L'ARTISTA
«I miei ambienti raccontano storie»: l’intervista al maestro Aldo Bressanutti

Il noto pittore compirà 102 anni a ottobre e tuttora scrive e dipinge continuando a sperimentare forme e stili: «Le idee mi vengono in testa, io semplicemente le metto giù».
A chi qualche anno fa gli chiedeva l’età usava rispondere «vado per i cento»; ora che gli anni diverranno 102 a ottobre, risponde invece: «vado per duecento». Un maestro della pittura e non solo, artefice di uno stile originale e inconfondibile che l’ha portato in oltre tre quarti di secolo di carriera ad esporre le proprie opere non solo qui in Italia ma anche a Washington, in Spagna, Australia, Inghilterra e Austria attraverso mostre collettive e personali. Ciononostante, come racconta il figlio Furio, è sempre rimasto una persona umile e appassionata, «consapevole del suo valore ma distante dalle logiche più mercantili e opportuniste del mondo dell’arte».
Dipingere, per il maestro Aldo Bressanutti, è innanzitutto un piacere, una passione, un modo per raccontare storie e soprattutto una spontanea esigenza espressiva. Residente da una quarantina d’anni a Monfalcone e nato a Latisana nel 1923, Bressanutti ha conosciuto le durezze della povertà durante la difficile infanzia a Trieste – «ho lavorato tutti i giorni fin da quando avevo sei anni – racconta – ho fatto di tutto e non ho mai smesso» – e il dolore della prigionia durante la Seconda Guerra Mondiale, quando fu catturato dall’esercito tedesco e costretto a orribili lavori forzati sul campo di battaglia. Grazie a una miracolosa fuga riuscì, passando per Innsbruck, a tornare in Friuli Venezia Giulia: a Gradisca d'Isonzo conobbe sua moglie Anita, nel capoluogo giuliano la grande passione che ancora lo accompagna.
Maestro, quand’è che ha mosso i primi passi nella pittura? Come ha scoperto questa passione?
A 18 anni circa ho visto Sofianopulo (noto pittore triestino di origini greche, ndr) che dipingeva in strada a Trieste, in città vecchia, dove abitavo: la cosa mi ha colpito molto. Così, poi, ho voluto provare anch’io. Il mio primo quadro, “Cineserie”, l’ho dipinto nel 1944 su un pezzo di tela ricavato da una branda dell’obitorio: all’epoca non avevo nient’altro su cui poter dipingere.
Gli interni pieni d’oggetti disposti in un caos apparente, quasi sempre senza figure umane, sono un tratto distintivo dei suoi quadri. Che cosa vogliono esprimere?
Rappresento spesso ambienti in cui ho vissuto, oggetti che hanno un valore nella mia memoria – ad esempio la stufa, che negli anni Trenta era punto fondamentale della casa. Ci sono poi quadri più “pieni” in cui gli oggetti si annullano l’uno con l’altro in un equilibrio di masse e colori e altri più vuoti, dove invece i singoli oggetti hanno più forza. Ogni oggetto diventa un soggetto e l’ambiente è il vero personaggio: i miei ambienti sono umani e raccontano storie, si capisce sempre che qualcuno li ha frequentati ed è andato via o sta per tornare. L’uomo lo vedo già per tuti i cantoni, al mondo xemo già troppi, e io sono per natura abbastanza solitario. Senza figure umane, gli ambienti trasmettono di più una sensazione di eternità: quelle poche volte che ho messo l’essere umano nei miei quadri, cerco di “indebolirlo” e farlo diventare oggetto in linea con l’atmosfera circostante.
Oltre a vedute e interni, ha cominciato a un certo punto a dipingere quadri surrealisti, senza nulla conoscere dell’omonima corrente. Come ha “scoperto” la dimensione surreale?
Il passaggio dal reale al surreale mi è venuto naturale per esprimermi con più fantasia: tante volte inizio un quadro con oggetti normali e passo al surreale senza accorgermene. Per esempio, uno dei primi dipinti del genere, “La calunnia” (1954, ndr), l’ho fatto quando dovevo andare dal dentista, vedendo la mia bocca aperta con i denti un po’ a remengo. Oppure di recente ho dipinto una casa a cui ho aggiunto diversi particolari surreali trasformandola in una cosa in rovina e chiamandola “Villa Italia”: in quel momento avevo in mente l’Italia di oggi. Diversi quadri invece nascono anche da un’impressione che poi la mia fantasia amplifica: una volta, in treno in Austria, incontrai una persona che aveva le mani malformate, così mi feci raccontare perché era così e poi una volta in albergo dipinsi una tela (“Un fiore per Anita”, ndr) sulla base di quell’impressione.
