LA SENTENZA
Monfalcone e il doposcuola al Darus Salaam, il Tar Fvg respinge il ricorso del Centro di via Duca D’Aosta

I magistrati, «l’attività, senz’altro riconducibile agli scopi statutari, non è però coerente con l’uso indicato nei titoli edilizi». Cisint, «sentenza dà ragione a Polizia Locale e dirigenti».
La Sezione Prima del Tar del Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso notificato il 26 marzo 2024 e depositato il 2 aprile successivo dal Centro Culturale Islamico Darus Salaam di Monfalcone contro il Comune per richiedere – come disposto dalla sentenza - l’annullamento dell’ordinanza dirigenziale «ripristino della destinazione d'uso autorizzata presso l'immobile ubicato in via Duca d'Aosta n. 32, identificato catastalmente con fm 21, particella 1700, subalterno 34, del C.C. di Monfalcone». Appreso del ricorso, l’Ente si è costituito in giudizio per resistere allo stesso. Respinte anche tutte le motivazioni aggiuntive avanzate dal Centro ricorrente in quanto dichiarate infondate dalla Corte. L’udienza pubblica si è tenuta il 7 maggio scorso a Trieste e la notizia del pronunciamento definitivo risale al primo pomeriggio di oggi, sabato 31 maggio. A firmare la sentenza il presidente Carlo Modica de Mohac di Grisi’, il consigliere Manuela Sinigoi e il Primo Referendario Estensore, Daniele Busico.
«L’ordinanza – si legge nella sentenza - si basa su un sopralluogo del 18 gennaio 2024, effettuato per verificare l’ottemperanza di un’altra ordinanza inibitoria relativa ad un uso non consentito dei locali della sede dell’associazione in via Duca d'Aosta n. 28, sub 35 (oggetto di un parallelo contenzioso inter partes, cfr. T.A.R. F.V.G., n. 220/2024 e Cons. di Stato, n. 2821/2025). Nel corso del sopralluogo è emerso lo stabile e continuato svolgimento, nel sub 34, di attività non riferibile a quella commerciale (assentita dal titolo), con la presenza all'interno degli ambienti, arredati appositamente con panche e tavoli, di persone adulte e di minori intenti in c.d. attività di doposcuola. L’associazione ricorrente ha dedotto censure di violazione di legge ed eccesso di potere».
Occorre partire dal dato che, con la relazione di servizio/verbale di sopralluogo del 18 gennaio 2024, è emerso incontestatamente l’utilizzo dell’immobile per attività dell’associazione, qualificabile in termini di attività c.d. di doposcuola. Infatti, “all’interno [del locale] si accertava la presenza di altre due donne di origine bengalese e di nove bambini sempre di origine bengalese i quali erano seduti su panche e tavoli e di legno intenti a leggere libri sia in lingua italiana che bengalese. Una delle tre donne, […] dichiarava che aiutavano i bambini a fare i compiti e a studiare la lingua bengalese, come facevano e fanno in quel posto ove erano presenti (ovvero nei locali che si affacciano sulla via Duca D’Aosta) ogni martedì e giovedì”».
«La nuova destinazione d’uso di fatto impressa al sub 34, come riconosciuta dallo stesso centro culturale ricorrente nei suoi scritti difensivi, costituisce in effetti proprio quella di svolgimento di una delle attività associative – continua il dispositivo - ed è stata quindi correttamente qualificata dall’Amministrazione quale attività “direzionale” ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. e) della l.r. n. 19/2009 (“superfici di unità immobiliari destinate ad attività amministrative o professionali, quali: uffici, studi, banche, sedi di enti, associazioni, sindacati e partiti;[ …]”). Dall’esame degli atti e documenti di causa emerge pure che il nuovo uso rilevato in occasione del sopralluogo è stato impresso ai locali in modo stabile: ciò è confermato, in primis, da quanto riferito dagli stessi operatori dell’associazione (l’attività rilevata ivi si svolge “ogni martedì e giovedì”) e, in secondo luogo, dalle difese attoree che non solo non hanno efficacemente contestato tale risultanza, ma l’hanno addirittura posta a fondamento delle proprie censure (tanto da sostenere l’applicabilità delle norme di favore previste, per le attività dell’associazione, dal d.lgs. n. 117/2017)».
