DAL FESTIVAL
Ponzani racconta le Fosse Ardeatine a èStoria, «accadono ogni giorno a Gaza. Necessaria una tregua»

La storica e docente ha raccontato la storia delle donne che hanno combattuto per la memoria dei 335 trucidati dai nazisti durante l’occupazione di Roma. «Storia non è maestra di vita»
Roma, 8 giugno 1944. Vera Simoni, figlia del generale Simone Simoni, massacrato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, guida un corteo di donne decise a incontrare il tenente colonnello John Pollock, comandante per la pubblica sicurezza a Roma. Sono vedove, madri, sorelle, figlie delle vittime e chiedono che ai 335 ostaggi massacrati il 24 marzo 1944 sia data degna sepoltura. Non hanno tempo per piangere e vogliono che quel luogo di morte diventi un simbolo: un’area sacra di lutto per ricordare i ribelli chiamati a combattere per la libertà. Michela Ponzani ospite alla XXIesima edizione di èStoria con l’incontro moderato da Martina Delpiccolo, ha ricostruito nel suo libro “Donne che resistono” la storia delle donne che trasformarono un massacro in un mausoleo, fino alla memoria dei loro nipoti e alle pietre d’inciampo: un monumento sepolcrale antigerarchico e antiretorico, edificato sul luogo della vendetta tedesca per celebrare i martiri dell’antifascismo.
Michela Ponzani da anni raccoglie le memorie dell’Anfim, l’associazione nata per il diritto al riconoscimento di una degna sepoltura, pretesa dai famigliari delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine, efferata strage nazifascista compiuta a Roma il 24 marzo 1944. Famigliari che nel massacro avevano perduto un corpo e un nome. L’autrice ha imparato a custodire le parole di molti dei figli e nipoti di caduti alle Ardeatine; e ha toccato con mano il dolore di quelle vedove, rinchiuse nel silenzio dei loro ricordi che la violenza nazista aveva ferito ma non piegato. Il suo libro racconta le vite di donne che rimasero a vivere il lutto di un massacro trasformato in mausoleo, soffermandosi sull’uso pubblico di una strage divenuta monumento nazionale (il primo della storia repubblicana), simbolo dell’eredità sofferta dell’antifascismo, da sempre oggetto di una memoria divisa.
Il «nuovo Altare della Patria», costruito per ricordare nei secoli la «guerra del nuovo Risorgimento italiano», divenne nel dopoguerra meta di pellegrinaggio per commemorare lo «sterminio di tutti gli italiani impegnati nella lotta di liberazione nazionale», in un’Italia fortemente accesa da una feroce polemica antipartigiana. Al centro della narrazione stanno, dunque, le memorie di donne che impararono a resistere, a seppellire i morti e a curare le ferite di figli orfani di padre, che pretesero verità e giustizia, testimoniando contro criminali di guerra portati a processo. Testimonianze sepolte da decenni, cariche di emozioni molteplici, fatte di tensioni ideali, di motivazioni e scelte che segnarono la storia di un luogo destinato a rimanere il cimitero di un lutto privato, capace di costringere a un interminabile rituale del dolore.
Un «crimine che non deve essere visto dalla città che altrimenti sarebbe esplosa», come ha raccontato Ponzani nel l’incontro: «Kappler contava una media di 8 attacchi partitismi al giorno tra il centro e la periferia di Roma, sapeva di non riuscire a gestire la città che sarebbe potuta esplodere in poco». Ponzani ha ricostruito nel corso degli anni, partendo proprio dalla sua tesi di laurea, le storie di numerose donne che si sono ritrovate a piangere i corpi di 335 uomini - mariti, padri, fratelli, figli - massacrati nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Donne che, dunque, hanno combattuto non solo durante la guerra ma anche e soprattutto dopo per poter far valere il proprio dolore e la richiesta umanissima di poter piangere su un corpo e su una tomba. «In questa storia si intrecciano tre generazioni di donne», così Ponzani. Citando Nicoletta Leoni, nipote di Nicola Leoni, tra gli uccisi nell’eccidio, «io non ho la delega al perdono». È grazie a figure come Nicoletta che la memoria prosegue «nel più totale volontariato perché l’associazione non riceve quasi più fondi statali». Una storia triste che, negli anni, ha visto anche momenti paradossali come la denuncia di Pribke, uno dei responsabili, verso Rosetta Stagni per diffamazione in quanto avrebbe “sporcato” il suo nome di ufficiale tedesco.
«Purtroppo la storia non è maestra di vita ma può darci delle bussole per il nostro presente e futuro», ha sentenziato Ponzani. «A Gaza ogni giorno c’è una Strage delle fosse Ardeatine. C’è un’impunità vergognosa, se da una parte Netanyahu non vuole lo Stato Palestinese così come Hamas vuole la distruzione di Israele sarà necessario trovare una tregua, come richiamato da Anna Foa nel suo ‘Il suicidio di Israele’, candidato al Premio Strega. I palestinesi dovranno dialogare con chi ha distrutto le loro famiglie e gli israeliani dovranno parlare con chi ha scatenato le stragi del 7 ottobre». Ponzani ha concluso ribadendo come «noi siamo fortunati perché siamo una democrazia in una Repubblica ben salda che ha resistito a urti e scossoni di una certa rilevanza».
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