L'eco di Napoleone negli archivi di Gradisca d'Isonzo e lo spettro di Campoformido

L'eco di Napoleone negli archivi di Gradisca d'Isonzo e lo spettro di Campoformido

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L'eco di Napoleone negli archivi di Gradisca d'Isonzo e lo spettro di Campoformido

Di Vanni Feresin • Pubblicato il 16 Mag 2021
Copertina per L'eco di Napoleone negli archivi di Gradisca d'Isonzo e lo spettro di Campoformido

Le dominazioni napoleoniche nelle carte diocesane: «Tutto può l’Austria quando vuole». Il racconto di Vanni Feresin.

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Dalle documentazioni conservate negli archivi parrocchiali della nostra Arcidiocesi, possiamo leggere in modo attento e preciso molti periodi storici che hanno caratterizzato e, in certi casi, sconvolto la vita delle popolazioni locali. Certamente l’epoca napoleonica, e in particolare gli anni relativi alle varie dominazioni accorse tra il 1797 e il 1814, ha segnato in modo indelebile la storia di questi territori.

Negli archivi parrocchiali ed ecclesiastici, come ho già avuto modo di raccontare più volte, sono custodite queste memorie, attraverso carte, mappe, stampe, cronache e scritti celebrativi. In questo articolo vorrei mettere in luce gli anni 1796 – 1799 attraverso una pubblicazione commemorativa che fa riferimento al Trattato di Leoben. Questo piccolo ma prezioso libello, ben conservato nell’Archivio Storico della parrocchia di Gradisca d'Isonzo, è dedicato alla “Festa anniversaria del 17 aprile” ed è datato 1799.

Una scritta a mano sulla copertina ci fa comprendere che il parroco-decano di Gradisca avrebbe dovuto consegnare al parroco di Farra questa pubblicazione, cosa che per motivi a noi sconosciuti non avvenne. La vera originalità di questo documento è l'insolita celebrazione di un trattato (quello di Leoben) meno conosciuto essendo preparatorio al famoso Trattato di Campoformido.

Il triennio giacobino
Il periodo 1796 – 1799, il cosiddetto “triennio giacobino”, vide la penisola invasa e conquistata dall’Armata d’Italia del generale Napoleone Bonaparte. Il 10 aprile 1796, le truppe francesi occuparono i territori sotto il dominio austriaco (il Ducato di Milano e quello di Mantova); poi i territori del Ducato di Modena e Reggio e infine quelli facenti parte dello Stato della Chiesa. Cessarono di esistere anche la Repubblica di Venezia (12 maggio 1797) e la Repubblica di Genova (14 giugno 1797). Roma fu occupata il 10 febbraio 1798; il potere temporale del Papa fu dichiarato decaduto e fu instaurata la Repubblica. Rimasero formalmente indipendenti soltanto il Regno di Sardegna, il Principato di Benevento ed il Regno di Sicilia.

La conquista di Verona
La Repubblica di Venezia costituiva un importante obiettivo dopo che nella primavera del 1796 era stata conquista la Lombardia. Gli avvenimenti si svolsero tra il 1796 e il 1797, culminando nella settimana 17 – 25 aprile del 1797. Tra tutte le insurrezioni che si registrarono, quella di Verona passò alla storia: i tumulti scoppiarono il 17 aprile 1797 e il popolo fu il grande protagonista della sommossa.

Il trattato di Leoben
Negli stessi giorni dell’insurrezione veronese, e precisamente il 17 aprile 1797, venne firmato da Napoleone Bonaparte il Trattato di Leoben, conosciuto anche con il nome di preliminare di Leoben. Fu un accordo preliminare che conteneva numerose note segrete. Con queste clausole l’Austria avrebbe dovuto cedere il Belgio e la Lombardia alla Francia in cambio dei territori della neutrale Repubblica di Venezia, compresa Istria e Dalmazia: Venezia sarebbe sopravvissuta nei soli territori del Dogado. Il trattato fu confermato dal trattato di Campoformido, il 17 ottobre 1797, comprendendo però nello scambio la stessa Venezia, la cui Repubblica aveva cessato di esistere nel mese di maggio.