A un certo punto, viaggiando in Belgio negli anni Settanta, ha scoperto l’arte di Magritte e ha deciso di mettere il surreale da parte. Come mai?
Per circa trent’anni non ho più dipinto nulla di surreale perché avevo la sensazione di essere arrivato dopo, temevo che mi avrebbero accusato di copiare quello che già c’era. A riprendere con il surreale mi ha convinto mio figlio Furio…
«Non hai mai copiato nessuno! Oltretutto sei più vicino a Dalì che a Magritte…» gli fa allora eco Furio, presente e partecipe alla chiacchierata, aggiungendo che «da questo punto di vista è ancora più straordinario che lui abbia seguito un’evoluzione surrealista completamente per conto suo». Scrittore di romanzi storici e appassionato d’arte, Furio vive a Trieste e ha curato diversi cataloghi e volumi con le opere del padre scrivendo prefazioni e inserti esplicativi. È stato spontaneo, dunque, fargli la seguente domanda.
Furio, qual è il rapporto con il “babbo” dal punto di vista creativo e artistico?
C’è un grande rispetto reciproco, anche a livello artistico. Io stesso ci sono nato, nel mondo dell’arte triestina a cui Aldo apparteneva: ci si frequentava con diversi pittori e con tutte le loro genialate e piccolezze. Poco alla volta, dunque, sono diventato amante dell’arte: oggi sono collezionista e acquisto all’asta anche i quadri di mio papà, perché mi piacciono. Se anche non fosse stato mio padre, la mia meraviglia per lui come artista sarebbe esattamente la stessa – e anche lui sostanzialmente ammira me, perché a mia volta so creare cose che lui non sa fare.
Aldo, tornando ai suoi quadri, sorprende osservare che non si è mai concentrato su un solo stile come fanno invece molti artisti…
Esatto. Le vedute di esterni sono meno “libere” e più condizionate dal luogo, mentre con gli interni ho già più possibilità di manifestare la mia fantasia creativa. Con il surreale, infine, posso esprimere al massimo possibile la libertà artistica a partire da tutto ciò che mi viene in mente.
Oltre alle tele, nel corso della carriera, si è dedicato a incisioni e acqueforti, ma anche copertine di libri, etichette, cartelloni pubblicitari e piccole sculture su sassi, per non parlare dei suoi racconti autobiografici. Che cosa la spinge verso questa “visione a tutto tondo” dell’arte?
Le idee mi vengono in testa e io le stendo, niente altro. Mi sono sempre sentito libero nella mente e nelle azioni, senza mai camminare in testa a nessuno. Nei miei libri su Istria, Friuli e Trieste ci sono oltre 350 fra mie lastre e incisioni di acquaforte, quando un incisore in vita ne fa sulle cinquanta. Anche i miei stessi quadri sono in continua evoluzione: alcuni che ora sono pieni erano originariamente più “vuoti” e li ho arricchiti per trovare il giusto equilibrio, oppure mi “pento” di un oggetto o di un colore e ci ridipingo sopra, riprendendoli in mano dopo diverso tempo e con un altro spirito.
Prima di salutarci, il maestro Aldo («Maestro? Semmai ho fatto il bidello!» commenta spiritosamente) ci mostra i disegni che sta dipingendo al momento. Sul suo tavolo da lavoro ci sono nuove stanze, contraddistinte da composizioni sempre diverse o da dettagli insoliti come un “quadro nel quadro”, in mezzo alle quali si aprono finestre per mostrare scorci di mare o della città. E quando dalla pittura vuole passare alla parola, Bressanutti si sposta nel suo studio e prosegue a scrivere i suoi racconti – al momento sono oltre un centinaio – ispirati alla sua vita: «Quando mi stanco troppo o mi fanno male gli occhi passo dai pennelli al computer, o viceversa torno da là a qua» dice sorridendo, prima di rimettersi al lavoro.
Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.




Occhiello
Notizia 1 sezione

Occhiello
Notizia 2 sezione
