L'Occidente senza più figli, Galimberti a èStoria: «Destinati al tramonto»

L'Occidente senza più figli, Galimberti a èStoria: «Destinati al tramonto»

al teatro verdi

L'Occidente senza più figli, Galimberti a èStoria: «Destinati al tramonto»

Di Lisa Duso • Pubblicato il 27 Mag 2023
Copertina per L'Occidente senza più figli, Galimberti a èStoria: «Destinati al tramonto»

Il filosofo ieri sul palco a Gorizia con la giornalista Valentina Furlanetto e la psicologa Corinna Michelin, «la storia va avanti a colpi di biologia».

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Denatalità è una delle parole più ricorrenti degli ultimi tempi, la si sente pronunciare in televisione, la si legge sui giornali: le donne non fanno figli, le donne non diventano madri. Di donne e di madri, al Teatro Verdi di Gorizia per il festival èStoria 2023, ne ha parlato il filosofo Umberto Galimberti. Con lui, sul palco, la giornalista Valentina Furlanetto e la psicologa Corinna Michelin. Siamo in un’epoca in cui essere madri è diventata una scelta e non più un obbligo imposto, grazie soprattutto, come sottolineato dallo stesso filosofo, al mutamento determinato dal commercio e l’utilizzo degli anticoncezionali.

In una società dominata da una mentalità consumistica e che vive nell’ozio e nella ricchezza, però, i figli non si fanno: “La denatalità è prettamente legata alla ricchezza, così come la natalità è legata alla miseria” ha spiegato Galimberti. Chi non ha nulla da perdere, chi non ha di che mangiare, ha bisogno di figli che aiutino a provvedere all’intera famiglia. Chi invece la ricchezza la conosce, ci è nato e vive in uno stato sociale, non ha bisogno di una prole numerosa, che forse andrebbe solamente a disperdere la ricchezza della famiglia, in un mondo nel quale oltretutto il costo di crescita di un figlio è estremamente elevato.

Ma oltre ad un fattore di ricchezza o povertà, fa notare la giornalista Furlanetto, vi è un elemento che riguarda la dignità e la possibilità del lavoro femminile: “Parliamo di denatalità, ma non diamo alle donne gli strumenti per lavorare”, afferma mentre accusa un paese che “parla parla ma alla fine non fa nulla”. Questa diminuzione nel fare i figli, oltre all’Italia colpisce più in generale quello che si intende comunemente come “Occidente”: ma, secondo Galimberti, l’allarme alla denatalità sarebbe un timore che preoccuperebbe “chi ha paura della sostituzione etnica” perché, nel mondo, siamo pur sempre 8 miliardi, e basti pensare che “quando viveva Kant sulla terra erano in 800 milioni”.

“Forse siamo destinati a tramontare: d'altronde anche Occidente vuol dire tramonto, i tedeschi lo chiamano Abendland, terra della sera”, ma sarebbe solamente il normale scorrere del tempo, il naturale compiersi di un ciclo fatto di nascita e morte. “Chi arriva da noi è biologicamente più forte, e la storia va avanti a colpi di biologia”, ha spiegato riferendosi a chi arriva alle nostre sponde, dopo viaggi interminabili nel deserto in Nigeria, anni di lavori forzati in Libia per poi, con in mano solo la speranza, imbarcarsi su un gommone: un percorso che “noi non saremmo in grado di fare”.

Un Occidente che molto ricorda l’Impero romano al suo apice prima della disfatta: “A Roma in epoca imperiale non lavorava nessuno, si mangiava con le derrate alimentari che venivano dalle colonie, si passava il tempo nei circhi e nei postriboli: dopo un secolo hanno dovuto importare barbari per la canalizzazione delle acque, e ugualmente due secoli dopo per comporre gli eserciti, perché nessuno era più in grado di combattere, e dopo tre secoli avevano un imperatore barbaro”.

Si va avanti a colpi di ideologie, ed il decadimento è ciò verso cui inevitabilmente tende una società al limite del consumismo, che nel suo essere il 20% della popolazione mondiale utilizza l’80% delle risorse della Terra per mantenere questo di questo livello di vita, ma la disuguaglianza è talmente tanta ed insostenibile che “basta che i poveri inizino ad essere meno poveri perché noi iniziamo a decrescere”. Decrescere significherebbe riuscire magari a comprendere l’enorme spreco che è divenuto normalità, poiché “se trattiamo il mondo come un mondo da buttare via, finiremo per fare lo stesso con l’umanità, e ci siamo già arrivati”.

“Perché abbiamo 3 milioni di anoressiche, mentre in Africa tale condizione non esiste? Perché 2 milioni di autolesionisti? Perché 200mila hikikomori, ragazzi che sono in camera e non escono per mesi e poi si suicidano? Perché stanno male se hanno tutto? Possiamo intendere queste malattie come segnali radicali di una società in decadenza?”, ed è questo il paradosso, il vero sintomo di una società che non riesce a trovare uno scopo alla propria esistenza e che coperta dal lusso crolla su sé stessa, e nella quale la madre non si cura più se il figlio ha mangiato, essendoci talmente tanto cibo da buttarne via una buona parte, ma è angosciata dalla felicità del figlio, dalla sua salute mentale, psicologica.

È un mondo nel quale i beni primari si danno talmente per scontati che le preoccupazioni sono apparentemente superficiali, quasi banali, ma che nascondono in esse un profondissimo malessere sociale e senso di inadeguatezza, smarrimento, in un senso di autoesclusione da una società sempre più individualista ed egoista.

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