“Giogo straniero Nò, non ci opprime ancor”

Così inizia lo scritto commemorativo che s’intitola “Sentimenti d’un suddito austriaco nella festa anniversaria del 17 aprile”. Si nota fin dalle prime righe la pleonastica fedeltà all’Austria e all’Imperatore “fermi e possenti Son l’altare le Leggi, e Forza, e Dritto; Regna Francesco ancor Monarca e padre D’Hasburgico splendor rampollo augusto”.

La Repubblica Romana
“Mirate o Popoli dell’Austria! Già le furie oppressori della francia scuotono di bel nuovo le accese fiacole della guerra. Indarno il buon imperatore estese in Campoformio la pietosa mano della Pace. Indarno volle egli coll’offerta di non già disonorarti, ma raguardevoli sacrifici assicurare ai suoi Sudditi la tranquillità. Il pacifico olivo dissecò nelle sacrileghe mani dei francesi Tiranni; si rompe la data parola, nessun Trattato diviene sacro per essi. Dopa la pace di Campoformio si avventarono con audacia e temerarietà sulla sacra Tiara, che dal rispettabile Capo di Pio Sesto spandeva sopra di loro li temuti suoi raggi; spogliarono li suoi Stati e la stessa sua Persona senza riguardo alla sua Dignità, ed alla sua canicie; lo straparono fin l’ultimo anello dalla mano, da quella mano, che non era avvezza se non ad impartire benedizioni, e cercarono di opprimere quel Vecchio Venerando sotto il peso di persecuzioni capaci di far inorridire l’umanità!” Roma cadde sotto il dominio francese il 10 febbraio 1798 prendendo a pretesto l’assassinio nella città del generale francese Mathurin Léonard Duphot. Il 15 febbraio fu dichiarato decaduto il potere temporale di papa Pio VI e fu proclamata la Repubblica Romana, sul modello francese.

Gli stati traditi
“L’Helvetia più libera al certo della Repubblica Francese, geme fin quel tempo sotto alle pesanti catene della schiavitù, e piange la sua sorte coperta di Sacrificanti suoi figli ed Eroi. Sardegna, Napoli, e la Toscana assassinati lungo tempo da illusorie ingannatrici speranze, credettero di riscattare il minacioso pericolo col mezzo di compiacenze e di sacrificj d’ogni sorte; ma versano ora il sangue resi vittime, non già della spada guerriera, ma d’un pugnale assassino, stromento infame della perfidia Francese. La Porta nutrì lungo tempo nel suo senno senza avvedersene il più velenoso Serpente, che nel suo letargo le infisse micidiale ferita. Così compensano i tiranni della Francia li favori dei loro amici, in questa guisa convincono l’Europa tutta, che s’incontri maggior sicurezza nell’esserle nemici, che nell’esserle amici.”

L’asse austro – russa
Nel 1799 tra le potenze europee si formò una nuova coalizione austro – russa contro la Francia. Parigi richiamò molte delle sue truppe di stanza in Italia. Non appena si allentò la presenza militare francese, le insorgenze ripresero in tutto il paese nel tentativo di ristabilire il vecchio governo.

“Popoli dell’Austria! Li tiranni della Francia hanno ora mancato di fede ancora al nostro buon’Imperatore; la guerra è riacesa, hanno cominciate le ostilità da traditori, da assassini, prima ancora di averla intimata. Qual Tigri colla sete di sangue, qual fieri Lupi col desiderio di depredare, e qual Volpi con velata artificiosa astuzia, vengono fieri ed insolenti col pensiero di mettere voi pure nei loro ceppi; ma non temete – Ad’onta della per tanti anni sostenuta guerra si mostra tuttavia quasi in un istante ristabilita la bellica austriaca potenza – Alla testa d’una Armata marcia già l’Arciduca Carlo, quello cui le riportate replicate sue vittorie hanno coronato la fronte di folti alori, quello che grande insieme, e saggio continua tuttavia l’intrapreso eroico suo camino, quello finalmente, che coi suoi stati sforza fin lo stesso nemico a rispettarlo e ad ammirarlo.

