Monsignor Mogavero torna a Gorizia, «realtà unica di frontiera. Accoglienti e non divisivi»

Monsignor Mogavero torna a Gorizia, «realtà unica di frontiera. Accoglienti e non divisivi»

L'intervista

Monsignor Mogavero torna a Gorizia, «realtà unica di frontiera. Accoglienti e non divisivi»

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 15 Gen 2024
Copertina per Monsignor Mogavero torna a Gorizia, «realtà unica di frontiera. Accoglienti e non divisivi»

Il vescovo emerito di Mazara del Vallo risponde su vari temi di attualità. L'esempio siculo per poter creare servizi sul territorio.

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Un’amicizia decennale lega monsignor Domenico Mogavero, già vescovo di Mazara del Vallo, a Gorizia. Negli scorsi giorni, complice la necessità di incontrare vari amici e conoscenti, il vescovo emerito è tornato a Gorizia. Tra una visita e l’altra ad amici laici e sacerdoti, lo abbiamo incontrato proprio nel cuore della città, in Corte Sant’Ilario. Con lo sfondo della chiesa cattedrale la nostra redazione lo ha incontrato per uno scambio di opinioni su temi di attualità non solo clericale.

Mogavero, nato a Castelbuono, in provincia di Palermo, diocesi di Cefalù, il 31 marzo 1947, del clero di Palermo, è stato ordinato presbitero il 12 luglio 1970 ed eletto alla sede vescovile di Mazara del Vallo il 22 febbraio 2007. Ordinato vescovo il 24 marzo 2007 è divenuto emerito il 29 luglio 2022. Fu proprio durante un viaggio ad Assisi, ancora semplice sacerdote, che conobbe una delegazione di Gorizia.

«Andando a un campo Acr ad Assisi conobbi tre ragazze di Gorizia. Da allora, siamo rimasti amici tanto che alla mia consacrazione episcopale c’era una cospicua delegazione goriziana», ricorda monsignor Mogavero. Una realtà, quella dell’arcidiocesi di Gorizia, «diversa per architettura e tradizioni liturgiche ma ugualmente di confine come quella che mi sono ritrovato a guidare, anni dopo, a Mazara del Vallo». Il presule ricorda i momenti di incontro e quanto si sia costruito nella sua diocesi. «Da tempo c’è ascolto e si garantiscono servizi per chi viene a stabilirsi da noi, consentendo l’integrazione ma anche una convivenza migliore».

La garanzia dei servizi da parte delle parrocchie, dunque, può essere una risorsa: nello specifico un sollievo eventuale per la situazione di Monfalcone (anche se l’apertura della parrocchia del Duomo con l’oratorio San Michele non è stata affatto accolta, nda) ma anche nella tragica Rotta Balcanica. «Dobbiamo essere una Chiesa in cerca di dialogo e accoglienza, non portando a marginalità o isolamento, cosa che io ho vissuto in prima persona gestendo l’Isola di Pantelleria».

Il mare, che nel caso della Sicilia è chiaramente un ponte e non è paragonabile alla situazione migratoria dei Balcani, è stato un elemento, secondo monsignor Mogavero, di vicinanza e di aggregazione: «La barca è l’unico posto in cui tutti sono uguali, hanno gli stessi doveri e gli stessi rischi, che corrono assieme. La Chiesa deve essere così, dove tutti sono uguali ma dove, in questo caso i migranti, si devono poter sentire a casa loro. Tra i progetti che abbiamo messo in piedi a Mazara non solo quelli per le famiglie ma anche per adolescenti e adulti, con corsi di lingua che non devono essere visti, né essere, luoghi o esperienze che obbligano alla conversione; una Chiesa di servizio che sa annunciare il Vangelo».

Tra i temi che abbiamo voluto sottoporre a monsignor Mogavero anche la formazione del futuro clero, consci che la struttura attuale del seminario, «ancora di stampo tridentino e mai cambiata», come conferma il presule, sia obsoleta e da riformare. «A novembre la Cei ha approvato un testo sulla formazione del clero ed è chiaro che il Seminario, in sé, va rivisto perché non accoglie più adolescenti ma giovani uomini di venti, trenta, quarant’anni che devono imparare a gestirsi e a cercare i servizi e che vedano le proprie personalità valorizzate. Il seminario, oggigiorno, fornisce i servizi ma poi? È come dover guidare una barca in mare aperto che prima era gestita da altri. Dobbiamo creare vestiti nuovi e non, nel Terzo Millennio, mettere le toppe».

Sul Sinodo, infine, la posizione è di attesa: «I documenti non hanno mai risolto granché ma c’è da attendere l’elaborato finale. Bisogna, invece, domandarsi chi è il presbitero oggi perché, se all’episcopato vengono elevati più religiosi che diocesani è un segnale ben chiaro di fragilità clericale. Forse l’esempio delle Chiese del Nordafrica, con diocesi enormi e numeri piccoli, ci potrebbero aiutare nel capire il governo, quantomai facile», conclude Mogavero.  

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