E ancora i magistrati: «L’attività di doposcuola, senz’altro riconducibile agli scopi statutari, non è però coerente con l’uso indicato nei titoli edilizi, cioè commerciale al dettaglio che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. f) l.r. cit. è da intendersi l’”attività svolta da chiunque professionalmente acquisti merci in nome e per conto proprio e le rivenda al consumatore finale; in questa categoria sono comprese le attività per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande se non collegate con le attività di cui alla lettera c), e tutti gli esercizi commerciali definiti al dettaglio dalla legislazione di settore, nonché le attività artigianali di produzione e connessa commercializzazione nel settore dell’alimentazione”».
Si tratta quindi di una variazione definita «essenziale» dai giudici per i quali «la categoria d’uso “direzionale” non è ammessa in zona B1 dall’art. 7, comma 4, delle n.t.a. del P.R.G.C. di Monfalcone» e ne consegue «il corretto esercizio del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione Comunale». «Per quanto sia vero che l’attività di “doposcuola” non è stata testualmente qualificata o formalmente inquadrata nel provvedimento impugnato in uso “direzionale” – continua il paragrafo 7 della sentenza - è però altresì vero che l’attività in concreto rilevata (e contestata quale attività non compatibile coi titoli e con lo strumento urbanistico) è stata adeguatamente descritta e documentata nei suoi tratti essenziali e rilevanti in questa sede - e, per vero, nemmeno contestata dal centro ricorrente – sia nella relazione di servizio del sopralluogo del 18 gennaio 2024, sia nel provvedimento impugnato. Ciò è sufficiente a fondare il presupposto applicativo del potere inibitorio comunale ai sensi dell’art. 45 della l.r. cit. e cioè la non riconducibilità dell’attività all’uso (commerciale) assentito dal titolo e il suo contrasto con lo strumento urbanistico».
Al paragrafo 8 è dichiarato pure «infondato» un ulteriore motivo promosso nel ricorso: «relativo alla mancata applicazione delle previsioni di favore previste per gli enti del Terzo settore. È infatti inapplicabile al caso di specie l’invocato art. 71 del d.lgs. n. 117/2017, ai sensi del quale “le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”».
Rigettata anche «l’ “intrinseca contraddizione dell’attività provvedimentale laddove ad uno stesso ente sono attribuite due distinte destinazioni (direzionale e, contemporaneamente, commerciale)”» richiamata al paragrafo 9 perché «il provvedimento impugnato è sufficientemente chiaro e non ambiguo nell’indicare le destinazioni d’uso formalmente assentite nei due distinti, seppur comunicanti, locali di via Duca d’Aosta: direzionale, il sub 35 – non oggetto del presente contenzioso – e commerciale il diverso sub 34, per il quale è stata assunta l’impugnata inibitoria. È d’altra parte incontestato - e ben noto anche alla parte ricorrente - che il sub 34 ha la formale destinazione d’uso commerciale, sicché la relativa obiezione che si tratti di una qualificazione contraddittoria da parte comunale si risolverebbe, in ogni caso, in una notazione puramente formalistica».
Per i magistrati è «infondato» inoltre «l’ulteriore profilo di censura relativo alla dedotta insussistenza di un contrasto dell’attività di fatto svolta».
«L’attività di doposcuola – si esplica al paragrafo 12 dell’impianto - diversamente da quanto sostenuto in ricorso, non è infatti riconducibile alla lett. o) della predetta previsione “servizi ed attrezzature collettive” (dovendosi per questi intendere “le superfici di unità immobiliari o aree destinate a opere pubbliche o di pubblico interesse, nonché le strutture ricettive a carattere sociale, escluse le foresterie, gli ostelli e alberghi per la gioventù o i convitti per studenti e le case per ferie”, cfr. art. 5, comma 1, lett. o), della l.r. n. 19/2009) di cui non possiede i caratteri». «L’ulteriore censura con cui l’associazione ricorrente ha dedotto la lesione del proprio diritto di proprietà, in connessione al pieno godimento dei locali, è infondata perché il provvedimento, per le anzidette ragioni, si iscrive a pieno nel potere repressivo comunale di repressione degli abusi edilizi» così al comma 15.
