Le quattro stagioni
La notte magica di Uto Ughi accende gli animi dei 'graisani': concerto sold out a Sant'Eufemia

Applaudito appuntamento organizzato da Musica Viva diretta da Giorgio Tortora. Il maestro riconosce: «Visita a Grado inaspettata, è città d'arte che ispira».
Al di là del mare in cui si specchia Grado sorge Pirano, la cittadina dall’architettura veneziana che si proietta nelle tenebre azzurre dalla costa slovena come un lembo di terra ad accogliere l’Adriatico. «È qui che risiedeva la sua famiglia», racconta Leonardo Tognon innanzi al pubblico accorso numeroso. Lui è il violinista di fama mondiale Uto Ughi, che nella serata del 17 luglio ha interpretato Vivaldi insieme alla “Venicestrings” orchestra nell’insolita cornice della Basilica di Sant’Eufemia a Grado. Un evento organizzato dall’Associazione “Musica Viva” diretta da Giorgio Tortora, con il patrocinio del Comune, della regione Friuli Venezia Giulia, di CrediFriuli e della Fondazione Carigo nonché della stessa parrocchia.
«La bellezza di questo luogo la conosciamo – è intervenuto don Paolo Nutarelli – è un luogo finito che con la musica incontra l’infinito. L’arte ci aiuta a coltivare la nostra interiorità, poiché la musica ha il potere di elevare l’anima, di aprire all’infinito». L’oro del tramonto trafigge le vetrate scivolando piano lungo le antiche mura, mentre la penombra vince sugli ultimi fiotti di luce. Finché fa il suo ingresso Ughi insieme all’inseparabile Guarneri del Gesù del 1744, nella cattedrale d’improvviso illuminata a giorno. «”Le Quattro Stagioni” – spiega il Maestro in persona – rappresentano una delle opere più popolari di musica da camera, esempio di musica figurativa. Un grande affresco musicale che guarda alla pittura del Settecento di Canaletto, Tiepolo o Bellotto».
Mentre i padri del vedutismo dipinsero con precisione le architetture di Venezia con lo stratagemma della camera oscura, Vivaldi rese le vibrazioni di luce annotando sul foglio le sensazioni suscitate dal paesaggio. «Fece una passeggiata in campagna – prosegue – portando con sé un taccuino su cui trascriveva le proprie emozioni». Ogni sonetto è dedicato a una stagione diversa, ma l’incipit è quello dell’estate in cui arde il pino solenne e in lontananza un cuculo annuncia il suo ritorno. «C’è quest’atmosfera languida – si presta a precisare interrompendo la sonata – dovuta al caldo. Questo invece è un cardellino – riprende – che dialoga d’amore». In un soliloquio di rarissima finezza il violino sprigiona la sua melodia assecondato dagli archi, finché sopraggiunge il temporale che chiude l’estate. «Il sonetto – riporta – dice “Tuona, grandina”.
Siamo arrivati all’autunno, che Vivaldi descrive con i canti e i balli del villanello». La celebrazione della vendemmia si accompagna a qualche bicchiere, ma «uno ha ecceduto nel bere. Vivaldi lo descrive come un amante del liquore di Bacco, cioè del vino. Fatica a reggersi in piedi, viene raffigurato con sottigliezza umoristica: sembra di osservare il quadro di qualcuno che cade». Il Maestro riprende a suonare, di nuovo s’arresta. «Adesso ascoltate queste battute, in cui si narra dell’uomo che non sta in piedi». Il lamento del Guarneri ancora si sofferma a riflettere soprappensiero, quasi in un pianto accorato. Dal dolcissimo sonno la stagione si conclude con l’alba e la caccia. «Vivaldi è onomatopeico – rimarca – nell’imitare una belva che fugge». Il violino cede all’archetto con suono preciso e pulito di ampio respiro narrativo. «Siamo all’inverno – avverte – e il compositore sembra cercare sonorità da film dell’orrore. Vuole che il suono degli archi risulti poco piacevole. Sicché, se non è di vostro gradimento non è colpa mia, ma di Vivaldi», concede con umorismo.
Dal dialogo fra gli strumenti cresce un fiume impetuoso su cui sovrasta il violino, per descrivere un casolare nel quale i contadini sono raccolti intorno al fuoco a raccontare storie di vita mentre fuori imperversa il temporale. «Il pizzicato dei violini – chiosa - descrive i chicchi di grandine sulle tegole dei casolari. Siamo giunti alla conclusione di questo viaggio attraverso le stagioni». Come in un quadro nordico di Hieronymus Bosch, Rembrandt o Vermeer, i canali ghiacciano e gli abitanti sono costretti a prestare attenzione a non scivolare. Una sonata magica che ha acceso gli animi dei graesani illuminando Sant’Eufemia come una stella nel cuore della città vecchia. In segno di riconoscenza il primo cittadino Giuseppe Corbatto ha donato al Maestro una formella raffigurante il castrum di Grado.
«Con la sua arte – così il sindaco – non ha solo emozionato le platee di tutto il mondo, ma ha anche onorato l’Italia e la sua tradizione musicale, rendendola viva e universale. Lei è un custode del patrimonio immateriale che ci rende umani, e ogni suo concerto è un dono alla collettività, ogni nota un messaggio di armonia». Una commovente purezza musicale che ha riecheggiato moltiplicandosi nella bellezza di antichi affreschi e mosaici, celebrando equilibrio e armonia nel più alto segno di civiltà. «Per me – confessa Ughi – questa visita a Grado è giunta inaspettata. Credo di essere venuto una volta sola, ma una chiesa così bella non la ricordavo. Grado è una bellezza in miniatura, una città in grado di ospitare grandi musicisti. Città d’arte che ispira, basta camminare fra le sue strade». I lunghi applausi sono stati accolti dal bis non previsto della composizione “Oblivion” di Astor Piazzolla, che infine ha sciolto i presenti per liberarli nella brezza di mare che soffiava in campo Patriarca Elia.
Fotoservizio di Enrico Cester.
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