l'anteprima
Oleotto riempie il Kinemax di Gorizia con ‘L'Ultimo schiaffo’
Terza tappa del tour in Friuli Venezia Giulia, il film uscirà nelle sale italiane l’8 gennaio. A presentare l’anteprima è stato il regista insieme agli attori principali
Metti un Natale, senza un soldo, fra paesaggi innevati dove l’unica casa è un camper e la famiglia è ridotta a fratello e sorella. È stato presentato nella serata di ieri – 23 dicembre, in doppia replica al Kinemax di Gorizia – il secondo lungometraggio di Matteo Oleotto tornato al cinema con la commedia amara “L’ultimo schiaffo” (2025), che sbarcherà nelle sale italiane dall’8 gennaio. «Rappresenti un valore aggiunto per la nostra città», osserva il sindaco Rodolfo Ziberna al regista prima della proiezione. «Sono trascorsi “solo” dodici anni – confessa il regista – da quando presentai in questa sala il mio primo lungometraggio, e l’emozione è tanta». Questa terza tappa del tour in Friuli Venezia Giulia – che ha già registrato il tutto esaurito a Pordenone e Udine – ha riscosso uno strepitoso successo di pubblico. La produzione Staragara, Spoke Film e Rtv Slovenia, è stata supportata dalla collaborazione con Rai Cinema e dalla distribuzione di Tucker Film, per realizzare un film post abbuffata, che guarda alle luci del Natale con gli occhi di chi non può permettersi neanche un piatto di pasta asciutta.
Un incipit noir fin dalla prima sequenza, quando il buio viene trapassato dalla voce fuori campo di un uomo dal volto insanguinato. Con abile prolessi si crea un salto temporale lasciando trapelare il finale, per nulla scontato. L’uomo è Nicola (Giovanni Ludeno), e sta cercando l’ultimo frammento di famiglia al quale aggrapparsi, rappresentato dal cane Marlowe. Protagonisti della vicenda sono Petra (Adalgisa Manfrida) e suo fratello Jure (Massimiliano Motta), che sopravvivono al rigido inverno e al gelo della brutalità umana. Se Petra è piena di rabbia e interessata solo al denaro, il fratello è l’anima candida che ne rappresenta l’antitesi, l’unico in grado di provare affetto. Un amore che da un lato lo spronerà ad affrontare con coraggio gli schiaffi, dall’altra lo condurrà a una tristissima fine. Ed eccolo, il paese di Cave del Predil che appare dalla nebbia oltre i titoli in sovrimpressione, mentre la possente colonna sonora di Luca Ciut s’intreccia ai personaggi fino a definirne i caratteri: se allo spacciatore Bojan si associa la musica heavy metal, i fratelli Kràvina non possono che annaspare nella neve o a bordo di un pullman – dopo aver abbandonato l’auto in panne – al canto dell’opera lirica.
A guidare i protagonisti in una foresta di personaggi torvi, che paiono strappati all’”Infernale Quinlan” di Welles, è una sorta di eroico lirismo, unico barlume di speranza col quale superano la disperazione. E un’autentica discesa agli inferi è il tragitto dei due nel cuore della miniera, accecati dal facile guadagno delle scommesse clandestine. Il primo viaggio spinti da Nevio (Davide Iacopini), l’ultimo per salvare mamma Clara (Rossana Mortara) e abbandonare una volta per tutte l'asfittico villaggio dimenticato da Dio. Due antieroi che tentano in ogni modo di sfuggire al proprio destino, per ritrovarsi a ogni successiva tappa senza via d’uscita. «Era la prima volta che giravo in Friuli – ammette Manfrida – con Matteo e Massimiliano. È stato un viaggio incredibile, e rivedere il film ancora mi coinvolge emotivamente. Ho avuto la sensazione che tutti volessero bene a Matteo e a noi. Spero che quest’amore si percepisca ed emerga anche da questo film». Appassionato di montagna e della neve è invece il veneto Motta: «Ho avuto la fortuna di condividere ogni momento con persone meravigliose – rivela – molto più esperte di me. È stato come un grande abbraccio».
«Piango come una vitella – interviene l’attrice pordenonese Carla Manzon (zia Ines) diplomatasi al “Piccolo Teatro” di Milano – ed è la prova che questi due giovincelli sono bravi. Mi commuovevo, nel vederli lavorare perché, dopo 45 anni di lavoro si continua a imparare». «Ho ascoltato più loro – interviene il regista – piuttosto che costringerli in un unico genere. Durante la lavorazione del film erano diventati davvero due fratelli che non uscivano mai. Oltretutto, gli era stato vietato di lavarsi i capelli per ottenere l’aspetto sporco e trasandato. Abbiamo realizzato il film con una quarantina di persone in condizioni di disagio, in quanto la montagna è un ambiente complesso. È una commedia di Natale – prosegue - in questi tempi bui e grigi. Vi assicuro che non intendevo farli morire tutti – ironizza – ma il film è nato così, a dodici anni di distanza da “Zoran, il mio nipote scemo”, dopo il quale intendevo tornare a emozionare attraverso il cinema, dando spazio alla sceneggiatura». «Io li ho un po’ odiati – sorride Mortara alludendo a Motta e Manfrida – perché non sono mai usciti una sera a bere un bicchiere. A parte questo, se il film vi è piaciuto ditelo a tutti, se non vi è piaciuto fatevi gli affari vostri». Grande rilievo riveste il lavoro di scavo nella malattia e la delicatezza con la quale Oleotto tratta il tema dell’Alzheimer nell’anziana mamma. La cui memoria lieve, per paradosso, è l’àncora di salvezza contro un mondo imbestialito e costruito sui soprusi, dal quale persino il cane Marlowe cercherà di sfuggire.
Ad ascoltare Jure sarà proprio il cane, che lo scalda nelle fredde notti dentro al camper sul lago, mentre fuori ulula il vento. «Perché tu sei il mio miglior amico – canta Jure in una sorta di cantilena dell’innocenza – e quando stiamo insieme il mondo è capovolto e nulla è più banale». Una vita passata in sordina a prendere continuamente schiaffi, fino a quell’ultimo, quando con animo puro accetta d’immolarsi per la mamma che sogna di vedere il mare. È con un candido sorriso che accoglierà l’"ultimo schiaffo", pur senza stramazzare al suolo: così che l’acuto del violino accompagna il buio inquadrato dalla macchina da presa, mentre le urla di Petra e della folla vengono letteralmente soffocate fra le note di musica classica. Se ormai tutto sembra risolto e persino il temibile Bojan è stato ucciso durante una colluttazione, ecco che Marlowe riprende la strada della foresta e della libertà, mentre Jure viene accompagnato da un dolcissimo «riposa in pace». L’unica scena di speranza si apre nell’ultima sequenza girata sul lungomare della Diga di Grado: dove il sole risplende a contrastare con le lacrime di Petra, che la riscattano dalla sua anaffettività. Una sorta di finale alla Charlot, dove le due donne si allontanano verso l’orizzonte nonostante la povertà e le dure prove della vita. (Foto, Rossana D'Ambrosio)
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