Pronunciato il no anche allo «sviamento di potere (il Comune avrebbe agito per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva del potere) e la violazione del giusto procedimento». Dichiarata «infondata» anche la presunta «contraddittorietà dell’azione amministrativa sul rilievo che il sopralluogo era stato disposto (e consentito dagli operatori dell’Associazione) per verificare l’ottemperanza all’ordinanza inibitoria n. 3 del 15 novembre 2023 in relazione al sub 35 (via Duca d'Aosta n. 28) e non per effettuare controlli sul diverso locale oggetto dell’ordinanza qui gravata (sub 34, via Duca d’Aosta n. 32)».
Questo «perché il rilievo di un illecito edilizio non è di per sé precluso (né costituisce ragione di immediata illegittimità della successiva attività di repressione dell’abuso) “in occasione” dell’espletamento di attività amministrative originariamente previste ad altri fini, né rappresenta per ciò soltanto una contraddittorietà dell’azione amministrativa. D’altra parte, nel caso di specie, l’attività amministrativa in concreto posta in essere, peraltro avente natura vincolata, è comunque ascrivibile allo stesso potere comunale di vigilanza in materia edilizia e urbanistica». Il Tar del Fvg ha infine puntualizzato che «l’atto impugnato – in quanto avente effetti inibitori permanenti - è, perciò solo, soggetto alla clausola rebus sic stantibus ed è quindi necessariamente sensibile alle sopravvenienze di fatto potenzialmente idonee a farne venir meno gli effetti» La Corte ha pure stabilito che «Le spese di lite, per la particolarità e novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate».
In una nota emessa nel pomeriggio odierno, il consigliere comunale con delega alla Sicurezza Anna Maria Cisint esprime la sua soddisfazione.
«Ancora una volta la sinistra si è schierata dalla parte sbagliata – sono le parole di Cisint - dalla parte di chi approfitta e cerca di imporsi arrogantemente, ignorando norme e ordinanze, strumentalizzando e attaccando chi, nel compimento del proprio dovere, ha agito con correttezza e rispetto delle regole». «Il riferimento è ai fatti del gennaio 2024, quando — al fine di verificare il rispetto delle ordinanze comunali — la Polizia Locale si recò presso l’immobile del centro islamico Darus Salaam in via Duca D’Aosta – continua - durante il controllo fu accertata una violazione, oggi confermata anche dalla sentenza del Tar, relativa al mancato rispetto della destinazione d’uso dell’immobile: uno spazio a destinazione commerciale veniva infatti utilizzato impropriamente come doposcuola».
«All’epoca, io e la Polizia Locale siamo stati pesantemente attaccati, accusati — dalla sinistra, da parte della stampa nazionale e perfino dall’UCOII — di razzismo, schedature e violazioni dei diritti dei bambini. Accuse infondate, strumentali, frutto di una campagna strumentale e ideologica. Nulla di più sbagliato» rivendica l’europarlamentare secondo la quale «la sentenza del Tar chiarisce in modo inequivocabile la correttezza dell’operato della Polizia Locale e degli uffici dell’Urbanistica che emisero l’ordinanza». Il Tribunale Amministrativo ha rigettato integralmente il ricorso presentato dal centro islamico, che esce ancora una volta soccombente da una battaglia portata avanti contro la legalità e il buon senso». Per il Comune si tratta di una «piena riabilitazione per l’operato degli agenti e dell’allora sindaco Anna Cisint». «Una sonora smentita per chi, ancora una volta, ha cercato di strumentalizzare la realtà a fini ideologici – conclude l’esponente leghista - la sinistra è stata nuovamente smascherata».
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