La miseria dei giornalisti precari a Ronchi, «sono rider dell'informazione»

La miseria dei giornalisti precari a Ronchi, «sono rider dell'informazione»

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La miseria dei giornalisti precari a Ronchi, «sono rider dell'informazione»

Di Salvatore Ferrara • Pubblicato il 17 Giu 2023
Copertina per La miseria dei giornalisti precari a Ronchi, «sono rider dell'informazione»

Quella di Bozzo è una storia di vessazioni che parla di donne e uomini che continuano ancora oggi a lavorare per 4 o 5 euro lordi ad articolo.

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“Un libro che ti tiene incollato fino alla fine”. L’ha definito così la giornalista e portavoce di Articolo 21 Fabiana Martini che ieri sera ha dialogato con Lucio Luca, giornalista di Repubblica e Robinson nonché autore, appunto, del libro “Quattro centesimi a riga, morire di giornalismo” di Zolfo Editore, uscito nel 2022. Nella pubblicazione viene raccontata la storia del “ragazzo di Calabria”, il giornalista Alessandro Bozzo suicidatosi il 15 marzo 2013. “Un giornalista che sapeva incontrare il lettore – ha spiegato Luca – e che provava a cambiare la realtà”.

Quello di Alessandro Bozzo, cronista calabrese di Cosenza, morto a quarant’anni, è il racconto nudo e crudo del precariato giornalistico nel Sud Italia. “Si parla di un mestiere difficile - ha spiegato Martini - ma un mestiere necessario anche in una ‘Calabria maledetta’, terra complessa e che ti ingoia”. La firma di Repubblica autrice del libro ha conosciuto la sua storia per caso, solo tre anni dopo la sua dipartita. “Sono restato colpito dalla natura del suicidio di questo collega – ha commentato Luca – e dal processo di reato per violenza privata scaturito in seguito e legato al suo suicidio”.

Dietro alla morte di Bozzo c’è una storia di precariato che “raccontiamo degli altri, ma poco su noi stessi perché ci imbarazza, avvertiamo pudore” ha affermato l’autore. Quella di Bozzo è una storia di vessazioni che parla di donne e uomini che continuano ancora oggi a lavorare per 4 o 5 euro lordi al pezzo. Bozzo si è occupato di un territorio complesso. “Ma chi te lo fa fare?” gli dicevano in tanti. Lui però non ha cambiato, ha voluto crederci, fare bene il suo lavoro, credere nella civiltà, nell’importanza di una ricchezza che “gli editori continuano a non capire”.

“I giornalisti che prendono 4 centesimi a riga non sono una casta – ha affermato con forza Luca – sono i rider dell’informazione”. Il tesserino professionale che ti rapisce, il senso di fallimento, la testa di capretto o il proiettile in busta lasciati sulla scrivania, le telefonate assillanti del politico di turno e la tagliente ironia. Di questo e di tanto altro si parla in questo libro che racconta a tutti - come ha ricordato la conduttrice dell’incontro – I precari che scrivono sempre di più e che sono quelli più querelati. L’attenzione sul precariato non deve abbassarsi perché questo deve rappresentare un problema per i lettori in quanto il precario non è mai libero e questo ricade sulla qualità dell’informazione, soprattutto su quella locale”.

Scongiurare il buio dove l’informazione muore. È stato uno degli inviti rivolti dai colleghi presenti sul palco. Un monito a non cedere al buio di quella politica che caccia i giornalisti non graditi, che chiama per modificare didascalie o titoli, che fiacca e indebolisce un editore e che vede direttori non in grado di difendere i propri colleghi. Sono tutti problemi non estranei al nostro nordest dove esitono demansionamenti e isolamenti di colleghi non graditi. “Manca l’indignazione dell’opinione pubblica – ha avvertito l’autore – manca l’arrabbiarsi rispetto a problemi e scandali".

"Quando l’ultimo Bozzo smetterà di fare il giornalista così, sarà la fine del giornalismo e sarà un problema per la democrazia. Sembra che ci si stia lentamente svegliando. Dobbiamo dare uno schiaffo a noi stessi per fare qualcosa”. Anche i cittadini lettori devono perciò poter fare la differenza. Senza vittimismi o auto commiserazioni, aiutare i colleghi a vedere la luce è possibile. Pagare la fruizione delle notizie è una delle strade che sono state proposte dai due relatori. “Fare giornalismo ha dei costi. Fare giornalismo è scoprire quello che non si riesce a conoscere in maniera diretta. Questa professione incide anche sulla vita privata e sulle responsabilità familiari come lo è stato per Bozzo” ha ricordato l’autore del libro.

Dal palco del Festival è dunque arrivato anche ieri sera una considerazione importante. Un invito a rilanciare i giornali italiani leggendo questa storia che stimola a fare meglio questo lavoro che attualmente vede sotto scorta 22 giornalisti ma tantissimi altri senza tutele. Al termine del dialogo, i presenti hanno potuto apprezzare lo spettacolo “Volevo solo fare il giornalista. La storia di Alessandro Bozzo” una produzione dell’associazione culturale Kleis, scritta da Lucio Luca, autore del libro presentato. Sul palco sono saliti i bravissimi Salvo Piparo, attore e il polistrumentista Michele Piccione. La pièce ha reso ancor più l’idea di cosa si vive e si vede, di cosa si prova fino a decidere di farla finita. Ha “fatto incazzare” anche chi vi scrive.

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