Le verità di Massimo Giletti a Gorizia, «vi racconto come lavora la mafia»

Le verità di Massimo Giletti a Gorizia, «vi racconto come lavora la mafia»

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Le verità di Massimo Giletti a Gorizia, «vi racconto come lavora la mafia»

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 08 Nov 2023
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Il giornalista ospite ieri sera del Festival Alienazioni, da anni sotto scorta. Il racconto della sua carriera: «Gianni Minoli ha creduto in me».

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Quarantuno bis. È il carcere duro che dopo le stragi degli anni Novanta venne esteso ai detenuti di mafia e criminalità organizzata. Il giornalista e conduttore Massimo Giletti vive sotto scorta dal 2020 in seguito ad alcune lettere minatorie. Minacce ricevute dopo essersi occupato delle scarcerazioni dei detenuti in regime di quarantuno bis nel periodo del Covid - fra cui il fratello del boss dei Casalesi Pasquale Zagaria. Si è svolto martedì sera presso il Teatro Verdi di Gorizia – nell’ambito del festival AlienAzioni - l’incontro con il giornalista torinese, moderato dall’assessore a GO!2025 Patrizia Artico.

“Un festival che nasce sei anni fa per valorizzare la riforma basagliana”, ha voluto ricordare l’assessore alla cultura Fabrizio Oreti. L'ex conduttore di “Non è l’arena” ha di recente visto chiudere il proprio programma mentre stava lavorando ad alcune puntate sul periodo stragista, rischiando di rivelare verità “per cui l’Italia non è pronta”. Molte polemiche erano già state sollevate con l’intervista a Salvatore Baiardo, il quale aveva preannunciato l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro, scomparso in settembre per un tumore in stadio avanzato.

“Hanno chiuso la tua trasmissione. Cairo ha detto ‘succede’" ha osservato Artico con una punta d’ironia. “Non succede, non è mai successo”, è stato il commento di Giletti. “In tv si chiudono i programmi se hanno costi alti e ascolti bassi. 'Non è l’Arena' non rientrava in questo tipo di casi, faceva il 6% di share. Però io non voglio rispondere, a questa domanda. Ho scelto di affidarmi ai magistrati”, ha spiegato con un sorriso. Più volte ascoltato dai pubblici ministeri di Firenze sul caso Baiardo, Giletti è stato convocato in luglio anche per la foto che ritrarrebbe Berlusconi insieme a Giuseppe Graviano, uno dei fratelli stragisti del mandamento di Ciaculli.

Indagini che sembrano portare a livelli più alti, dove la politica interseca la massoneria e i servizi segreti. Quelle “menti raffinatissime” che si muovono nell’ombra, come aveva ben compreso Giovanni Falcone, prima di cadere nella trappola da cinquecento chili di tritolo. Una potenza inaudita, se paragonata ai cinquanta che hanno portato via il giudice Borsellino cinquantasette giorni dopo, in via D’Amelio. “Non sono le intercettazioni, che diranno la verità. Non sarà la verità di Giletti, ma ‘la’ verità. Poi, i poteri forti gestiscono le situazioni in un modo alto”, accennando forse alla connivenza fra apparati deviati dello Stato e la mafia.

“Viviamo in un mondo in cui fa più male perdere il telefono che la dignità. Io non sono così. Per rispetto di un sistema in cui credo, aspetto. Quel giorno prima o poi verrà. Oggi penso di guardare al domani. Penso alle trentacinque persone che lavoravano al mio programma, e mi rattristo. Gianni Minoli ha creduto in me, un ragazzo senza storia professionale. Mentre i miei ragazzi, che ho scelto, sono stati allontanati da un giorno all’altro. Io ho le spalle larghe, loro meno”. Artico ha poi affrontato l’ipotesi del Corriere della sera: “Si ipotizzava un ingresso in Rai e un ritorno al giornalismo d’inchiesta”.

“Così dice il Corriere, che è di Cairo”, ha commentato Giletti. “Cairo è un imprenditore che mi ha dato grandissima libertà, a lui devo molto. Però quello che si legge sui giornali non sempre è la verità. È possibile tornare, bisogna valutare le condizioni. Sono stato mandato via dalla Rai, dove conducevo Domenica In con il 24% di share e un costo bassissimo. Mi dissero ‘le inchieste non vanno bene, fai il varietà’. Me ne andai. La dignità è importante”.

Interrogato in merito alle motivazioni secondo cui gli è stata affidata la scorta, il giornalista non ha dubbi. “Non ebbi paura di andare contro il governo di allora. C’era il ministro Bonafede. Entro in possesso di una circolare in cui si faceva capire che potevano andare a casa anche i personaggi di alto spessore criminale. In Germania hanno fatto uscire i ladri di polli. In Italia è uscito un soggetto come Zagaria. Feci una battaglia per impedirlo”. Un fatto gravissimo, che secondo il conduttore “nasceva da un ricatto preciso. Nelle carceri avviene una ribellione, con sessanta milioni di euro di danni".

"Vengono distrutte le carceri. A un certo punto si sospendono le manifestazioni e iniziano ad andare a casa i capi. All’interno del carcere il numero uno della mafia ha affermato cose particolari sul mio conto. Da lì, nasce il problema”. Una questione che lo porterà all’isolamento, come accadde agli stessi magistrati del pool antimafia. “M’infastidisce l’ipocrisia. Per quale motivo un giornalista che fa inchiesta, in Italia finisce sotto scorta?”, si domanda con amarezza. “Non è così che si risolvono i problemi. Si risolvono sostenendo le persone”, ribadisce con forza.

Artico tocca poi il cuore dell’incontro, ponendo esplicitamente una domanda relativa al giornalismo e alle mafie. “La mafia ha ancora ramificazioni nella politica? Noi avevamo Pansa, Bocca, Montanelli, Biagi. Oggi si avverte la mancanza di questi ragionamenti. Mancano grandi giornalisti che abbiano il coraggio di prendere posizione?”. “Oggi è un po’ cambiato tutto – spiega Giletti -. Ed è tutto difficilmente paragonabile. Abbiamo giornalisti bravi, magari non conosciuti. In Calabria per venti euro al pezzo scrivono di mafia".

"Noto che si ha un certo timore di andare un po’ oltre. E quanto mi è accaduto non è certo di aiuto a chi intende intraprendere questa strada”. Un sistema che mina le modalità d’informazione, spesso costringendo i giovani a un utilizzo eccessivo dei social. “C’è una decadenza a tutti i livelli, ma i social hanno creato un sistema di odio e di critica. Un mondo pieno di fake news. Non c’è più dialogo, né ascolto. Una deriva sempre più forte. Quello che oggi fa più paura e che anche la guerra in Israele sta facendo emergere è l’antisemitismo. Che è anche responsabilità d’Israele. Un problema che deve essere risolto con il dialogo, con la pace. Non con la violenza".

"Gli stessi israeliani sono divisi su Netanyahu. Con Hamas non puoi dialogare. Ma non devi far crescere Hamas. Come quando gli americani hanno finanziato i talebani, per andare contro i russi. La stessa Hillary Clinton ha dichiarato ‘l’Isis ci è sfuggita di mano’, perché era un’operazione contro gli sciiti”. Una decadenza cui fa da contraltare la forza e il coraggio di chi ancora crede in una pace possibile, e in una democrazia. “Ci sono eroi silenziosi che tengono in piedi questo paese. È gente che combatte, perché non si può abdicare. Sono queste, che dobbiamo sostenere”.

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