All’armata in Italia vanno unirsi, spedire dal Sovranno delle Russie, dal possente amico ed alleato del nostro Imperatore Francesco, le Truppe Moscovite, quelle che mai fin’ora hanno volte le spalle ad alcun nemico. L’eroe Suwarow le guida, Duce, che mai curò di sapere il numero, e la forza dei nemici, che non mostrò mai altra brama, se non di informarsi del luogo ove essi campassero, e che formidabile rissoluto annuncia la vittoria colla solla sua presenza”. Alleati dei russi “il valoroso Tirolese, il forte Ongarese, il fedele Boemo, abbiamo il leale Austriaco, tutti uniti e pronti a spargere fin l’ultima goccia del loro sangue per la Religione, per il Sovrano, e per la Patria. Una nazione che può contare sul cumulo di tante forze, di tanto valore, non farà mai la schiava dell’altera insolenza francese, ne lascerà mai esposti alla sua insaziabile deprecazione li tesori del nostro felice Suolo”.

Le Repubbliche

Il “Suddito austriaco” all’ottava pagina del testo si scaglia contro le Repubbliche formatisi dopo la dominazione francese: “Ovunque geme un Paese sotto il peso delli francesi catene, non fuvi che il Libertino, l’ignorante il vagabondo, o qualche stipendiato aventuriere, che prestasse assistenza ai giacobini; li fanatici predicarono alli ignoranti la libertà, ed eccitarono la diffidenza verso il Principato, li deboli incussero il timore, inquietarono a poco a poco lo spirito di tutti, ed aprirono in tal guisa le porte ai francesi.

Mediante questa secreta cabala di Emissarj francesi, di stipendiati sedutori del Popolo, di questi Lupi coperti colle Pelli d’Agnelli nacquero tutte le nuove Repubbliche, che a guisa di ben coloriti sepolcri, altro in esse non racchiudono, che del marciume e della corruzione. Ma indarno si affaticherà il Giacobismo francese di portare i suoi flagelli fino nelle austriache contrade, né la tricolorita Bandiera di Bernardotte si vedrà mai sventolare là dove regna l’Aquileia biteste”
. Le Repubbliche caddero una dopo l’altra sotto i moti antifrancesi proprio nel 1799. Nella Repubblica Cisalpina i primi tumulti si ebbero il 12 e 13 aprile 1799 a Firenze e a Pistoia. Le insurrezioni si allargarono a tutto il Granducato di Toscana nei giorni successivi alla sconfitta francese ad opera del generale Suvorov e la Repubblica Cisalpina cadde il 27 aprile 1799.

Il 17 maggio il Conte Matteo Manzoni, proclamato Comandante in campo di tutte le forze controrivoluzionarie di Lugo, forte dell’avanzata delle truppe austro – russe, al grido di “Viva Francesco II! Viva Pio VI!” abbatté i simboli repubblicani e affisse stemmi pontifici e immagini della Santa Vergine. Il 7 aprile 1799 avvenne la prima Insorgenza di Rimini: quel giorno si svolse la processione della Madonna dell’Acqua, per chiedere la cessazione delle piogge che stavano danneggiando gravemente le colture, la proibizione di uscire dal sagrato delle chiese era tassativa ma i fedeli sfidarono il divieto al grido di “Fuori la processione! Viva Maria!”. Il 27 maggio insorsero tutti i paesi delle vallate tra il Cesenate e Montefeltro. Il 30 maggio gli insorti di Forlì, Lugo e Ravenna coalizzati insieme, liberarono Faenza costringendo le truppe del generale Hulin alla fuga.

Nello stesso giorno divampò la “Grande Insorgenza riminese” che costrinse i francesi alla fuga sull’appennino. Le sollevazioni ripresero sulla scia dei successi della coalizione austro – russa: il 15 giugno Viterbo cacciò i giacobini, che dovettero ripiegare su Roma. Gli insorti si unirono agli orvietani e sconfissero i francesi a Bassano. L’insorgenza si diffuse in tutto l’Alto Lazio e successivamente si unirono anche gli aretini. Il 4 agosto gli insorti si prepararono a conquistare Roma, difesa dai repubblicani, e il 19 settembre 1799 i francesi abbandonarono la città che alla fine del mese fu occupata dall’esercito del Regno di Napoli e quindi restituita al Papa. L’invasione francese del Regno di Napoli ebbe inizio il primo dicembre 1798 e finì il 13 giugno 1799.

