgatore” - avverte - perché presuppone un “volgo” e un “dotto”». Per poi approfondire con il docente di storia moderna Andrea Zannini l’idea dell’identità italiana. «Il senso della patria è in noi molto forte. Gli italiani amano la storia della propria famiglia. In ciascuna di esse si sono sedimentati pezzetti di storia nazionale, e molto spesso sono le donne a custodirli». Un amore che acceca, perché molti connazionali non sono in grado di discernere il male che si annidò nella sua radice. «Come mai gli italiani non hanno un giudizio così negativo del fascismo? Il fascismo è stato un disastro – ribadisce – che ha portato a due milioni di case distrutte dai bombardamenti. Eppure, molti non ne serbano un giudizio negativo. Ci sono state persone che hanno commesso errori e crimini». La critica di Cazzullo va ai «troppi estimatori di Mussolini», che spesso confondono la memoria con la storia. Attingendo al suo libro “Mussolini capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo” (2022) edito da Mondadori, l’autore spiega come in seno all’ideologia fascista sia presente in nuce il crimine contro l’umanità. «Il titolo del libro avrebbe dovuto essere “Il duce delinquente”, ma è rimasto solo per lo spettacolo teatrale.
Il primo a definire Mussolini “capobanda” fu Filippo Turati, e poi Giuseppe Bottai, uno dei capi della marcia su Roma». Il rischio, secondo il saggista, è quello di aver “idealizzato” la figura di un dittatore conferendogli connotati positivi. «Su Mussolini ci siamo creati l’immagine del buon padre di famiglia. Peccato che si fosse alleato con Hitler». Basti riflettere come nel ’38 avesse già fatto uccidere alcuni uomini “scomodi”, fra cui don Giovanni Minzoni e Carlo Rosselli. Il primo massacrato a colpi di bastone e pietre dietro ordine di Italo Balbo, l’altro trucidato insieme al fratello in Normandia, forse per volontà di Galeazzo Ciano. «La guerra è l’esito naturale del fascismo – precisa – perché c’è una nazione che s’impone su un’altra. Quando Hitler invade l’Italia, Mussolini si mette al suo servizio». L’attenzione di Zannini si focalizza poi sul saggio “Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito” (2023) pubblicato da Harper Collins, in cui l’autore afferma che «Tutti gli imperi della storia si sono presentati come eredi degli antichi romani». «Non siamo gli eredi diretti degli antichi romani, perché non sappiamo fare la guerra – osserva Cazzullo – mentre il soldato romano era un militare professionista. Non combatteva solo per la sua tribù, ma per la “res publica”, per lo Stato di tutti». Un’eredità che si riflette invece «nella lingua, nella cultura, nei simboli, nei nomi dei giorni, nei segni zodiacali». Che è il lascito sul quale si è costruito l’intero Occidente.
«Se è stato eletto un papa americano è perché l’Impero Romano divenne cristiano». Non mancano chiarimenti sulla reintroduzione del latino nelle scuole medie, che secondo l’ospite è utile, ma «è intanto importante imparare l’inglese, lingua franca del mondo, e conoscere la nostra storia del Novecento. Preoccupiamoci, poi, d’insegnare a scrivere in un corretto italiano». Si volta ancora pagina, ed ecco un approfondimento sulla recente pubblicazione “Craxi, l’ultimo vero politico” (2025) uscito con Rizzoli. «Il libro si doveva intitolare “L’ultimo politico”. È un ritratto a chiaroscuro di Craxi, che ha pagato un po’ per tutti per essersi esposto. Era un uomo grande e grosso, sudato. Vittorio Feltri lo chiamava “il cinghialone”. Divenne l’immagine di Tangentopoli, ma mandò i carabinieri contro i marines. Non so se un politico di oggi farebbe qualcosa di simile. Fu un grande leader politico che commise errori e reati, ma quanti altri politici italiani hanno fatto una brutta fine? Mussolini fu appeso a testa in giù, Enrico Mattei precipitò con l’aereo, Andreotti fu assolto per mafia. Noi italiani non abbiamo un rapporto maturo col potere. Il 60% degli italiani non paga le tasse, ma è necessario capire che lo Stato siamo noi».
Un atteggiamento che spinge i cittadini a cedere a sentimenti di disfatta e fallimento nonostante i buoni risultati raggiunti. Celebre l’espressione “la vittoria mutilata”, utilizzata per descrivere la percezione di débâcle nonostante la vittoria della Prima guerra mondiale. «Ci furono molti stupri di guerra. Nove mesi dopo la disfatta di Caporetto cominciarono a nascere i bambini – aggiunge – e a Portogruaro venne aperto un istituto per raccoglierli. Le madri ci andavano di nascosto per allattarli». Furono 59 le mamme che riuscirono a convincere i mariti per riprendere con sé i bambini e accudirli con lo stesso amore. «Ecco di cosa sono capaci le donne friulane», sottolinea. E nell’affrontare i volumi “Giuro che non avrò più fame” (2018, Mondadori) e “Il Dio dei nostri padri” (2024, Harper Collins) chiarisce come la guerra sia «un grande volano di sviluppo industriale, ma la vera rinascita avvenne dopo la Seconda guerra mondiale, con l’industrializzazione di massa». Mentre in merito a “Il Dio dei nostri padri” evidenzia una scelta necessaria «tra la barbarie e la civiltà. Chi uccide in nome di Dio viola la Bibbia. E allora dico “basta morti a Gaza”. Dobbiamo costruire una prospettiva politica che non possa contemplare la deportazione. Nella Bibbia Sansone, nel morire, uccide più filistei che da vivo. Ma nella Bibbia c’è anche la pace, e Gesù dice “Amate i vostri nemici”», conclude in un filo di speranza.
Foto di Sergio Marini.
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