I costi della guerra
“Malgrado la sostenuta lunga ed eccessiva costosa guerra, le sorgenti delle rissorse dell’Austria non sono peranco dessecate. Le pubbliche imposte non opprimono il Suddito. La richezza nazionale provveniente dalli innumerevoli prodotti dello Stato non è punto diminuita. La prosperità è ora concentrata entro ad una linea di dimarcazione tirata intorno alli Stati dell’Austria, ove ogni Straniero, ogni Emigrato dei Paesi della cosidetta libertà cerca oggidì di porre in sicuro la sua Persona, e le sostanze, col desiderio di partecipare della felicità delli Abitatori nazionali”.

L’Imperatore vive in semplicità e per il bene dei sudditi
Lo scrittore continua a magnificare le virtù imperiali contrapponendole a quelle dei francesi “Cesare vive nel Centro della sua Famiglia con semplicità, e senza fasto, ama la lealtà del carattere nazionale, travaglia incessantemente nelle presetanee critiche circostanze per il solo bene, per la felicità dei suoi Sudditi, e per la conservazione dello Stato; non limita il corso alla giustizia con arbitrari decreti; desidera di rendere così felice ogni cetto di Persone, ed ogni Cittadino in particolare, quando l’uno e l’altro è suscetibile di divenirlo nel suo Stato, e porta nel Senno diretti a questo difficile scopo molti benefici piani, che noi vedremo maturarsi nell’Epoca felice della avventurata pace”.

“chi cerca libertà maggiore e un Pazzo”
“In nessun’ altro Paese vide il Sole regnare in un grado più sublime la civica libertà, quando nelle felici Provincie dell’Austria; chi cerca libertà maggiore e (sic!) un Pazzo, che non consce ciò che sia possibile, o è un’scellerato che cerca di turbare la quiete d’un buon popolo. La libertà predicata dai giacobini è un oscuro Caos d’universale disordine, in cui hanno libero campo l’egoismo, l’interesse, la rubbaria, il desiderio d’assassinio, e tutte le passioni tendenti a sconvolgere il bene della civile società, ed a convertire in breve lo Stato il più florido in un deserto di arena, di lagrime, e di cadaveri”.

Nella retorica altisonante del testo, che dovrà essere distribuito tra il clero e in tutte le parrocchie, si mette a confronto gli altri popoli dell’Europa sottomessi ai francesi rispetto a quelli fedeli all’Austria: “Li Popoli dell’Austria inorridiscono nel vedere lo spaventevole abisso, in cui sotto i proprj occhj vennero rovesciate molte infelici Provincie; confrontano il proprio stato tranquillo e felice, colla detestabile situazione di quei Stati rivoluzionati, e si convincono, che niente giunga ad eguagliare la felicità dell’Austria”.

“Tutto può l’Austria quando vuole”
Tutti i popoli sotto la corona imperiale austriaca “vivono intensamente attaccati al loro buono, ed universalmente amato Sovranno, confidano intieramente nelle prese sue misure, ed in ogni sua disposizione, giurano solennemente di voler vivere e morire per il Dio ch’adorano, per la Religione, per il loro Regnante, e per la Patria; e di negare ascolto con nobile rissoluto disprezzo a qual di rompere il sacro stretto nodo che lega un Popolo sì fedele ad un sì buon Sovranno”.

Grazie a questi nobili presupposti “con reciproco attaccamento sfidano con eroica fermezza il turbine del tempo, non temono alcun pericolo, nessuno sacrificio, e si attirano finalmente dal Cielo colla fedele Sudditanza, e colla concordia d’animi l’amica Pace, vero premio per sì belle, e sì luminose virtù e solo affetto d’una virile perseveranza”.

“Che perciò si scriverà nelle Storie dei buoni Principi in lettere d’oro l’antico proverbio Tutto può l’Austria quando vuole".

Nell'immagine: Traité de Leoben, 17 avril 1797 /Guillaume Guillon Lethière /Versailles

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